Solo con i Tuaregs

Charles de Foucauld

Dalle lettere e meditazioni

[Si consiglia di vedere prima “Generalità” di questa sezione]

8. Solo con i Tuareg – Tamanrasset

Il 22 luglio 1905, in marcia verso l’Hoggar, Charles inizia un nuovo taccuino, il Carnet di Tamanrasset e fa parlare così la sua “patrona” Maria Maddalena: “Gesù ti ha stabilito per sempre nella vita di Nazareth …. Prendi come obiettivo la vita di Nazareth, in tutto e per tutto, nella sua semplicità e nella sua ampiezza…: niente vestito particolare – come Gesù a Nazareth; non meno di otto ore di lavoro al giorno – come Gesù a Nazareth. In una parola, in tutto: Gesù a Nazareth”. Conclude: “La tua vita di Nazareth può essere condotta dappertutto: vivila nel luogo più utile al prossimo”[1]

 Sceglie Tamanrasset, perché è uno dei villaggi più poveri e isolati. Musa Ag Amastane, il giovane capo delle tribù (“amenokal”) dell’Hoggar, incontrato il 25 giugno, gliene ha dato il permesso. Arriva l’11 agosto e comincia a costruirsi un’umile casetta. Il 3 settembre la colonna Dineaux riparte e rimane solo con Paul Embarek, che considera catecumeno e che, per i pochi mesi che gli resterà vicino, gli permetterà di celebrare la messa come unico assistente. Rimane tra i Tuareg, a tre mesi di deserto dalla residenza di padre Guérin, senza risorse, senza altra protezione che la parola data da Musa. Padre Guérin gli scrive: “La considero come ‘consegnato alla grazia di Dio’ e pongo tutta la mia fiducia nel divino compagno di strada al quale si è consegnato”[2].

 

A madre Augustine[3] – Indirizzo: In Salah (far seguire), 15 settembre 1905

Reverendissima Madre, ricevo la sua lettera del 30 luglio. Mi è sempre dolce ricevere notizie della sua anima… Coraggio! È con la croce che si glorifica GESÙ, che si diventa simili a GESÙ.

…Capisco quanto le pesino l’assenza e il silenzio del suo direttore: stia sicura che il vuoto che le lascia è una sofferenza permessa da Dio per il suo perfezionamento, e non un ostacolo al suo perfezionamento. Perché Dio dà sempre tutto quello che occorre; noi, purtroppo, gli manchiamo spesso, lui non ci manca mai… Offra la sua croce, la benedica: glorifica GESÙ, la rende simile a lui, la distacca dalla terra, santifica le anime, dona le ali alla sua preghiera… Lei è tirata in sensi contrari: cerchi di vedere in quale dei sensi è il più grande amore, e vada in quel senso. L’amore è la perfezione; si può eccedere in tutto eccetto in amore: in amore, non si può mai andare abbastanza lontano…

…Vedo così bene che GESÙ vuole da noi che l’amiamo, che imitiamo la sua vita, che siamo le sue immagini, che lo lasciamo vivere in noi, continuare in noi la sua vita, e lo faccio così poco! Preghi per il suo miserabile e così indegno fratello…

Torno alle sofferenze della sua anima, tirata in sensi contrari. Se, dibattuta, non vede da quale parte stia il più grande amore, veda da quale parte sta la più grande, la più perfetta imitazione di GESÙ; e la sottometta a un direttore molto sicuro, che abbia lo spirito di GESÙ… Cercando con purezza, con semplicità di bimbo, l’amore che GESÙ ha detto essere il primo comandamento, l’imitazione di colui che le ha tanto e tanto ripetuto di “seguirlo”, e sottomettendo il tutto all’obbedienza (un’obbedienza ben scelta, a un direttore veramente sicuro), non si può sbagliare…

Se nonostante tutto, le oscurità, le contraddizioni persistono, riceva queste sofferenze come una croce, un Getsemani, e benedica sotto le spine… Queste ore d’annientamento e di dolore saranno forse le più fruttuose, le più glorificanti Dio, della sua vita. Non è all’ora del Tabor che GESÙ ha salvato il mondo, né nelle sue corse faticose, né con le sue meravigliose parole e i suoi miracoli: è nell’annientamento, all’ora dell’umiliazione più profonda, di dolore più intenso: “Uscite e vedete, figlie di Sion, il Re di Pace sotto il Diadema, di cui l’ha coronato sua madre, il giorno delle sue nozze, il giorno della gioia del suo CUORE”[4], è condividendo queste spine e questi annientamenti che glorificherà di più lo Sposo…

E se è solo la salute che la blocca, si offra in tutto e per tutto: periscano gli ultimi resti di questo povero corpo… Ha tanta salute quanta Santa Teresa e San Bernardo, perché non se ne può avere meno di loro; ne abbiamo sempre abbastanza per dare la propria vita, per morire per GESÙ, ed è quanto basta.

Per lei sola, non sono ad In Salah, ma nel cuore dell’Hoggar, dove passerò l’inverno, può darsi la primavera, e forse di più, può darsi sempre… sono a quattro giornate a sud d’In Amgel, in un piccolo agglomerato dove mi sono stabilito sotto una capanna[5]

A padre Charles Guérin – Tamanrasset, 17 settembre 1905

…Mi chiede i miei progetti. Poiché voi [i Padri Bianchi] non sperate di realizzare nuove fondazioni prima di molto tempo, è tanto più necessario che resti qui io e passi qui le annate intere o quasi intere finché vi ci stabiliate voi, ossia forse fino alla fine della mia vita.

È il primo dovere per me, poiché questo paese più abbandonato di qualsiasi altro sembra anche, per il carattere dei suoi abitanti, offrire un terreno più propizio al mio genere di cultura.

Sembra che sarebbe desiderabile che Beni-Abbès non fosse totalmente abbandonata, e che alle Oasi militari e indigene continuino a vedere, di tanto in tanto, dei marabutti6 cristiani.

Sarei più contento di rimanere assolutamente qui, senza muovermi; sarebbe la cosa migliore per le anime in mezzo alle quali sono, e più conforme alla mia vocazione ordinaria, vita di Nazareth.

…Farò quello che mi dice di fare. Ma se non mi esprime molto nettamente il suo parere, non so se la raggiungerò da qui a un anno. Farò quello che credo meglio, secondo le circostanze… Ho bisogno di dire quanto mi sarebbe caro vederla? Ma non ho assolutamente niente d’importante da dirle… Le ho scritto via via ogni cosa, e non ho niente di seriamente utile da dire… Confessarmi, ne sarei molto desideroso, ma non credo di dover fare per questo un viaggio di due o tre mesi…

…Insomma, non faccio progetti. Resto qui, senza intenzione prossima di viaggio, lasciandomi guidare dalla provvidenza, augurandomi che lei stesso possa venirvi ogni anno7.

…Buona festa, amatissimo Padre, questa le arriverà più o meno per S. Carlo8… …Mantenga il segreto sul mio insediamento qui: il silenzio è buono. Dacché la grammatica e i lessici tamasceq saranno finiti, gliene invierò copia9.

A padre Charles Guérin – Tamanrasset, 30 novembre 1905

Amatissimo e veneratissimo Padre, le mando la lista delle correzioni da fare ai quattro vangeli tradotti in tuareg10… Lavoro a una grammatica abbreviata e a dei lessici abbreviati tuareg-francese e francese tuareg: Appena saranno finiti, gliene manderò una copia.

Vedendo pochissimo quel che il buon Dio vuole che faccia nel 1906, ho appena finito il ritiro annuale, dalla Presentazione della Vergine a S. Andrea, chiedendo luce a GESÙ… Il riassunto è questo: che devo fare tutto quello che posso di meglio per le anime di questi popoli infedeli, in un oblio totale di me. Con quali mezzi? Con la presenza del Santissimo Sacramento, il santo Sacrificio, la preghiera, la penitenza, il buon esempio, la bontà, la santificazione personale – impiegando io stesso questi mezzi e facendo tutto il possibile per moltiplicare chi li impieghi. …Per il momento, mi sembra che bisogna restare nell’Hoggar ancora abbastanza a lungo, prima di viaggiare, in modo da mostrare bene che il mio insediamento vi è definitivo, da intessere bene legami di conoscenza con gli indigeni e abituarli a me.

…Penso tutti i giorni alle Suore Bianche e al bene che farebbero qui11. Se fondassero un ospizio (indigeno, sotto delle capanne di canne) di vecchie negre, sarebbe pieno presto: C’è un gran numero di schiave; quando le negre sono vecchie, i padroni le affrancano, e allora sono totalmente senza risorse, perché non hanno né marito né famiglia; vivono con le capre e come le capre.

…Cerchi di avere i due compagni, i due giardinieri12 francesi, di cui ho bisogno: devono essere ben decisi a ogni povertà e ogni abiezione… …Senza dubbio occorre pazienza e grande pazienza: pazienza aspettando a lungo, molto a lungo, che il chicco seminato germogli; pazienza impiegando i mezzi più saggi, più sicuri, benché siano molto lenti; pazienza continuando a lavorare con tutte le forze nonostante l’insuccesso, gli ostacoli, le contraddizioni, l’incertezza del successo: ma questa pazienza non esclude i grossi sforzi, sforzi non soltanto per impiegare bene i mezzi che si hanno, ma anche per creare quelli che mancano::: Permetta al suo umile e affezionato figliolo di dirle questo: lei sa che ha un solo cuore con lei, che le vuol bene e la venera con tutto il cuore, e che vorrebbe vedere i pochi cattolici che ci sono nella sua prefettura diventare, da granello di senape, grande albero13

[Non è il momento di mandare missionari: il 9 dicembre il Senato francese ratifica la” legge di separazione” tra Chiesa e Stato, che comporta l’abrogazione del Concordato, l’incameramento dei beni della Chiesa, compresi gli arredi sacri, sequestrati a volte con interventi della polizia. Vengono chiusi i seminari, le suore insegnanti sono sostituite da insegnanti laici e quelle ospedaliere da infermiere laiche. Diversi monasteri e conventi emigrano all’estero. I cattolici che resistono alle confische sono imprigionati. Charles viene via via informato dai Trappisti e da p. Guérin. Pio X reagirà ben presto al governo anticlericale francese con due successive encicliche: Vehementer nos e Gravissimo officit.]

Alla cugina Marie de Bondy – 16 dicembre 1905

…Non si tormenti nel sapermi solo, senza amici, senza aiuto spirituale: non soffro affatto di questa solitudine, ma la trovo dolcissima; ho il Santissimo Sacramento, il migliore degli amici, al quale parlare giorno e notte; sono contento e non mi manca nulla. Tutto il tempo che non dedico alla preghiera, alla cura dei malati, ad accogliere i visitatori o i poveri che vengono a trovarmi, lo occupo nei lavori attorno alla lingua tuareg; ne avrò ancora per sei mesi prima di portarli a termine14. In autunno avevo molte visite di indigeni, ma ora sono pochissime; il freddo, per quanto non intenso, fa rimanere ciascuno sotto la sua tenda, perché la gente è vestita e nutrita così poco da essere freddolosa. Desidera sapere cosa posso fare per gli indigeni: non bisogna parlar loro direttamente di Nostro Signore, perché significherebbe farli scappare. Occorre entrare in confidenza con loro, farseli amici, render loro piccoli servizi, stringere amicizia, dar loro buoni consigli, esortargli con discrezione a seguire la religione naturale, dimostrare che i cristiani vogliono loro bene… Tanto qui che a Beni-Abbès, come pure nelle regioni intermedie, non c’è altro da fare per il momento, nei confronti della popolazione in generale; se si incontra qualche anima ben disposta, allora si può andare più avanti…Da questo punto di vista i miei viaggi non servono, perché dovrebbero avere un miglior seguito… Faccio ogni sforzo per trovare uno o due che mi aiutino; se potessi lasciarne uno qui e uno a Beni -Abbès, mentre io vado da una parte all’altra, quanto sarebbe bene per le anime!

Preghi, preghi molto per l’immenso gregge del Sahara e del Marocco, del quale Gesù vuole che mi occupi, in attesa che Egli mandi migliori pastori! Il negretto di vent’anni, ora catecumeno, che ho portato con me da Beni-Abbès, mi serve la messa; non è che sia contento di lui, ma non avendo nessuno che mi serva la messa mi sento quasi bloccato15

[Per farsi aiutare con metodo scientifico alla ricerca linguistica, Charles invita a Tamanrasset l’amico Motylinski16, specialista d’arabo e di berbero, che ha incontrato nel 1881 e 1885 nel Sud Oranese.]

Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset, 20 aprile 1906

Ho visto per due giorni un ufficiale francese di passaggio, ed ora eccomi solo per non so quanto tempo: solo col buon Dio, cioè nella più dolce e più benedetta solitudine, con la migliore compagnia… Aspetto Motylinski tra qualche giorno, ma non sono del tutto certo del suo arrivo. Non so nulla di nuovo circa la richiesta di suore che, per bontà, è stata fatta17… voglio dirle cosa mi viene da pensare a questo proposito: se i superiori non acconsentono, forse mi sarà possibile trovare delle “infermiere laiche” – laiche nell’abito, ma votate a Gesù col cuore – che accettino e desiderino venire per dedicarsi a Gesù e per Gesù così lontano, in una totale dedizione, senza l’appellativo né l’abito di religiose, ma con la verità e lo spirito di una vita religiosa la più completa, la più perduta in Dio che possa esserci… Per delle anime ardenti, sarebbe una forte attrattiva…18

[Il 3 giugno 1906, Pentecoste, quando ormai Paul Embarek lo ha lasciato e ha vissuto un periodo di grande solitudine, con rare occasioni di ricevere posta, accoglie con gioia a Tamanrasset il linguista Motylinski, col quale lavora intensamente tre mesi. Ripartiranno insieme verso Nord il 12 settembre.

Dal 12 settembre1906 al luglio 1907, Charles fa un lungo giro: risale a Beni-Abbès e quindi ad Algeri. Lo scopo è raggiungere il noviziato dei Padri Bianchi a Maison-Carrée e trovarvi un fratello per Tamanrasset. Effettivamente il 10 dicembre parte con lui, accompagnandolo fino a Beni-Abbès (dove passano il Natale) e a In Salah, il giovane fratello Michel (1883-1963), che però non resiste alle fatiche del viaggio, alla frugalità del cibo del deserto, al regolamento stretto. Il 7 marzo 1907 lo dovrà lasciare. Charles prosegue il lungo viaggio di ritorno da solo.

Motylinski nel frattempo muore di tifo e Charles lo viene a sapere mentre si trova ad In Salah. Scrive allora alla vedova.]

Alla signora de Motylinska, Medjersa à Costantine – In Salah, 15 marzo 1907

Signora, è con il più profondo dolore che apprendo la disgrazia che la colpisce e che colpisce me nello stesso tempo. L’immensa perdita che subisce è irreparabile, come sa. Anche per me. Chiamando a Lui, il migliore degli sposi, Dio mi priva del più affezionato, del più sicuro, del più fedele degli amici. Non posso esprimere il dolore in cui mi sprofonda questa disgrazia. Qualche mese fa, ero qui con lui. Era pieno di vita ed era rimasto durante il suo lungo e faticoso viaggio in una salute così perfetta che ne ero stupito, sperando per lui lunghi anni, per lui e per me frequenti arrivederci, conversando sui suoi progetti avvenire.

Il Buon Dio getta tutto questo in un momento nel nulla. La priva della sua felicità, del suo sostegno, di quello di cui lei e le sue figlie avete tanto bisogno, di colui al quale tanti cuori erano conquistati dalle sue virtù ammirevoli, la sua bontà così grande, il suo spirito superiore. «Il Buon Dio ce l’aveva dato, il Buon Dio ce l’ha tolto. Benediciamo Dio in tutto».

Il nostro dolore c’è, grande, perché il dono che Dio ci aveva fatto in lui era grande. Il nostro dolore sia mescolato di riconoscenza. Piangendolo ringraziamo Dio di avercelo donato per tanti anni!

E il nostro dolore sia mescolato di speranza. Questa separazione così lacerante, così crudele, non è eterna. Egli è andato a prepararle il posto, a precederla nella Patria Eterna dove passerà con lui l’Eternità in una felicità senza fine, ricompensa delle sue virtù. Verrà il giorno della riunione e allora la riunione sarà eterna. Questa triste vita passa rapidamente e presto verrà il nostro turno di raggiungere gli esseri amati che ci hanno preceduto. Lei non è sprovvista, né lei né le sue figlie, del suo sostegno. Invisibile per lei, egli la vede, l’aiuta con le sue preghiere molto più potenti ora che è così vicino all’autore e di tutti i beni e che vive in una tale luce nel soggiorno della gloria. Egli prega per lei e per le sue figlie, vede i vostri bisogni, le vostre tristezze, il vostro dolore, il vostro isolamento, vede in ogni istante la vostra vita, giorno e notte. Per lui, niente più sonno, niente più assenza, i suoi occhi non la lasciano più. Continuamente, egli veglia su di lei e sulle sue figlie, diventato per lei e loro un secondo angelo custode. Lo preghi, gli parli. Egli l’ascolta, la guarda, l’aiuta continuamente. Invisibile, è con lei molto più continuamente di quando viveva quaggiù perché ora appartiene alla vita degli eletti e degli angeli.

Anch’io lo prego, gli parlo, è cessata tra noi la separazione. Mi vede e mi ascolta continuamente. Lo prego di aiutarmi a guadagnare, come aiuta lei, la Patria Eterna per la quale siamo creati. Pregandolo, prego per lui e per lei. Tutti questi giorni celebro ogni mattina la Santa Messa per lui. Supplico Gesù di darle forza per sopportare una prova così dolorosa e di proteggere più che mai lei e le sue figlie. Ogni giorno pregherò per lei e per loro.

Il suo umilissimo e rispettoso servo, profondamente devoto nel Sacro Cuore di Gesù – Charles de Foucauld19.

[Lo stesso giorno scrive al prof. René Basset della Facoltà di Lettere d’Algeri, per dirgli che prenderà il posto di Motylinski per continuare da solo il lavoro linguistico sulla lingua dei Tuareg. E non perde tempo: durante la traversata del deserto verso l’Hoggar, seguendo una colonna militare dove si trova un buon interprete, s’impegna a farsi recitare poesie tuareg e a trascriverle: riesce a raccogliere ben 6000 versi!

 Lungo il cammino può anche celebrare grazie ai soldati francesi. Ma a Tamanrasset sarà di nuovo solo e senza Eucarestia. Non è questione di poco conto, ma ora non ha più dubbi: resterà nonostante tutto.]                                                                                                                                          

A padre Charles Guérin – Fra Tit e Abalessa (Hoggar), 2 luglio 1907 – Visitazione di Maria. 20

…Passo ancora qualche giorno nei pascoli con il distaccamento, per approfittare di Ben Messis21 e portare avanti gli studi tuareg con lui; fra quattro o cinque giorni, parte per In Salah con il capitano Dineaux (sempre perfetto per me come tutti i Francesi del distaccamento); subito dopo m’incamminerò per Tamanrasset.

Grazie ai Francesi del distaccamento, non ho mai mancato di chi mi servisse la messa dalla mia partenza da In Salah. Molto spesso non ho potuto dire la messa, ma è stato non per mancanza di assistenti, ma perché il caldo forzava a camminare di notte o a partire estremamente di buon’ora.

Come farò a Tamanrasset? Sta al Divino Maestro aggiustare la cosa. Può darsi che un Francese del distaccamento un po’ affaticato possa venire a passare un po’ di tempo all’eremo per riposarsi, ma non è sicuro. Può anche darsi che riprenda con me il ragazzo negro Paul che è venuto a trovarmi qualche giorno fa e si è comportato bene, dicono, da un po’ di tempo; se mi chiede di condividere come prima le preghiere, potrà di nuovo servire la messa come per il passato… Ci pensi GESÙ! …

La domanda che pone – è meglio soggiornare nell’Hoggar senza poter celebrare la messa, oppure celebrare e non andarvi – me la sono posta spesso… Essendo il solo prete che possa andare nell’Hoggar – mentre molti possono celebrare il santissimo Sacrificio – credo che sia meglio andare nonostante tutto nell’Hoggar, lasciando al buon Dio di darmi io mezzo di celebrare, se lo vuole (ciò che ha fatto sempre fino ad oggi con i mezzi più vari). Un tempo ero portato a vedere da una parte l’infinito, il santo Sacrificio, dall’altra il finito, tutto quello che non lo è, e a sacrificare tutto alla celebrazione della santa messa… Questo ragionamento però deve peccare in qualcosa, poiché dagli apostoli in poi i più grandi santi in certe occasioni hanno sacrificato la possibilità di celebrare ad opere di carità spirituale, viaggi o altro. Se l’esperienza mostrasse che può capitare che debba restare parecchio tempo a Tamanrasset senza celebrare, bisognerebbe, credo, che vi facessi soggiorni meno lunghi, non limitarmi però ad accompagnare distaccamenti, la qual cosa non è affatto lo stesso che risiedere da solo. Risiedere da solo nel paese è bene; vi è possibilità di agire, anche senza fare granché, perché si diventa “del paese”, vi si è così accessibili e “piccolissimi”! … Poi, a Tamanrasset, anche senza messa quotidiana c’è il Santissimo Sacramento22, la preghiera regolare, le lunghe adorazioni, gran silenzio e grande raccoglimento per me: grazie per tutto il paese sul quale irradia la santa ostia…

…Motylinski era, da venticinque o trent’anni, intimamente legato col Signor Basset23, direttore della Scuola di lettere d’Algeri e scienziato di grande valore, in tutto ciò che riguarda le cose arabe e berbere. Non dubitando che fosse lui a pubblicare i documenti accumulati dal mio caro amico, gli ho scritto non appena ho appreso la triste notizia, mettendomi al suo servizio per inviargli, come facevo per Motylinski, tutte le informazioni necessarie per completare il lavoro. Ho appena ricevuto la sua risposta: è lui, effettivamente, che pubblica tutto. Pubblicherà nelle opere di Motylinski una piccola grammatica, dei lessici, dei dialoghi, dei testi per i quali mi chiede qualche informazione complementare che gli invierò, mano a mano che me li posso procurare. In tal modo non andrà perduto niente dei lavori del nostro amico… Lei sa in che senso, con che pensiero ne ho piacere… Ho espresso l’esigenza che, da nessuna parte, sia pronunciato il mio nome e che non mi si consideri più che se non esistessi…

…Mi è dolcissimo scriverle oggi: è la festa della visitazione della Santa Vergine, festa patronale dei Piccoli Fratelli del CUORE di GESÙ, se questi Piccoli Fratelli esistessero, modello di quello che deve essere il suo povero figliolo e i suoi fratelli, se GESÙ glieli desse… Portare GESÙ in silenzio tra i popoli infedeli e santificarli silenziosamente con la presenza del santo Tabernacolo, come la Santissima Vergine santificò la casa di Giovanni portandovi GESÙ.

…Lei sa la mia vita a Tamanrasset, il mio doppio lavoro che è il mettere in fiducia i Tuareg e lo studio della loro lingua allo scopo di preparare il posto24

[Tornato a Tamanrasset da solo il 6 luglio 1907, Charles trova la popolazione più calorosa e accogliente. Ma è tempo di fame nera e non può fare a meno di cominciare a distribuire le sue riserve di grano. Ma due nuove realtà gli si fanno presenti. Una è l’insediamento stabile di militari nella zona dei Tuareg e quindi l’apertura alla penetrazione araba e francese. L’altra, è la riforma politico-religiosa che Musa Ag Amastane, “intelligente, ambizioso, musulmano fervente e praticante”, anche lui convertito da poco, ha intenzione di mettere in atto, cercando di fare di Tamanrasset la “capitale” del suo “regno musulmano”25: è la grande contraddizione!]

A Suzanne Perret. 26 – Tamanrasset, 25 luglio 1907

Sorella in GESÙ, lo sposo Divino ha voluto che la sua lettera del 10 dicembre mi arrivasse soltanto qualche giorno fa. La ringrazio di avermi scritto e ringrazio GESÙ di averglielo ispirato.

…Ai tempi delle nostre prime lettere, vivevo solitario a Beni-Abbès nel Sahara, alla frontiera marocchina. Dopo diversi anni passati là, senza poter penetrare utilmente più oltre dentro il Marocco, si è presentata un’occasione di andare verso un altro popolo, che vive a 2.000 chilometri più a Sud, nel cuore del Sahara, i Tuareg, presso i quali non era mai penetrato nessun prete. Secondo il parere del mio direttore, da quel momento mi sono diviso tra Beni-Abbès e i Tuareg27; ho costruito nel cuore del loro paese un povero piccolo oratorio da cui GESÙ, dal fondo del tabernacolo, prende possesso del suo regno e diffonde le sue grazie. Ogni anno passo circa tre mesi a Beni-Abbès, cinque a Tamanrasset (nel paese Tuareg) e quattro a fare, andata e ritorno, questo lungo viaggio; questi quattro ultimi mesi sono impiegati utilmente, perché le regioni attraversate sono popolate, e in questi passaggi ripetuti, faccio quel che posso per le anime. Durante i tre mesi passati a Beni-Abbès, mi metto nella misura del possibile in relazione con i Marocchini, pronto ad avanzare nell’interno del paese quando GESÙ darà la possibilità di farlo utilmente… Sia a Beni-Abbès, sia a Tamanrasset, sia in viaggio, mi trovo in presenza di popolazioni universalmente musulmane, che hanno tutte una profonda fede, unita a una grande ignoranza … Data la loro fede che li fa interrompere violentemente la conversazione non appena si parla della nostra religione …, siccome i loro pregiudizi fanno sì che ci sfuggano, che entrino in rapporto con noi  solo se vi sono forzati, rendono questi rapporti più rari e superficiali possibile, che ci guardino soprattutto come incapaci di portar loro alcun bene spirituale, poiché noi siamo un miscuglio d’ignoranza, di follia, di superstizione e d’infamia, degli idolatri dai costumi odiosi… Davanti a tutto questo non c’è che una via da seguire, prima di tutto prendere contatto, far cadere i pregiudizi, far conoscere la morale cristiana, la carità, fondamento della religione divina, farci vedere religiosi, avvicinare a poco a poco le anime, così lontane, metterle in fiducia, e se possibile in amicizia; poi ricondurle alla legge naturale, portarle ad allontanarsi da ciò che sanno essere peccato, condurli a servire Dio secondo la legge naturale, poi istruirli, sviluppare le loro facoltà di conoscere e di comprendere, renderli capaci di ragionare, d’esaminare, di confrontare; e infine proporre loro la verità della nostra fede, alla quale li avranno preparati la stima per noi, una vita più pura, un’intelligenza più aperta… È l’opera non di anni, ma di secoli… Io sono solo al primo periodo, alla presa di contatto

A padre Charles Guérin – Tamanrasset, 15 settembre 1907

…Ho chiesto a GESÙ, dal primo all’ultimo giorno del ritiro28, d’illuminarmi… Santo Sacrificio, presenza dell’eucarestia nel tabernacolo, santificazione personale, preghiera, croce, santi esempi, bontà, parola: ecco gli otto mezzi che GESÙ ci dà, a mio avviso… Si tratta dunque di moltiplicare, di far crescere tutto questo… Quanto a me, mi devo appoggiare soprattutto sulla santificazione personale, la preghiera e la croce, applicandomi con più coraggio. Quanto alla parola, è a lei che è affidato questo mezzo, non a me, il cui dovere è il silenzio. A questo proposito, persisto nel pensiero d’un tempo, che fintanto non vi è possibile entrare dove volete, a vele spiegate, bisogna entrarci a piccolo canottaggio, inviare degli Aquila e Priscilla… È ciò che fanno i missionari in una quantità di paesi; è quello che hanno fatto gli apostoli e i loro successori per i tre secoli di persecuzione…

…Quanto a cercare a Ghardaia, Uargla, la solitudine, amatissimo Padre, se vedesse Tamanrasset dove sono da quasi due mesi e mezzo senza aver visto un Europeo, e dove in fatto d’indigeni non vedo per così dire mai nessuno se non i poveri che vengono a chiedere l’elemosina, dove la “città” è composta d’una quindicina di capanne di canne e la cappella è lontana di parecchie centinaia di metri, se vedesse la solitudine di Tamanrasset, non mi parlerebbe d’andarla a cercare al Mzab…

[Descrive minuziosamente i progetti “missionari” concreti, quindi torna al tema del ritiro].

…Quello che soprattutto vedo chiaramente, è che bisogna sviluppare nel Sahara, moltiplicarvi, il numero dei tabernacoli, il numero delle anime sante, e il numero delle anime che pregano e che soffrono… soffriamo e preghiamo noi stessi il più possibile, perché è con la croce che GESÙ ha salvato le anime, e mai saranno salvate senza croce. Preghiamo, poiché GESÙ ha passato tante notti in preghiera e ci rimprovera quando non possiamo “vegliare un’ora con lui”. Santifichiamoci, perché convertirsi, è lasciare GESÙ vivere in noi, è far sì che i nostri atti non siano più dei poveri atti semplicemente umani, ma gli atti di GESÙ, di un’efficacia divina e infinita. Facciamo tutti i nostri sforzi per moltiplicare i tabernacoli, è GESÙ che vive e irradia, benché nascosto come a Nazareth. Facciamo anche tutti i nostri sforzi per moltiplicare le messe: ognuna è un nuovo Natale29…Ecco ciò che mi mostra chiaramente il ritiro.

…Non m’inquieto per niente di questa mancanza di celebrazione del santo Sacrificio: da parte mia, ho fatto tutto quello che potevo; è facilissimo al buon Dio di darmi la sola cosa che mi manca: l’autorizzazione di celebrare da solo, oppure un compagno…

… “In angustia temporum30 è stato ricostruito il tempio; e San Giovanni Crisostomo dice che non è per niente nell’idea “di stare tranquilli” che ci si fa monaci, ma al contrario per non esserlo affatto e portare la croce con GESÙ31Dalla partenza dei militari, il 4 luglio 1907, al 1° febbraio 1908, fr. Charles può celebrare solo occasionalmente. Per sei mesi non riceve posta. Ma resiste: vuole stare con i più abbandonati e lontani. Immagina anche che uno scrittore cattolico di fama, come René Bazin, possa scrivere un libro “attraente e di facile lettura”32, per sensibilizzare l’opinione pubblica francese rispetto ai suoi doveri di evangelizzazione e promozione umana nei confronti dei popoli colonizzati.

Da quasi due anni non piove. In un paese dove i poveri vivono quasi solo di latte, non c’è neppure quello: “Le capre sono asciutte come la terra e le persone come le capre”33. Sarà il periodo dell’estrema desolazione: rimane senza nessuna riserva di viveri, non vede un francese da mesi, per più di sei mesi non riceve posta…] 

Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset, Natale 1907

Questa notte niente messa, per la prima volta in 21 anni33: sia fatta la volontà dell’Amatissimo… Nella sua misericordia, Egli mi conserva il Santissimo Sacramento34… Fino all’ultimo momento ho sperato che venisse qualcuno, ma niente: né un viaggiatore cristiano, né un militare, e nemmeno il permesso di celebrare da solo. Sono tre mesi, più di tre mesi che non ricevo lettere… sia benedetta in tutto la volontà dell’Amatissimo35

A don Huvelin – Tamanrasset, 1° gennaio 1908

Padre amatissimo, le faccio da lontano la mia visita filiale di Capodanno e di buon mattino le auguro un santo e buon anno ed il cielo! Gesù la benedica, viva sempre più intimamente in lei e per mezzo di lei negli altri, la faccia essere e diventare in ogni momento ciò che più Gli piace e le conceda, dopo la prova di quaggiù, il Suo paradiso.

Rinnovo la richiesta che le avevo fatto in una lettera precedente a proposito di un libro veramente necessario: dovrebbe mirare ad infondere e a far penetrare il giusto concetto dei nostri doveri verso i milioni d’anime che popolano l’impero coloniale francese, divenuto tutt’a un tratto così esteso36

…Creda al suo figliolo ormai quasi vecchio, che vive tra infinite miserie per le quali non si fa e non si vuole far nulla; potendo e dovendo operare tanto bene, si aggrava al contrario la pietosa situazione morale e intellettuale della popolazione, in cui si vede unicamente un mezzo di lucro materiale. In noi cristiani che professiamo una religione d’amore, nei nostri francesi miscredenti che predicano sui tetti la fraternità, gli indigeni non vedono che negligenza, ambizione, cupidigia – e in quasi tutti, ahimè, indifferenza, avversione e durezza…

…Non occorre che mi raccomandi alle sue preghiere: lei conosce le mie miserie e sa quanto ho bisogno che lei preghi per me. Sono più di ventun anni che mi ha ricondotto a Gesù e che è mio padre, quasi diciotto anni che sono entrato in convento; ho ormai cinquant’anni: quale messe dovrei aver raccolto per me e per gli altri! Invece mi trovo nella miseria e nella privazione ed agli altri non ho procurato il minimo bene… Poiché dai frutti si conosce l’albero, posso sapere ciò che sono. Preghi dunque per il suo figliolo così povero e indegno.

M’inginocchio ai suoi piedi impetrando la sua benedizione. Lei conosce il mio sincero affetto e la mia stima filiale nel Cuore dell’amatissimo GESÙ. – fr. Charles di Gesù37.

[In questi primi giorni dell’anno dei suoi cinquant’anni, stremato dalle fatiche e dalla denutrizione, Charles si ammala. Ma il giorno che ricorda il suo “più grande sacrificio”38, il 15 gennaio, risponde in tono vigoroso all’invito di padre Guérin di pubblicare i testi linguistici sotto il suo nome]

A padre Charles Guérin – Tamanrasset, 15 gennaio 1908

Finalmente la posta e una sua lettera, quella del 18 ottobre… Ho fatto di tutto per farle sapere il più presto possibile che non avrei potuto essere né a novembre, né neanche a Natale a El Golea, ma non so se ha ricevuto la notizia a tempo. Nel caso in cui, a causa mia, avesse fatto un viaggio inutile, riceva le mie più profonde scuse e l’espressione del mio rammarico… lei sa quanto è difficile corrispondere a queste distanze…

…Padre amatissimo, mai, mai, mai, permetterò che sia pubblicata qualcosa sotto il mio nome da vivo, e proibirò che lo si faccia dopo la mia morte… Non sono questi mezzi che ci ha dato GESÙ per continuare l’opera della salvezza del mondo… I mezzi di cui si è servito al presepio, a Nazareth e sulla croce sono: povertà, abiezione, umiliazione, abbandono, persecuzione, sofferenza, croce39. Ecco le nostre armi, quelle del nostro Sposo divino che ci chiede di lasciarlo continuare in noi la sua vita, lui l’unico Amante, l’unico sposo, l’unico Salvatore, e anche l’unica Sapienza e l’unica Verità… Non troveremo meglio di lui, e lui non è invecchiato… Seguiamo questo modello unico40  e siamo sicuri di fare molto bene perché, da allora in poi, non siamo più noi che viviamo, ma Lui che vive in noi;  i nostri atti non sono più i nostri propri atti, umani e miserabili, ma i suoi, divinamente efficaci.

…Mi spiace che abbia visto L. davanti a un confratello, la conversazione sarebbe stata più intima a tu per tu; sia certo che non farà mai un bene serio agli ufficiali se non li vede abitualmente a tu per tu: è solo in un colloquio senza testimoni che ci si confida ed è soltanto da colloqui senza testimoni che può nascere l’affetto, la fiducia che permette col tempo di fare del bene alle persone.

…Continua a dispiacermi molto vivamente il fatto che Padre de Chatouville non mi raggiunga41. Se muoio domani, quello che ho fatto qui e niente è quasi la stessa cosa; se muoio mentre lui è con me, l’opera resta, il bene si fa lentamente e con poco rumore, ma con perseveranza, e GESÙ ha il suo tabernacolo e il suo prete in quest’angolo del suo Regno42

[Il 20 gennaio 1908 è sfinito al punto di sentirsi morire. Scrive nel taccuino: “Sono malato, costretto ad interrompere ogni lavoro. Gesù, Maria, Giuseppe, a voi dono la mia anima, il mio spirito, la mia vita”43. Per la prima volta, con i Tuareg, sperimenta la reciprocità dell’amicizia. Musa ag Amastane avverte Laperrine, mentre altri vanno a cercare “tutte le capre che abbiano un po’ di latte in questa terribile siccità, in un raggio di quattro chilometri”44. Gli salvano la vita! Ma per tutto il mese deve osservare il riposo assoluto.

Il 31 gennaio gli arriva la notizia del permesso (ottenuto dai Padri Bianchi dalla viva voce del papa, senza documenti scritti) e Charles il 1° febbraio può finalmente celebrare l’eucarestia, anche se è il solo cristiano nel raggio di 600 chilometri di deserto: è il suo “Natale”45.]

A padre Charles Guérin – Tamanrasset, 6 marzo 1908

Amatissimo e veneratissimo Padre. Ho ricevuto tre giorni fa tutte le lettere che mi sono state scritte dal mese d’agosto (a parte qualche lettera arrivata in gennaio); tra l’altro ci sono le sue lettere del 1° settembre 1907, del 21 settembre 1907 e del 21 gennaio 1908. Grazie di cuore di tutte… e grazie senza fine di questa grazia così grande di poter celebrare la santa messa senza assistente, ottenuta grazie a lei. Come dirle la mia riconoscenza? La sente meglio di quanto possa esprimerla…

…Sente bene anche che non è senza dolore che l’indomani dell’arrivo delle sue lettere, ho tolto il santo Sacramento dal tabernacolo dove degnava risiedere da luglio; ma “Chi mi ama mi obbedisce”. Ho chiesto a Lui di farle riuscire le procedure per ottenere per me quest’altro favore, oppure d’aggiustare le cose in qualche altro modo perché Egli riprenda possesso del suo tabernacolo e ricominci a regnare corporalmente su questa parte del suo Regno.

…Le ho detto, nella mia ultima lettera, che ero stato molto affaticato. Ora vado bene ed ho ripreso il lavoro, ma più moderatamente. Il mio pensiero è di non lasciare l’Hoggar se non in stagione fresca, in ottobre, e di essere a El Golea per il 21 novembre.

Non stia in pensiero per la mia salute. Ho ricevuto da In Salah due cammelli carichi di ghiottonerie (vino, latte, ecc.).

…Predicare GESÙ ai Tuareg, non credo che GESÙ lo voglia né da me né da nessuno. Sarebbe il mezzo di tardare, non d’affrettare, la loro conversione. Li renderebbe diffidenti, li allontanerebbe, invece di avvicinarli… Quel che c’è da fare, per gli altri e per me – che mi credo chiamato alla clausura, e che qui vivo in clausura – è quello che indico nella lettera a Monsignore [Livinhac, superiore generale dei Padri Bianchi]… Bisogna andare molto lentamente, farli nostri amici, e poi dopo, a poco a poco, si potrà andare più lontano con alcune anime privilegiate che saranno venute e avranno visto più delle altre, e che, loro, attireranno le altre… Ci vorrebbe soprattutto l’istruzione per queste povere anime… Preghiamo e lavoriamo…

Le mie giornate passate con il khodja46 di Musa non sono inutili alle anime, a parte il lavoro linguistico; queste conversazioni perpetue mettono nel suo spirito tanti pensieri nuovi, fanno cadere parecchi errori, gli danno luce su molti punti, e da lui tutto questo passa ad altri. Personalmente è così e non altrimenti che credo occorra, non tanto predicare GESÙ, ma preparare la sua predicazione. Anche altri preti, non votati alla solitudine, non avrebbero attualmente altra opera da fare, solo che farebbero molto quello che io faccio appena un po’47

Alla cugina Marie de Bondy – Tamanrasset, 8 marzo 1908

…Quanto bene avrebbe fatto Gesù evangelizzando il mondo durante gli anni oscuri di Nazareth? Eppure, ha creduto di farne di più restando in silenzio… E nostro padre e le sue croci48, e il bene che le sue malattie gli impediscono di fare! Il fatto è che il buon Dio giudica che egli faccia più bene stando con Gesù sulla croce… Ciò è messo in piena luce da due righe di San Giovanni della Croce: “È proprio nel momento del maggior annientamento che il Salvatore salda completamente il debito dell’uomo pervertito e realizza la nostra redenzione” Quanto meglio esiste sulla terra per fare il bene è la croce! E noi non possiamo trovare di meglio che Nostro Signore49

[L’11 aprile padre Guérin scrive a Charles una lettera che vale la pena presentare come testimonianza della relazione di autentica comunione tra i due:]

Uargla, 11 aprile 1908

Mio carissimo Padre e amico, come avrà saputo da qualche rigo che le ho messo alla posta a El Golea, sono in viaggio da più di un mese, per tornare anzitutto da El Golea a Ghardaia, a cercare il caro Padre Mercui, ex direttore del nostro Noviziato che ha visto a Maison-Carrée, e che è terzo assistente della società. Monsignore lo ha incaricato di fare la visita dei nostri tre insediamenti del Sahara. Dopo essere rimasto una decina di giorni con lui a Ghardaia, siamo andati a passare una settimana circa a El Golea ed eccoci arrivati ieri sera qui, per festeggiare San Leone, festa di mons. Livinhac e passare la settimana santa.

Questi viaggi mi hanno impedito da un po’ di tempo di scriverle– salvo due righe, otto giorni fa – eppure, carissimo amico, ho fretta di dirle quanto sarei contento di avere sue notizie perché, non avendo ricevuto nulla dalla sua lettera di fine gennaio dove mi annunciava la sua malattia, sono molto inquieto sul suo conto, lo immagina, e aspetto con impazienza la conferma del suo miglioramento. Mi rassicura in questa stessa lettera della fine di gennaio, mi chiedo però se quest’inizio di miglioramento fosse ben reale e se non l’abbia esagerato lei stesso per tranquillizzarmi…

La prego, carissimo amico, scrivendomi, voglia essere del tutto sincero per quanto concerne la sua salute, sarà la migliore maniera di tranquillizzarmi, qualunque siano del resto le notizie, buone o cattive, che mi avrà inviato. In più, lo sa bene, le notizie che mi dà saranno sempre buone, perché saranno quelle che piacciono alla provvidenza, e perché da tanto tempo mi sono unito, nei suoi confronti, all’atto completo d’abbandono che lei ha fatto a Dio di tutto quello che la riguarda.

Rinnoverò in modo tutto particolare queste disposizioni d’abbandono durante questa settimana di preghiere preparatorie alla festa di Pasqua.

…Ho appena ricevuto una risposta da Roma a proposito del mantenimento della santa Riserva nel suo oratorio. Come le avevo scritto precedentemente, da quando la mia attenzione è stata attirata su questo punto, è assolutamente impossibile prospettare d’ottenere quest’autorizzazione, perciò le sarà necessario di fare il grande sacrificio di custodire presso di sé la divina Presenza, poiché non ho personalmente nessun diritto per autorizzarla. Non dubito comunque che il buon Dio s’incarichi di risarcirla lui stesso, del sacrificio che le sta chiedendo così e, se Egli la priva della sua Presenza reale nel Sacramento, sarà solo per farle gustare di più l’offerta quotidiana del santo Sacrificio, come pure la Presenza, altrettanto reale, nell’anima con la sua grazia.

L’impossibilità per lei, nelle circostanze in cui si trova, di mantenere la santa Riserva le ridarà forse più facilità per irradiare, che so io? Il buon Dio può avere – o piuttosto ha certamente – in tutto questo delle vedute provvidenziali. Io le adoro, fin d’ora, senza conoscerle…

…Padre de Chatouville aggiunge quaranta scatole di latte, e dodici scatole di cacao. L’acquisto e il porto di queste ultime sono stati pagati da un benefattore che si raccomanda insistentemente alle sue preghiere.

Quanto alla Somma di San Tommaso, ve l’hanno aggiunta e direttamente da Roma… Credo che non sia ancora arrivato niente qui da Biskra. Per quanto si faccia con rapidità, carissimo amico, alla distanza in cui è, si deve armare d’una pazienza quasi infinita, per aspettare quello che desidera di più.

Buona e santa festa di Pasqua!50

 

[Fin dai tempi di Beni-Abbès fr. Charles ha intuito l’importanza della presenza di laici evangelizzatori, pronti soprattutto a vivere il Vangelo nella loro esistenza di tutti i giorni, al modo di Priscilla e Aquila, la coppia di collaboratori di Paolo (cf. Rm 16,3; 1 Cor 16,19; 2 Tm 4,19; At 18,26). A Tamanrasset l’intuizione si precisa, visto anche l’arrivo, in seguito alla “pacificazione” francese, di commercianti arabi di una tribù di “marabutti”, che, oltre a vendere a prezzi esorbitanti, diffondono un islamismo integrista, mentre commercianti francesi si spingono sempre più a Sud solo per sfruttare e smerciare alcool 51…. Durante il ritiro del settembre 1907, per la prima volta gli era venuto in mente di dare inizio a una vera e propria associazione, con spirito e organizzazione propria, come scrive a padre Guérin il 1° giugno 1908 52. Pur continuando a cercare un compagno prete, d’ora in poi dedicherà tutte le sue energie al progetto dei “Priscilla e Aquila”.]

[1] CT, p. 45-47.

[2] CS, p. 411. Guérin permette anche di avere il Santissimo senza lampada, visto che, per olio e stoppini di riserva per un anno, ci vorrebbero “quaranta o cinquanta giornate di cammello” … (CS, p. 379).

[3] Canadese, nata nel 1870, superiora delle Suore Bianche di Ghardaia, è lì che conobbe fr. Charles nel dicembre 1904, chiedendogli una direzione spirituale, anche perché attratta da una vita più contemplativa. Finirà, dopo successive responsabilità, col lasciare la congregazione nel 1916.

[4] Ct 3, 11.

[5] CS, p. 969-972.

6 Uomini religiosi, uomini di Dio, membri di confraternite musulmane.

7 In realtà non potrà andarvi mai. Del resto, nel suo caso, Charles non si sente obbligato al precetto della confessione annuale (CS, p. 375 e 384-85). Dalla fina del 1913 alla morte non vedrà un prete.

8 Si noti il tempo che occorreva per la posta, che partiva irregolarmente per occasione. Dalla primavera 1908 comincerà il servizio regolare di un corriere più o meno ogni mese e dal 1910 due volte al mese.

9 CS, p. 382-86.

10 Procedendo nella conoscenza della lingua, e con informazioni più corrette, si renderà sempre più conto della cattiva traduzione e, mentre cerca di perfezionarsi, non avrà più il tempo di una correzione finale

11 Dimostrerà diverse volte più fiducia nella presenza delle donne, più discrete rispetto all’evangelizzazione e più propense alle relazioni e ai servizi, rispetto ai missionari uomini.

12 Come si è già accennato, cominciò a chiamare così i fratelli attesi, per non attirare l’attenzione (la posta poteva essere aperta…).

13 Mt 13, 32 e ss. La lettera, come al solito molto lunga, si trova in CS, p. 403-410.

14 Si illude. Scoprirà che è una lingua molto più complessa e ricca di quanto credesse.

15 LMB, 126-127.

16 Adolphe de Calassanti-Motylinski (1854-1907), interprete militare, che Charles aveva conosciuto nel 1881 a Mascara, ritrovato nel 1885 a Ghardaia e rivisto poi a Parigi

17 L’aveva fatta ufficialmente Laperrine, per dare una mano all’amico, sfidando le leggi.

18 LMB, p. 128. Sarà il gruppo di “infermiere laiche” di Suzanne Garde che, per primo, seguirà nel 1923 Charles de Foucauld, fondando, nella diocesi di Orano il Gruppo Charles de Foucauld di «infermiere laiche» al servizio dei musulmani. Varie vicende e spostamenti porteranno il Gruppo in Francia nel 1962, dove continua facendo accoglienza di persone in difficoltà.

19 BACDF, n. 145, janvier 2002, p. 7-8.

20 Dopo quel primo viaggio a Nord, si trova lungo il cammino di ritorno.

21 Arabo-tuareg, fu il secondo informatore di cui si servì fr. Charles per lo studio della lingua dei Tuareg.

22 In realtà, come gli farà notare p. Guérin, non ha il permesso, anche con l’eventuale celebrazione, di conservare le specie eucaristiche. Lo otterrà l’ultimo anno di vita.

23 Con René Basset (1855-1924), direttore della Scuola di Lettere ad Algeri e poi Preside della Facoltà di Lettere, Charles intrattenne un’importante corrispondenza proprio in quanto editore dei suoi studi linguistici, rifiutando fino alla fine categoricamente (e anche per dopo la morte!) di far apparire il suo nome e attribuendo tutto il lavoro all’amico scomparso. Cf. FD, p. 73-75. Con padre Guérin che lo spingerà a pubblicare col suo nome per far onore alla Chiesa, scriverà: “Quello che dice sarebbe probabilmente vero per un Padre Bianco, non lo è per me, votato alla vita nascosta di GESÙ a Nazareth, alla sua oscurità, al suo silenzio” (lett. del 6 marzo 1908, CS, p. 607).

24 CS, p. 526-31.

25 Cf. lettera del 22 luglio 1907 a padre Guérin, in CS, p. 535-543. Musa non riuscirà nel suo intento per la situazione di siccità, la necessità di allontanarsi, e per i successivi avvenimenti della guerra.

26 La lettera presente è tratta dal vol. di George Gorrée, Au service du Maroc. Charles de Foucauld, Grasset, Paris 1930, p. 177-182.

27 Più nei progetti che nella realizzazione.

28 Approfittando della calma, ha fatto un ritiro dal 30 agosto all’8 settembre, di cui parlerà in seguito (cf. CS, p. 622 e ss.).

29 Quando riceverà la notizia del permesso di celebrare da solo e dirà di nuovo la messa, il 31 gennaio 1908, “griderà” nel taccuino personale: “Deo gratias! Deo gratias! Deo gratias! Domani potrò dunque celebrare la santa Messa: Natale! Natale! Grazie, mio Dio!” (CT, p. 87).

30 “Nell’angoscia dei tempi” (Dn 9, 25). Citerà spesso quest’espressione.

31 CS, p. 552- 61.

32 Cf. lettera a don Huvelin del 22 novembre 1907 (LAH, p. 222-225).

33 LMB, p. 137.

33 Dal Natale 1886, il 1° Natale dopo la conversione.

34 P. Guérin gli farà sapere che non ne ha il permesso… e rimarrà senza Presenza eucaristica.

35 LMB, p. 140-141.

36 Il libro che avrebbe voluto che fosse scritto da un laico, preferibilmente René Bazin, in forma attraente per invogliare ad interessarsi e sentirsi responsabili dei popoli colonizzati (cf. LAH, p. 224-225).

37 LAH, p. 226-227.

38 Il giorno in cui si staccò dalla famiglia per partire alla Trappa, il 15 gennaio 1890.

39 Queste parole nell’originale sono scritte l’una sotto l’altra.

40 A Nazareth Foucauld aveva scritto, in un quadernetto che portava sempre con sé, un breve “ritratto” di Gesù composto di frasi dei Vangeli, che aveva intitolato Il Modello Unico, che il 20 aprile 1906 aveva inviato a don Huvelin, insieme all’immagine della Sindone da mettere in copertina, perché lo facesse pubblicare (cf. LAH, p. 209-212). In realtà fu pubblicato da altri nel 1935.

41 Camille de Chatouville, di Bordeaux (1871-1927), avendo espresso il desiderio di seguire fr. Charles, ne aveva ricevuto una copia manoscritta delle Costituzioni del 1899-1901, anche se incarichi a livello generale glielo impedivano. Solo nel 1926, a dieci anni dalla morte del fratello, fu autorizzato a fare il tentativo di metterle in pratica come “monaci-missionari” insieme ad Albert Peyriguère a Ghardaia, nel Sahara. Il tentativo fallì per l’eccessiva austerità prescritta e Chatouville morì entro appena un anno. René Voillaume racconta come nel 1927, già incamminato a seguire Charles de Foucauld, attraverso i Padri Bianchi, ebbe la possibilità di leggere quella copia delle Costituzioni, che lo entusiasmarono (cf. Charles de Foucauld et ses premiers disciples, Bayard-Centurion, Paris 1998, p. 136 e ss.).

42 CS, p. 576-79.

43 CT, p. 87.

44 Lettera a padre Guérin del 24 gennaio, CS, p. 591. Padre Guérin gli scriverà anche: “Temo più lei, caro amico, di quanto tema i Tuareg. Le chiedo perciò insistentemente, caro amico, di approfittare per lei, e non soltanto per distribuirli agli altri, dei viveri che le sono inviati dall’affetto dei suoi amici…” (CS, p. 598).

45 Cf. CT, p. 87 e LMB, p. 143.

46 Termine berbero che significa segretario-interprete. Sarà con quest’aiutante di Musa, di nome Ba Hammu, l’ultimo e più corretto informatore per i lavori linguistici; con lui spera di rivedere la traduzione dei Vangeli, che riconosce imperfetta, e di tradurre qualche altro brano della Bibbia (come scrive nel seguito della stessa lettera).

47 CS, p. 603-6. Nella stessa lettera, più avanti, spiega che d’ora in poi c’è un servizio postale attraverso tutto il Sahara e passa per l’Hoggar all’inizio di ogni mese lunare: potrà dare e avere notizie regolari! (p. 610).

48 Parla di don Huvelin, sempre ammalato.

49 LMB, p. 143.

50 CS, p. 612-614. Charles otterrà il permesso di custodire l’Eucarestia il 12 giugno 1914 (cf. CT, p. 298; SG, 261), ma non avrà mai il permesso di esporla.

51 Cf. CS, p. 416-417, ecc. In altre occasioni sono certi militari che fanno “arrossire” fr. Charles, come la colonna venuta da Tobuctù che si scontra con Laperrine ai pozzi di Timiauin nell’aprile 1904. Siccome ha saputo che “fanno razzie, saccheggiano, maltrattano, rubano al loro passaggio” e sembrano “rapinatori, banditi, filibustieri”, annota nel diario. “dopo aver fraternamente stretto loro la mano all’arrivo, partirò domani senza dir loro addio, perché non voglio venire a patti con queste infamie” e aggiunge: “Temo che questo grande impero coloniale conquistato da qualche anno, che potrebbe e dovrebbe partorire tanto bene, bene morale, vero bene, sia attualmente per noi nient’altro che causa di vergogna, ci dia occasione di arrossire davanti agli stessi selvaggi, faccia maledire il nome francese et purtroppo il nome cristiano, renda queste popolazioni già miserabili più miserabili ancora…” (CBA, 97-99).

52 Cf. CS, p. 622. Questa lettera de l1° giugno 1908, molto densa, copre le p. 617-625.

 

Il primo richiamo dei Tuareg

Charles de Foucauld

Dalle lettere e meditazioni

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

7. Il primo richiamo dei Tuareg

Dal mese di marzo 1903 il comandante Laperrine, che sta compiendo il primo viaggio verso il profondo Sud del Sahara, nell’Hoggar (Ahaggar nella lingua dei Tuareg), vedendo in Charles de Foucauld un eccellente collaboratore, gli invia lettere invitanti per persuaderlo ad andare con lui. L’amico prima resiste, poi si lascia conquistare e a sua volta fa di tutto per convincere padre Guérin della bontà della scelta… visto che il Marocco non si apre.

 

A padre Charles Guérin – Beni Abbès, 30 giugno 1903

Mio amatissimo e veneratissimo Padre… …Giorno di risoluzione[1], oggi… Questo mese di giugno è per me una sorta di ritiro, un tempo particolarmente santo.

Nella mia ultima lettera, le dicevo, credo, che le scrivevo dopo molta esitazione: sì, ogni cambiamento, ogni movimento mi spaventa, mi dà come una vertigine, uno sgomento; temo di sbagliare strada; temo di non potere; m’ispirano questo sgomento, ad ogni azione importante, il timore dell’illusione e insieme la viltà…

Di solito il terrore cessa non appena mi sono messo tra le mani del mio direttore e abbandonato a lui…Da quel momento regna una pace profonda e cessa ogni esitazione.

È quel che mi succede. Prima di scriverle e di scrivere a don Huvelin, temevo ed esitavo. Ora, da quando queste due lettere sono partite, lo stesso giorno, è la pace, la gioia, una fiducia calma e un desiderio vivo ma tranquillissimo.

Desidero semplicemente e nettamente di andare[2] – aspettando che il Marocco si apra, se si apre – dai Tuareg, in un luogo dove potrei avere una sicurezza sufficiente… Qui sono abbastanza le persone, i musulmani, che hanno ricevuto l’esposizione della dottrina cristiana; le persone di buona volontà hanno potuto venire tutte, tutte hanno potuto apprendere; tutti quelli che vogliono vedere vedono che la nostra religione è tutta di pace e d’amore, che è profondamente diversa dalla loro: la loro ordina di uccidere, la nostra d’amare… Non ho compagni. Il Marocco non si apre. Non posso far meglio per questa salvezza delle anime che è la nostra vita quaggiù, come fu la vita di GESÙ    “Salvatore”, che andare a portare altrove, a quanti è possibile, la semenza della divina dottrina – senza predicare ma conversando – e soprattutto d’andare a preparare, cominciare l’evangelizzazione dei Tuareg, stabilendomi tra loro, apprendendo la loro lingua, traducendo il santo Vangelo, mettendomi in relazioni il più possibile amichevoli con loro…

Se GESÙ vuole che abbia dei piccoli fratelli, me ne può inviare laggiù. Per il tempo che durerà, potrei, una volta all’anno, risalire verso nord, andare a confessarmi[3] e lungo la strada passare in tutti i presidi militari e parlare lungo tutto il cammino con gli indigeni.

Temendo i ritardi, temendo che il mio amico delle Oasi si sia spostato, gli scrivo con questo corriere, per chiedergli autorizzazione di stabilirmi “per imparare la lingua tuareg e tradurre alcune opere in questa lingua, nel cuore del paese tuareg dove sia possibile farlo con sicurezza sufficiente, sicurezza dovuta alla sua raccomandazione, alla sua protezione morale” … Non ho il diritto di suicidarmi, non è del resto il mezzo di far conoscere GESÙ alle anime. Bisogna alleare coraggio a prudenza: né essere imprudenti né essere paurosi…

Se dice di no al mio desiderio, che credo sempre più voluto da Dio, niente sarà più facile di dire al mio amico: non verrò per il momento.

Se dice di , non avrò che da partire, e potrei approfittare della sua presenza e della sua amicizia… Parecchi indizi mi fanno credere che gli resta poco tempo da passare là: è per questo che mi affretto… È Dio che dà quest’occasione, com’è lui, credo, che mi mette in cuore questo desiderio.

Non ho detto assolutamente a nessuno se non a lei, a don Huvelin e al mio amico delle Oasi, il mio desiderio di andare dai Tuareg… La prego di mantenere anche lei il silenzio[4]

[Il 4 agosto 1903, dopo il lungo pontificato di Leone XIII, che aveva cercato il “ralliement” con la repubblica laica francese, viene eletto papa Pio X, e la sua maggior intransigenza rispetto al predecessore, porterà al radicalizzarsi della crisi col governo francese, che diventa sempre più anticlericale. Non sarà senza conseguenze anche per i progetti di fondazione di Charles de Foucauld.]

A padre Charles Guérin – Beni-Abbès, 5 agosto 1903

…Quello che le chiedo, è semplicemente il permesso di cercar di penetrare nel paese tuareg. Le mie lettere le hanno detto che il mio pensiero non era a di abbandonare il Marocco, ma di fare del mio meglio al Sud – se le vie mi vengono aperte – in attesa che lei invii altri operai, o che si apra una porta verso l’Ovest, verso quest’Ovest che attualmente mi è chiuso.

…Il capitano Regnault è partito da Beni-Abbès il 15 luglio e vi è rientrato il 30 luglio, dopo aver marciato giorno e notte, aver combattuto una sanguinosa battaglia, avuto la cinghia della sua carabina nelle mani forata da un proiettile, e visto cadere i cinque uomini più vicini a lui, feriti o uccisi. Lei vede che i soldati della terra, degli uomini, non temono la stagione. Prendiamo esempio da loro, noi soldati di Dio, e non facciamo ridire al nostro Maestro: “I figli di questo mondo sono più astuti dei figli della luce”[5]… Ho sempre supplicato GESÙ di non fare al suo servizio meno di quello che ho fatto una volta per le creature[6]

[In attesa del viaggio, previsto a partire dal 6 settembre, evidentemente pericoloso, il 14 agosto Charles redige il testamento[7] indirizzando il plico al cognato Raymond de Blic (vi apporrà delle aggiunte significative in seguito, nel 1911 e 1914).] 

A padre Guérin – Beni-Abbès, 26 agosto 1903

… Se ricevo più tardi da lei l’ordine di non restare nel Sud, non ci resterò.

Non parto così rapidamente per mancanza d’obbedienza a lei, amatissimo e venerato Padre, ma perché la più perfetta obbedienza, e questo fa parte della sua perfezione, comporta in certi casi dell’iniziativa.

Se parto senza esitare, è che sono pronto a tornare senza esitare; come parto facilmente, così tornerò[8]

[Il 28 agosto 1903, padre Guérin invia al Prefetto della congregazione Romana di Propaganda Fide la domanda perché fratel Charles possa celebrare la messa senza assistente cristiano e si fa garante del confratello, facendone gli elogi e raccontando a brevi tratti la sua vita. Ma il permesso non verrà accordato[9].

Charles si lascia sempre “guidare dagli avvenimenti”[10] e avvenimenti imprevisti, ossia un altro combattimento tra militari e Beraber marocchini con 50 morti e più di 40 feriti, nei pressi di Taghit a centodieci chilometri a nord, fanno accorrere Charles al galoppo (e senza scorta!) in soccorso dei feriti. Perde perciò la prima occasione di partire (da solo sarebbe stato impossibile, per mancanza di piste, necessità di guide, equipaggiamento e autorizzazione militare). Si convince che è bene rinunciare al progetto e restare a Beni-Abbès.]

A Henry de Castries – Beni-Abbès, 23 dicembre 1903

Buon Natale, buon anno! Alla messa di mezzanotte, nell’eremo di Beni-Abbès, penserò a lei, pregherò per lei, con tutto il cuore. Anche il primo dell’anno.

Il nostro sud è stato davvero sconvolto quest’estate e quest’autunno. Sembra che le cose tornino alla calma; ma ci sarà bisogno di qualche mese perché si veda se queste speranze di pace con i nostri vicini così guerrieri, per i quali la guerra ha una tale parte di piacere, sono fondate.

Allah Akbar[11]! La pace, la guerra passano! Dio è più grande, Lui che solo non passa. Non si è indifferenti, alla fraternità del Sacro CUORE, alle cose dell’esterno, poiché esse portano del bene o del male a questi uomini tanto amati da Dio; ma dopo che si è fatto quel che si è potuto, con quale pace ci si ritrova soli davanti al Tabernacolo, a tu per tu con GESÙ! Che pace e che felicità!

L’eremita è sempre felice, lo vede, caro amico, e la sua vita scorre nel pensiero e nella gioia dell’infinita beatitudine, dell’immutabile pace della Beata e sempre tranquilla Trinità.

La consolazione interiore non m’impedisce di pensare a quelli che amo, carissimo amico, al contrario essa mi unisce più strettamente a loro. Deus caritas est. E più ci si sforza d’amare Dio, più si ha necessariamente amore per quelli che Dio ama tanto. Per dire che il mio pensiero e la mia preghiera le sono fedeli[12]

[Appena si presenta, pochi mesi dopo, un’altra opportunità, nonostante la “ripugnanza estrema”, sente la stessa spinta invincibile a lasciare Beni-Abbès[13]. Parte il 13 gennaio 1904 per raggiungere Laperrine e prendere accordi. Un militare gli regala una tenda per celebrare la messa lungo il cammino. Arrivato il 1° febbraio ad Adrar, viene ospitato da Laperrine, che lo informa sui Tuareg dell’Hoggar, il gruppo più importante e più guerriero, il più ostile verso i cristiani, quello che aveva massacrato la missione Flatters nel 1881. Da Adrar raggiunge il villaggio di Akabli, un crocevia di carovane, per prepararsi e cominciare a studiare la lingua dei Tuareg (con un Arabo che lo parla). S’impegna immediatamente a tradurre i Vangeli e poi a trascrivere nella lingua tuareg alcune frasi o risposte pronte all’uso, come “Questo cuore scritto sul mio vestito, c’è perché io mi ricordi di Dio e degli uomini”.

La spedizione, col comandante Laperrine, tre ufficiali, 72 soldati, un civile, parte il 14 marzo 1904 da Akabli. Al momento di partire, su consiglio di padre Guérin, Charles sceglie un nome col quale Arabi e Tuareg lo possano designare: si chiamerà Abd-Isa, diminutivo di Servo di Gesù[14].] 

Alla cugina Marie de Bondy – Akabli, tra febbraio e marzo 1904

Resto qui ancora per otto o nove giorni… Il 15 mi rimetterò probabilmente in cammino. Sono sempre contento … Fra altre dolcezze, ce n’è una che chiedevo a GESÙ da tanto tempo: è quella di trovarmi, per amor suo, in condizioni di benessere analoghe a quelle in cui mi trovavo in Marocco, per mio piacere… Come sistemazione, qui è la stessa cosa… Ma non c’è alcun pericolo: meno ancora che a Beni-Abbès…

…Le popolazioni di questa regione, come quelle del Marocco, parlano più il berbero che l’arabo, cioè la vecchia lingua dell’Africa del Nord e della Palestina, quella che parlavano i Cartaginesi, quella di Santa Monica, il cui nome, berbero e non greco, significa “regina”; lingua che Sant’Agostino “amava” perché era quella di sua madre, come dice nelle sue Confessioni; una volta l’avevo imparata e poi dimenticata; torno ad usarla, per poter conversare con tutti[15].

A padre Charles Guérin – Presso In Ziza, 29 marzo 1904

…Preghi tanto per me. Faccio tutto il possibile per mettermi in relazione, fiducia, amicizia con tutti questi Tuareg… Preghi perché sia fedele alla grazia…

È probabile che il mio amico mi lascerà in strada al ritorno, se gli spiriti sono abbastanza ben disposti per questo, in qualche punto dove mi trovi solo in mezzo ai suoi nuovi amministrati… Vi passerò da solo un po’ di tempo in modo da prendere bene contatto… Studio giorno e notte il tamasheq… Quanto tempo resterò in mezzo ai nostri fratelli? Quanto indicherà GESÙ e permetterà l’obbedienza… Non lo dica a nessuno: ci vuole un gran silenzio per non attirare noie al mio amico e non attirare ostacoli all’opera di Dio…

È per questa prudenza che le scrivo per una via indiretta… La prego di non parlare del mio giro, del mio viaggio; il silenzio è buono alle opere di Dio… “Aquae Siloe vadunt in silentio…”[16]

[In una sosta a Tinef, il 17 maggio, giorno della festa di San Pasquale Baylon, usando il solito metodo di discernimento, l’esametro di Quintiliano (quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando), scrive sul diario, alla voce “quid,” che non si tratta più di cercare di “preparare il nido”, come a Beni-Abbès, ma di vivere pregando e lavorando “come Gesù a Nazareth”. Alla voce “quomodo”, aggiunge: “Silenziosamente, di nascosto come Gesù a Nazareth, oscuramente, come Lui, ‘passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte’… poveramente, laboriosamente, umilmente, con mitezza, facendo come Lui, ‘transiens bene faciendo’, disarmato e muto dinanzi all’ingiustizia come Lui, lasciandomi, come l’Agnello divino, tosare e immolare senza far resistenza né parlare, imitando in tutto GESÙ a Nazareth e GESÙ sulla Croce…”[17].

Il 26 maggio, credendo venuto il momento di fissarsi in un posto, ne chiede il permesso a Laperrine, che, dopo qualche giorno di riflessione glielo negherà. Nel frattempo, sostando a Tit, Charles  fa progetti precisi…, tanto da far dire a Gesù: “Oggi e in avvenire, se lo puoi, va’ a stare…in queste rocce simili a quelle di Betlemme e di Nazareth, in cui hai la perfezione della mia imitazione e insieme quella della carità; per ciò che riguarda il raccoglimento, è l’amore che deve raccoglierti in me interiormente,  e non l’allontanamento dai miei figlioli: vedi me in loro come io a Nazareth e vivi accanto a loro, perduto in Dio”[18].

Non potendo, per ora, restare, per la diffidenza dei Tuareg, oltre che per la prudenza dei militari[19], il 15 giugno 1904 Charles lascia la spedizione Laperrine e continua col tenente Roussel per tornare verso Nord, fermandosi nei vari villaggi dell’Hoggar. In tutto percorrerà 5000 chilometri, quasi tutti a piedi!]

A Henry de Castries – Dal deserto, 17 giugno 1904

…Le ho scritto una lunga lettera nel dicembre scorso, sembra che non le sia giunta, la posta è così poco sicura nel sud algerino…

…Queste tre grandi frazioni [Taitok, Iforas, Hoggar], la metà dei Tuareg, sono sottomessi, ma resta da entrare in relazione[20], da far cadere la loro diffidenza, sparire i pregiudizi contro di noi; farci conoscere, stimare, amare da loro, provare loro che li amiamo, stabilire la fraternità tra loro e noi, ecco quel che resta da fare…

Ho chiesto a Laperrine, mio vecchio amico, mio vecchio compagno (siamo stati sottotenenti insieme), il permesso di lavorare a quest’opera di fraternizzazione, me l’ha permesso, e ci sono da quattro mesi…

…Ho appena lasciato Laperrine che parte per In Salah; io resto ancora due o tre mesi qui con un distaccamento dei suoi cammellieri che continuano in questa regione l’opera di pacificare, di mettere in amicizia… Chiacchierare, dare medicine, elemosine, l’ospitalità dell’accampamento, mostrarsi fratelli, ripetere che siamo tutti fratelli in Dio, e che speriamo tutti un giorno nello stesso cielo, pregare per i tuareg con tutto il cuore, ecco la mia vita…

È a lei solo, mio caro ed eccellente amico, che do questi dettagli; non li comunichi: sono dal mio cuore al suo cuore… Quando tornerò a Beni-Abbès? Forse in ottobre, forse non ancora… Sono schiavo, schiavo di GESÙ… la mia vocazione ordinaria è la solitudine, la stabilità, il silenzio… Ma se credo, per eccezione, di essere chiamato talvolta ad altre cose, non ho che da dire “Ecce ancilla Domini”, l’amore obbedisce sempre quando l’amore ha Dio per oggetto…

…Di geografia, d’esplorazione, non ne faccio l’ombra; mi lascio portare come una vettura, non è neppure un’evangelizzazione propriamente detta, non ne sono degno, né capace e l’ora non è venuta, è il lavoro preparatorio all’evangelizzazione, il mettere in fiducia, in amicizia, pacificare, fraternizzare, tra i Tuareg e i Taitok[21]

[Da tempo il governo francese proibiva proselitismi e nuove fondazioni, per di più il 4 luglio 1904 il Senato aveva votato, oltre alla confisca dei beni, la soppressione di migliaia di conventi, chiudendo oltre 2000 scuole gestite da religiosi. Il 30 luglio si giungeva alla rottura delle relazioni con la Santa Sede (durata diciassette anni).  In questa situazione, per Charles era impossibile ricevere ufficialmente compagni. Si accontenterebbe di uno solo, che venga a titolo di “giardiniere” o inserviente… Nell’ottobre dello stesso anno i Trappisti, temendo l’espulsione anche nell’Algeria metropolitana, chiuderanno Staueli: gran parte di loro troverà rifugio in Italia (e sarà la decadenza), mentre alcuni, come p. Jérôme, si secolarizzeranno, restando in Algeria come preti diocesani.]

A padre Charles Guérin – Amra (circa 400 chilometri a sud-sud-est d’In-Salah) – 4 luglio 1904

Amatissimo e venerato Padre. Il giretto prosegue senza incidenti; senza cambiamenti nei progetti… Non ho ricevuto altre sue lettere… Gliel’ho detto, la presente passeggiata è tutta di pacificazione. …Lo accompagno [il capitano Roussel], vedendo quel che vede lui, parlando loro con lui, dando dei medicinali e piccole elemosine, cercando di far conoscenza e di far comprendere loro che sono un servo di Dio, e che li amo… Posso celebrare la santa messa tutti i giorni, sotto la tenda… Il tempo che non è dato alla preghiera, al prossimo, al cammino, al corpo, è impiegato allo studio del tamahaq[22]e alla traduzione dei santi vangeli in questa lingua: quello di San Luca è quasi finito; comincerò poi gli altri.

Gli indigeni ci ricevono bene. Non è sincero: cedono alla necessità… Quanto tempo ci vorrà perché abbiano i sentimenti che simulano? Se un giorno li avranno, sarà il giorno che diventeranno cristiani… Sapranno separare i soldati dai preti, vedere in noi dei servi di Dio, ministri di pace e di carità, fratelli universali? Non so… Se faccio il mio dovere, GESÙ effonderà abbondanti grazie e comprenderanno.

Ho un infinito bisogno di tre cose, per le quali chiedo tanto le sue preghiere e quelle dei miei padri, fratelli e sorelle della Prefettura del Sahara: – 1° la conversione, la salvezza di questo popolo tuareg, – 2° dei santi operai evangelici per lavorare in questo campo, – 3° la mia personale conversione.

Se mi convertissi, otterrei le due prime cose, ma sono così miserabile!

Potrebbe cercare di rendermi due grossi servizi: il primo sarebbe di vedere se non trovasse un’anima di buona volontà chiamata da GESÙ a condividere la mia vita[23] – la vita dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù – senza nessun addolcimento, che sia pronto a soffrire tutto e disposto ad obbedirmi in ogni cosa buona… …Qualunque sia quest’anima di buona volontà, e in qualunque posto mi trovi, potrei farlo venire come inserviente, giardiniere…

Il secondo servizio è più facile: sarebbe di farmi copiare il regolamento dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore e d’inviarmelo per posta. Sono contento che lei conservi l’esemplare che ha, lo mette al riparo; la copia che ho a Beni-Abbès, Dio sa quando la ritroverò. Mi dispiace di non avere questo regolamento con me, perché è la mia guida e mi aiuta a camminare.

…Quest’anno, ogni giorno del mese del Sacro Cuore, nell’Hoggar è stata celebrata una messa… Preghi ancora e affretti con le sue preghiere l’ora che vi si stabiliranno un tabernacolo e un altare fisso… Preghi per la mia fedeltà: in mezzo a tante grazie di Dio, davanti a tanto bene da fare, ne ho tanto bisogno!

Prima di decidermi a lasciare il mio amico[24] e a restare con questo nuovo distaccamento, avevo esitato… Mi felicito tutti i giorni della decisione presa. Mai sono stato in così buone condizioni per fare l’opera di GESÙ. Ringrazio di cuore il buon Dio di avermi fatto restare[25]

Alla cugina Marie de Bondy – Uadi El Abiodh, 6 settembre 1904

Da quando ho cominciato questo secondo giro ho potuto celebrare la santa Messa tutti i giorni, senza eccezione… Il mio secondo viaggio sta per giungere al termine. Fra una dozzina di giorni – verso il 20 a settembre – arriverò probabilmente a In-Salah. Di là partirò immediatamente per il Nord, ma a piccole tappe, fermandomi un poco in ogni villaggio (ce ne sono circa 300) del Tidikelt, del Touat e del Gourara… Farò come mi sembrerà meglio, secondo le circostanze. È probabile che dovrò tornare qui sia quest’inverno sia la prossima primavera… Cercherò di fare come meglio potrò… Preghi per me, affinché faccia la volontà dell’unico amatissimo GESÙ… – Ho finito da poco la traduzione dei santi Vangeli in lingua tuareg: i Tuareg hanno una lingua ed una scrittura proprie, ma non hanno libri; la loro scrittura, per comodità, serve solo per brevi iscrizioni, o tutt’al più per brevi lettere; non esiste nessun libro in questa lingua: è per me una grande consolazione che il loro primo libro siano i santi Vangeli[26]

[Il 12 dicembre, finito ormai il viaggio verso Sud, Charles raggiunge i Padri Bianchi a Ghardaia (padre Guérin gli è venuto incontro a una giornata di cammino!). Vi rimane circa sei settimane per riposarsi, fare il ritiro anticipato del 1905, sistemare gli appunti presi in viaggio su possibili fondazioni di Padri Banchi[27]

Scrive intanto, per la prima volta, ad una giovane donna di Lione, Suzanne Perret[28], per avere un sostegno di preghiera e di offerta.] 

A Suzanne Perret – Ghardaia, 15 dicembre 1904

Mia sorella in Gesù, avendo gran bisogno di preghiere, vengo a cercarne, a chiederne nella mia famiglia – la famiglia intima del Cuore di Gesù[29]… Dopo l’ultima lettera che ho ricevuto da don A. Veyras, datata Venerdì Santo, gli ho scritto più volte senz’avere risposta; forse è malato, o ha cambiato indirizzo. Oltre a lui, lei è l’unica della nostra famiglia di cui io sappia l’indirizzo; perciò scrivo a lei, sentendo il bisogno ed avendo il dovere di raccogliere tutte le forze che posso trovare per l’opera di Gesù.

Nel rivolgermi a lei, le chiedo non soltanto il suo aiuto personale, ma di raccogliere anche lei tutte le forze che può per quest’opera di Gesù, che vedo così chiaramente dovere essere intrapresa, alla quale credo così fermamente di dover lavorare.

La prego quindi di mostrare questa lettera a don Crozier, la prego di chiedere, per l’opera di Gesù alla quale lavoro, aiuto, supplica, immolazione, a quei nostri fratelli e sorelle che Gesù le ispirerà.

L’opera a cui da molto tempo vedo di dover consacrare la mia vita è la formazione di due piccole famiglie che portino una il nome di “Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù”, l’altra quello di “Piccole Sorelle del Sacro Cuore di Gesù”, aventi ambedue uno stesso fine, la glorificazione di Dio mediante l’imitazione della vita nascosta di Gesù, l’adorazione perpetua dell’ostia santa, la conversione dei popoli infedeli.

…Non conoscendo terre più sperdute, più desolate, più abbandonate, più prive di operai evangelici del Sahara e del Marocco, ho chiesto ed ottenuto l’autorizzazione di porre alla loro frontiera un Tabernacolo e di raggrupparvi alcuni fratelli nell’adorazione dell’ostia santa. Ci vivo da diversi anni – solo, fino ad oggi… Mea culpa, mea culpa, mea culpa: se il chicco di frumento che cade in terra non muore, resta solo; se muore, porta molto frutto… Io non sono morto, perciò sono solo… Preghi per la mia conversione, affinché morendo porti frutto.

Sono qui presso il buono e santo Prefetto apostolico del Sahara, che mi autorizza a lavorare a quest’opera nella sua Prefettura. Tra qualche giorno ritorno nella mia cella, vicino al Tabernacolo solitario, sentendo più vivamente del solito che Gesù vuole che io lavori per la fondazione di questa duplice famiglia… Lavorare per questa: ma come? Supplicando, immolandomi, morendo, santificandomi, in una parola amandoLo.

… “Nostro Signore ha fretta…”[30]. La sua vita nascosta, così povera, abietta e raccolta di Nazareth non è imitata… Adorare l’ostia santa, dovrebbe essere questa la cosa essenziale della vita di ogni essere umano… Il Sahara, grande otto o dieci volte più della Francia, e più popolato di quanto si creda, possiede tredici preti. Nell’interno del Marocco, grande come la Francia, e con una popolazione dagli otto ai dieci milioni di abitanti, non c’è un solo prete, non un tabernacolo, non un altare.

“Nostro Signore ha fretta…”. I giorni concessici per amarLo, per imitarLo, per salvare insieme a Lui le anime, passano: e non Lo si ama, non Lo si imita, non si salva.

Che lo Sposo, che il nostro Fratello Gesù la ispiri, la guidi, le insegni ad aiutarmi secondo la sua volontà.

In questo momento la Santissima Vergine, che portava dentro di sé il Bambino Gesù, andava con San Giuseppe da Nazareth a Betlemme attraverso le aspre strade di Israele e nella rigida stagione invernale. Qualche giorno dopo nostro Signore nasceva nella povera grotta. Quanta oscurità, quante sofferenze, quanta povertà al di fuori, all’apparenza! Ma quale abisso di felicità, di gloria, di luce al di dentro, nelle anime di Maria e di Giuseppe e soprattutto di Gesù! … Cercando, in questo sacro tempo, di unirmi al nostro Fratello Gesù ed ai nostri genitori Maria e Giuseppe, mi unisco anche con tutta l’anima, a tutti i nostri Fratelli e Sorelle della Famiglia del divin Cuore, ogni giorno porto al santo Altare il ricordo di nostro padre e di tutti i Fratelli e Sorelle; più che mai sarò con loro a Natale, unendomi a loro davanti al presepio. Farò ogni giorno per lei, mia sorella in Gesù, suppliche particolari: è la volontà dell’Amatissimo, dal momento che m’avvicina soprattutto a lei.

Se mi scrive, non risparmi i consigli. Mi dica tutto quello che vuole essere idoneo a dar gloria a Gesù… Mi parli come si parla nella grotta di Betlemme, e sotto il tetto di Nazareth.

Gesù sia con lei e viva in lei. Suo umile fratello in Gesù. – fr. C. di Gesù[31].

[Rientrato a Beni-Abbès dopo circa un anno di viaggio attraverso il Sahara, il 27 un telegramma gli annuncia la morte della madre di p. Guérin e gli scrive una lettera di grande tenerezza.]

A padre Charles Guérin – Beni-Abbès, 28 gennaio 1905

Amatissimo e veneratissimo Padre. Ricevo il suo doloroso dispaccio… È arrivato ieri sera. Stamattina, la messa è stata per quest’anima così cara – cara a lei – molto più cara al CUORE di GESÙ. …Non ha più bisogno di riposare… È entrata nel luogo dell’inondazione di pace, dove non c’è più né pianto, né piogge, né vento, né inverno, perché queste prime cose sono passate… Quando saremo lassù? Eccola per sempre – sempre, l’eternità – ai piedi del Maestro adorato… Oso appena pensarvi per me, a questo soggiorno di cui sono così indegno… Oseremmo averne la speranza, se Dio non ce ne facesse un dovere? … Le nostre miserie, le mie, sono tali! Ma il suo CUORE colma tutti gli abissi, annienta gli ostacoli… La speranza è la fede al suo CUORE… Prego, pregherò sempre, per questa cara madre, che conosco attraverso di lei, benché ella non ne abbia, spero, bisogno… Sant’Agostino pregò sempre per santa Monica: mi regolo su quest’esempio… La sua conversazione sarà sempre più in cielo… Vi troverà non soltanto l’Unico adorato, ma anche questa cara madre. Ormai, per lei, niente più distanza, niente più assenza; giorno e notte la sente, veglia su di lei, risponde con le preghiere alle sue questioni, alle sue domande. Per sua madre, la barriera è infranta, il muro crollato, la notte finita, “Il mio amore è mio ed io sono sua”[32]… Com’è felice! … E non spaventiamoci del vuoto che ha lasciato presso anime alle quali sarebbe utile: è il divino Maestro che ha fissato l’ora della sua partenza. Fa bene quello che fa; lui, che l’aveva donata, saprà donare altre cose e supplire con i mezzi che conosce… La separazione, per i pochi anni che le restano da vivere, è una croce, croce accettata con tutte le altre il giorno in cui ha detto a GESÙ che l’ama: croce apparente, perché la gioia della beatitudine di quest’anima tanto amata, la conversazione ogni giorno più intima e continua con lei, l’aspirazione crescente all’unione totale con GESÙ, la fatica crescente della vita terrestre, non le lasciano presto altro che la gioia di sentirla accanto a GESÙ e il desiderio di raggiungerla.

Sono arrivato qui il 24… Contavo di scriverle a lungo oggi e di completare la mia risposta a mons. Livinhac, non ancora partita… La visita a Beni-Abbès del generale Lyautey, arrivato oggi e che riparte dopodomani per Ain-Sefra, mi ha impedito di scriverle… Le scriverò, a lei e a monsignore, con il prossimo corriere.

GESÙ è nel suo piccolo tabernacolo di Beni -Abbès dal 25 mattina. Gioia profonda. “Venga il tuo Regno!”.

Se mi trova un compagno, è inteso che non lo voglio che a tre condizioni: essere pronto ad avere la testa tagliata, a morire di fame, a obbedirmi in tutto ciò che è bene; inoltre bisognerà che venga come giardiniere.

Baciamo la croce che GESÙ invia… Più ci siamo attaccati, più siamo uniti a GESÙ che vi è inchiodato. Non si può, in questa vita, stringere GESÙ se non stringendo la croce… E benediciamo per la beatitudine dell’anima amata[33]

[Il generale Hubert Lyautey (1854-1934), che rivolgeva i suoi interessi al Marocco (e vi entrerà nel 1912), comandava la divisione d’Ain-Sefra dall’ottobre 1903. Non aveva mai incontrato de Foucauld, ma era amico di suo cugino Louis e del cognato Raymond de Blic. Forse interessato dalle conoscenze di Charles, passa a Beni-Abbès 36 ore e la domenica 29 gennaio 1905 assiste alla messa nella “fraternità”. In seguito, racconterà:      

               “Abbiamo cenato insieme, con gli ufficiali, il sabato, nella ridotta. Dopo cena fu messo un fonografo che tirò fuori canzoni montmartresi. Guardavo Foucauld, dicendomi, ‘uscirà’. Non uscì, rideva perfino. L’indomani, domenica, alle 7, gli ufficiali ed io, assistemmo alla messa nell’eremo. Una catapecchia, quell’eremo! La sua cappella, un miserabile corridoio a colonne, coperto di cannicci! Per altare, un asse! Per decorazione, un pannello di cotone con un’immagine di Cristo, dei candelabri di latta[34]! Avevamo i piedi nella sabbia. Ebbene! non ho mai visto dire una messa come la diceva Padre de Foucauld. Mi credevo nella Tebaide. È una delle più grandi impressioni della mia vita”[35].

Ad un signore che lo mette in guardia sui pericoli del Sahara, ricordandogli la sorte dell’amico comune Antoine de Morès, che era stato collega di Charles a Saint-Cyr e soprattutto alla Scuola di Cavalleria di Saumur (1878-79), massacrato l’8 giugno 1896 nel deserto dalle guide Tuareg, Charles scrive una lettera premonitrice.]

Al marchese de la Rochethulon – Beni-Abbès, 18 marzo 1905

Caro amico, monsignor Livinhac mi trasmette il suo biglietto. Sì, sono in mezzo a questi popoli che hanno ucciso il mio amico, e lo vendico rendendo il bene per il male, cercando di dar loro la vita eterna.

Quel caro Morès[36], al quale penso, per il quale prego tutti i giorni, mi aiuta in questo. In cielo, in seno alla carità immensa in cui è annegato, non ha altro che preghiere e amore per questi musulmani che hanno versato il suo sangue e forse verseranno il mio. Ma lavoriamo insieme, lui lassù, glorioso, io quaggiù alla stessa opera di salvezza e d’amore. Ci aiuti con le sue preghiere! … – Charles de GESÙ (Foucauld)[37].

[In Francia si susseguono le chiusure dei conventi, e la libertà d’insegnamento per le scuole primarie è soppressa.]

A padre Guérin – Beni-Abbès, 21 marzo 1905

… Nello stato attuale della nostra povera Francia, anche se lei ottiene di fondare delle case di padri o di suore, non otterrà che di fondarne un piccolo numero. Se anche ottenesse di fondarne molte, mettendo tutto al meglio, la loro durata sarebbe dubbiosa, su un territorio così profondamente perturbato. Credo che ci sarebbe modo di formare “incognito” degli operai e operaie apostolici propri ad andare sotto l’abito laico, chi come commerciante, chi come colono coltivatore, a portare in segreto GESÙ lontano… Che questi commercianti, questi coltivatori, facciano venire, una volta stabiliti, le loro sorelle per aiutarli, niente di più semplice… Ci vorrà, è evidente, prudenza; ma è fattibile, poiché non è altra cosa che la vita dei primi cristiani, di Paolo fabbricante di tende, di Pietro che conduce una sorella con lui[38]

[Torna presto l’appello di Laperrine per una nuova spedizione nell’Hoggar guidata dal capitano Dineaux. Charles esita, ma questa volta è p. Guérin, dopo aver consultato in Francia don Huvelin il 19 aprile, che gli scrive, per telegramma militare: “Saremmo propensi ad accettare l’invito, lasciandola libero di considerare l’opportunità secondo le circostanze”. Charles scrive subito a Laperrine pregandolo di scrivergli se è bene partire e se fa ancora in tempo.  Quando arriva il telegramma del comandante, Charles (il 3 maggio 1905) si è già messo in cammino approfittando di un’occasione insieme a Paul Embarek[39]…]

Scriveva in una meditazione il 22 aprile 1905, Sabato Santo, l’indomani del telegramma di padre Guérin:

Tu sei un servo inutile. Devi fare con tutte le tue forze, con ogni cura e ardore possibile non soltanto tutto quello che Egli comanda, ma tutto ciò che ti consiglia, per leggero che sia; tutto ciò che Egli propende, sia pur di poco, a vederti fare: per amore, per obbedienza, per imitazione: così Egli obbediva alla minima indicazione del Padre suo ed è l’obbedienza che tu gli devi, è così che si obbedisce quando si ama: una tale obbedienza è inseparabile dall’amore. Ma è tanto certo che devi obbedire così e lavorare, con tutte le tue forze, in tutti gli istanti della tua vita, all’opera, alle opere, che Dio ti dà da fare, quanto è certo che sei un servo inutile, che ciò che fai, Dio potrebbe farlo fare da altri, o senza nessun altro, in tutti i casi senza di te: tu sei un servo inutile. Gesù ha vissuto soltanto trentatré anni e ha taciuto per trenta, e la tua vita, la tua salute, le tue parole sarebbero utili a Dio? Tu sei un servo inutile: lavora con tutte le tue forze: è un dovere d’imitazione, d’obbedienza, d’amore: così si lavora quando si ama, questo lavoro è inseparabile dall’amore, ma del tuo lavoro Dio non ha bisogno: sei un servo inutile[40]

[1] La decisione di seguire Laperrine, presa in questo “mese del Sacro Cuore”. Il 24 giugno aveva già scritto a p. Guérin dei suoi progetti, indicando, per un’eventuale insediamento tra i Tuareg, che vi avrebbe costruito una celletta con un oratorio “ma senza clausura”, per essere “in relazioni sempre più intime con i Tuareg” (CS, p. 195; cf. CBA, 22 luglio 1903, p. 77).

[2] Charles si sapeva lasciar condurre dalle circostanze (cf. CS, p. 203) come segno inequivocabile della volontà di Dio.

[3] In realtà passeranno anche più di due anni senza poter raggiungere un altro prete.

[4] CS, 197-199.

[5] Stagione è sottolineato tre volte e la citazione è di Lc 16, 8.

[6] CS, 212-213. Si noti l’importanza di quest’argomento: quello che aveva vissuto in Marocco rimaneva un punto di riferimento!

[7] Cf. VN, p. 156-160.

[8] CS, p. 222.

[9] La domanda è riprodotta integralmente in appendice a LAL, p. 120-125 e in CCDP, p. 318-322.

[10] CS, p. 227 e ss.

[11] “Dio è più grande” o “il più grande” è la proclamazione di fede dell’Islam, ripetuta cinque volte al giorno, lanciata a incitare alla “guerra santa”. Charles usa quest’espressione soltanto con de Castries, il solo che può comprendere, essendo studioso dell’Islam e appassionato del mondo nordafricano. Solo a de Castries aveva confessato la “seduzione” lo “sconvolgimento” provocato in lui dall’Islam (8 e 15 luglio 1901, LHC, p. 86-91), e gli aveva confidato la storia della sua conversione, così legata all’Islam nei suoi inizi (14 agosto 1901, LHC, p. 92-101). Ha sapore islamico anche la famosa confessione: “…la mia vocazione religiosa data della stessa ora della mia fede: Dio è così grande! C’è una tale differenza tra Dio e tutto quello che non è Lui!” (LHC, p. 96-97).

[12] LHC, p. 144-145.

[13] LAH, 13 dicembre 1903, p. 181.

[14] CS, p. 262. Charles tornerà a Beni Abbès nel gennaio dell’anno successivo. Si possono seguire tutte le tappe di questo primo viaggio in CBA, p. 87-168. Si noti che, dal 1904 alla morte nel 1916, Foucauld percorrerà 25.000 chilometri di deserto quasi tutti a piedi! Si possono seguire tutte le tappe di questo primo viaggio in CBA, p. 87-168.

[15] LMB, p. 109. Sembra ricongiungersi, con Agostino e Monica, il filo spezzato dall’Islam.

[16] Cita a memoria, inesattamente, Is 8, 6: le acque di Siloe che scorrono in silenzio. Cf. CS, p. 263-264.

[17] CBA, p. 101-105. Per il riferimento latino cf. Atti, 10, 34, che cita a memoria non esattamente.

[18] CBA, p. 110. Cf. anche Col 3,3.

[19] Cf. CS, p. 270.

[20] Apprivoiser: si traduce secondo il senso, non alla lettera. Non esiste un termine perfettamente corrispondente: più che “addomesticare” o “ammansire” si potrebbe tradurre, come spiega Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, con creare legami (cf. ed. Bompiani, Milano 1976, p. 95-96). Fr. Charles, del resto, assocerà sempre questo termine a “prendere contatto, mettersi in relazione, fiducia, amicizia, pacificare, fraternizzare” e simili (cf. CS, p. 260, 263, 268, ecc.).

[21] LHC, p. 152-155.

[22] O tamasheq, o trascrizioni simili: la lingua tuareg.

[23] Prima aspettava dei fratelli, ora si accontenta di uno. I tentativi fatti anche presso i Trappisti di Staueli non erano andati in porto. Ma non si stancherà di tornare alla carica.

[24] Il comandante Laperrine.

[25] C S, p. 272-74.

[26] LMB, p. 112-113. Si accorgerà presto, progredendo nella conoscenza della lingua, che i Vangeli sono molto mal tradotti: penserà di correggerli quando la lingua sia ulteriormente perfezionata, ma non ne avrà mai il tempo. Questa lettera è scritta di passaggio dal luogo dove sorgerà la prima fraternità dei Piccoli Fratelli di René Voillaume nel 1933, il centro da dove era divampata la sommossa antifrancese sedata dalla campagna del 1881-82 a cui aveva partecipato Foucauld.

[27] Cf. CS, p. 301.

[28] Suzanne Perret (1874-1911), segnata dalla povertà e dalla malattia, era discepola dell’abbé Antoine Crozier (1850-1916). Crozier, grande maestro spirituale, dopo aver passato alcuni anni nel “Prado”, aveva infatti riunito attorno a sé, in maniera informale, persone che volessero dedicarsi a una vita di fede profonda e di offerta. Per loro aveva scritto alcuni libri di consigli spirituali, tra i quali Excelsior, e uno di loro, l’abbé Veyras del Seminario Maggiore di Nîmes (in contatto con Notre-Dame des Neiges), lo inviò nel 1903 a Foucauld. Trovandovi espresse le sue convinzioni profonde, si mise in contatto con l’autore, che incontrò in seguito nei suoi viaggi in Francia nel 1911 e nel 1913, e iniziò a corrispondere con alcuni suoi discepoli, tra i quali appunto Suzanne Perret, che subito offrì le sue sofferenze a fr. Charles, come gli scrisse seguito. Per conoscere l’abbé Crozier, si legga AAD, p. 92-95. Charles ricorderà in seguito l’anniversario della sua morte, il 17 giugno, come risulta dalle” date anniversarie intime”, in VN, p. 185.

[29] Era la famiglia spirituale dell’abbé Crozier, della quale fr. Charles era diventato membro.

[30]  Riferisce, probabilmente, una frase dell’abbé Crozier.

[31] Citata per intero in OS, questa lettera è presentata qui in una diversa traduzione dall’originale.

[32] Ct 2, 16.

[33] CS, p. 310-312.

[34] In realtà erano di legno dipinto.

[35] B, p. 261.

[36] De Morès era uno dei pochi amici di cui segnala la data della morte in un quadernetto di note e date da ricordare, riprodotto in VN, p. 181 e ss.  (la data della morte di Morès è a p. 185).

[37] Lettera citata integralmente nel volume di George Gorrée Les Amitiés Sahariennes du Père de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, p. 376, in nota, dove è datata, però, 1903, come nel BACF n. 145, janvier 2002, p. 5, mentre altri, citandola in parte, la datano più realisticamente 1905, come J.F. Six, Vie de Charles de Foucauld, Seuil, Paris 1962, p. 126.

[38] Allusione ad Atti 18, 3 e 1Cor 9, 5. L’idea di un apostolato “laico” va maturando. Cf. CS, p. 325.

[39] CS, p. 335-336.

[40] SG, p. 252-253.

Il banchetto ai poveri

Charles de Foucauld

Dalle lettere e meditazioni

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

6. Il banchetto ai poveri – A Beni-Abbès

Partito da Algeri il 15 ottobre, raggiunge Beni-Abbès il 28 ottobre, solo prete in un raggio di 400 chilometri di deserto. Beni-Abbès erano stati occupati dall’esercito solo otto mesi prima dell’arrivo di Charles de Foucauld e le indefinibili frontiere col vicino Marocco non erano affatto “pacificate”. Nessuno poteva viaggiare senza lasciapassare né senza scorta militare.

In quel periodo Beni-Abbès era un’oasi di sei o settemila palme, alla cerniera tra il deserto di pietre e quello di sabbia, abitata da berberi, da arabi, da schiavi, o lavoratori figli di schiavi neri, da alcuni commercianti spagnoli e ebrei, oltre alla guarnigione composta di 700-800 soldati francesi1. Arrivato a cavallo con un ufficiale, Charles celebra la prima messa nella guarnigione il 29 ottobre, si mette subito a costruire con l’aiuto di alcuni soldati, il suo eremo, che chiama la Fraternità del Sacro Cuore. La cappella è terminata il 30 novembre e il 1° dicembre, esattamente quindici anni prima della morte, vi celebra la prima messa.

 

Lettera al compagno di Liceo Gabriel Tourdes. 2

Mio carissimo amico, amico dei primi anni e di tutti gli anni, sono stato molto tempo senza scriverti e mai senza pensare a te come mai senza amarti… Tu sei rimasto “l’amico” e, se oso servirmi di una parola di Nostro Signore Gesù “la tua parte non ti è stata tolta”3.

Dopo la mia ultima lettera, datata da Roma4, ho passato quattro anni come eremita in Terrasanta, vivendo del lavoro delle mie mani come GESÙ sotto il nome di “fratel Carlo”, sconosciuto da tutti e povero e godendo profondamente dell’oscurità, del silenzio, della povertà, dell’imitazione di GESÙ – l’imitazione è inseparabile dall’amore, tu lo sai, chiunque ama vuole imitare: è il segreto della mia vita: ho perduto il cuore per questo GESÙ di Nazareth crocifisso 1900 anni fa e passo la mia vita a cercare di imitarlo per quanto possa la mia debolezza –. Poi sono stato a trascorrere un anno in un convento, a studiare, e vi ho ricevuto gli Ordini Sacri. Prete dal mese di giugno scorso, mi sono sentito chiamato subito ad andare verso le “pecorelle smarrite”, verso le più perdute, verso le anime più abbandonate, le più trascurate, per compiere verso di loro quel dovere di amore, comandamento supremo di GESÙ: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, “da questo si riconoscerà che siete miei discepoli”5. Sapendo per esperienza che nessun popolo era più abbandonato dei musulmani del Marocco, del Touat, del Sahara algerino (vi sono tredici preti per una diocesi grande 7 o 8 volte la Francia, e con 12-15 milioni di abitanti almeno), ho chiesto e ottenuto il permesso di venire a Beni-Abbès, piccola oasi del Sahara algerino ai confini del Marocco, e di viverci da solo, come monaco di clausura6, cercando di santificarmi e di condurre le altre anime a GESÙ non con la parola e la predicazione, ma con la bontà, la preghiera, la penitenza, l’esempio della vita evangelica, soprattutto con la presenza del Santissimo Sacramento… In un vallone solitario, a qualche centinaia di metri dall’oasi, coltivo un po’ d’orzo e qualche albero: su una roccia che lo domina un umile oratorio e una cella ancora più umile sono la casa del buon Dio e l’alloggio del suo servo… Caro amico, se il cuore ti dicesse di farmi visita, tu sai con quale felicità ti abbraccerei, condividendo con te la cella: ti verrà servito il più bel pane d’orzo e i più bei datteri, e parleremo del passato, del presente più dolce ancora, e dell’avvenire ancor più gradevole… Sono felice, felicissimo, estremamente felice, benché non cerchi in nulla la felicità da molti anni.

Caro amico, ti ho detto tutto quello che mi riguarda; aggiungo che mia sorella sta bene; è sposata benissimo, con un marito eccellente, ed ha 7 figli dei quali 6 viventi sulla terra e in buona salute, e uno in paradiso che vive della vera vita di cui questa non è che il preludio.

Dammi tue notizie e notizie di tutti i tuoi, caro amico, sai quale venerazione io abbia per il tuo caro e ottimo padre: porgigli i miei profondi ossequi; abbraccia da parte mia Totò7 e pregalo di perdonare l’enorme libertà che mi prendo chiamandolo con questo nome. I miei umili saluti a tua sorella.

Il tuo vecchio amico che ti ama con tutto il cuore nel CUORE DI GESÙ – fr. Charles di Gesù

Se vedi i Latouche o i Lagabbe esprimi loro le mie più cordiali affettuosità.

Non hai forse molte immagini pie sulla tua scrivania o sulle tue pareti… Ricevi questa Madonna romana 8 da un vecchio amico che ti ama con tutto il cuore.

Alla cugina Marie de Bondy – Beni-Abbès, 7 gennaio 1902

Mi ha chiesto di descriverle la cappella 9… La cappella – dedicata al Sacro Cuore di Gesù – si chiama “la cappella della fraternità del Sacro Cuore di Gesù”, la mia piccola dimora si chiama “la fraternità del Sacro Cuore di Gesù” la mia piccola dimora si chiama “la  fraternità del Sacro Cuore di Gesù”… Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani e ebrei e idolatri a guardarmi come loro fratello – il fratello universale… Cominciano a chiamare la casa “la fraternità” (la khaoua10 in arabo), e questo mi è dolce… – All’interno la cappella è a calce rustica grigio scuro di un gradevole colore naturale…[segue la descrizione dettagliatissima della cappella]11.

[Colpito dal fenomeno “vergognoso” della schiavitù, tollerata, se non favorita, dalle autorità militari, scrive lettere indignate ai superiori ecclesiastici, ad amici e parenti influenti, religiosi e laici, per ottenere che una simile ingiustizia venga estirpata definitivamente. Il 9 gennaio 1902 riscatta il primo schiavo, e ne riscatterà altri in seguito12.]

Alla cugina Marie de Bondy – Beni-Abbès, 31 gennaio 1902

Vivo di pane ed acqua 13, il che mi costa 7 franchi al mese… Il solo capitale che avevo al momento di lasciare la Francia lo posseggo ancora oggi: è la frase di Gesù che dice “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”14. L’unica risorsa nella difficoltà è cercare di fare nel modo più perfetto ogni cosa, pregare, dire l’ufficio, fare tutto con più fervore, con più perfezione; fino a questo momento non mi è mancato nulla: sono contentissimo… I soldati vengono tutti i giorni da me… gli schiavi riempiono la casetta che siamo riusciti a costruire… i viaggiatori vengono diritti diritti da noi… i poveri abbondano… Tutto è ancora in germe, e dipende da me che la messe sia abbondante: “già essa comincia a imbiancare”15; se sono abbastanza santo, se cerco come si deve il regno di Dio e la sua giustizia “essa sarà certamente abbondante”16

[Il pensiero del Marocco gli è sempre presente, e Charles chiede all’amico comandante Lacroix (che gli aveva ottenuto il permesso per Beni-Abbès), di fargli trovare i mezzi per un passaggio “discreto” in Marocco.]

Al comandante Lacroix – Beni-Abbès, 22 gennaio 1903

…I Marocchini vengono da noi, ma noi non andiamo da loro… La reciprocità è indispensabile. Non vedo ancora occasioni di andare, come vorrei, prima a passare qualche giorno, poi qualche settimana, poi qualche mese da loro, poi comparvi una casetta e avervi un piccolo insediamento… Non vedo occasione, ma si potrebbe presentare da un giorno all’altro – forse non al Tafilelt che è abbastanza fanatico, ma al Dra dove ho degli amici…non vedo occasione al presente. Ma si potrebbe presentare d’un giorno all’altro e allora ne vorrei approfittare in fretta e in segreto, senza perdita di tempo e senza mettere tutto a rumore con delle domande d’autorizzazione17

[Il 7 maggio 1902, in uno scontro presso Tit, al centro dell’Hoggar, i Francesi sconfiggono per la prima volta i Tuareg. Due anni dopo Charles raccoglierà una poesia tuareg che canta questa famosa battaglia e il grande coraggio del Tuareg tre volte ferito e tre volte rialzato18.

  Padre Guérin, Prefetto Apostolico del Sahara, parte in febbraio per la sua prima visita pastorale del Sahara e raggiungerà fr. Charles a Beni-Abbès alla fine di maggio 1903, per Pentecoste.]

A padre Guérin – Beni-Abbès, 27 febbraio 1903

Mio amatissimo e veneratissimo padre, con tutto il cuore la seguo col pensiero, nel suo viaggio, benedicendo GESÙ che è cominciato, supplicandolo di trarne la grandissima gloria del suo CUORE… Oh! sì, con tutta l’anima acconsento, nonostante il mio ardente desiderio di vederla, al fatto che il suo arrivo sia ritardato al di là delle previsioni, se un viaggio più lontano verso il Sud può causare questo ritardo: Venga il tuo Regno!  Mio amatissimo Padre, sono miserabile senza fine, però ho un bel cercare in me, non trovo altro desiderio che questo: Venga il tuo Regno! Sia santificato il tuo Nome! … Mi chiede se sono pronto ad andare altrove che a Beni-Abbès19 per l’estensione del Santo Vangelo: sono pronto per questo ad andare in capo al mondo e a vivere fino al giudizio universale… Non creda che, nel mio genere di vita, giochi in qualche modo la speranza di godere al più presto della visione dell’Amatissimo. No, voglio una cosa sola, è di fare quello che gli piace di più; se amo il digiuno e la veglia, è perché GESÙ le ha amate tanto; invidio le sue notti di preghiera in cima alle montagne, vorrei tenergli compagnia: la notte è l’ora del tête à tête, l’ora del colloquio amoroso, l’ora della veglia sul CUORE dello sposo… Purtroppo sono così freddo che non oso dire che l’amo; ma vorrei amare20! Vorrei questi lunghi tête à tête notturni… Ecco perché amo la veglia; amo la veglia: non veglio, purtroppo! Posso vegliare sempre meno… Quanto al digiuno, in obbedienza alla sua lettera, l’alleggerirò con tutte le mie forze, mangerò bene e berrò del latte; del resto secondo l’ordine di don Huvelin, ho molta cura di me da diversi mesi, usando latte concentrato, e mangiando a sazietà… sia certo, veneratissimo e caro Padre,  che la sua lettera, le sue raccomandazioni avranno per il mio sonno e il mio nutrimento effetto immediato e serio… D’altra parte, però, mi lasci dire che le informazioni sulla mia salute e il mio modo di vivere date da un ufficiale, per quanto sia uomo eccellente, non sono tanto sicure: si ricorda quel che dice San Paolo, che quelli che vivono secondo la carne non sono in grado di giudicare le cose dello spirito21… Quando sarà qui, giudicherà in modo diverso da lui…

…Grazie di quello che mi dice per il mio giovane negro Paul22. Giudicherà, quando sarà qui, di quel che bisogna farne: è lei che deciderà. Dalla lettera che ho scritto alla superiora dell’orfanotrofio, mi sono accorto che non glielo potevo mandare, anche l’avesse voluto, e lei lo avesse consigliato: non è affidabile, non credo sia bene mandarlo via di qui. Deciderà lei… Non sono sorpreso della fuga di Joseph del Sacro Cuore23: L’esempio che mi sostiene di più nella vita quotidiana, quello che devo rimettermi davanti agli occhi ad ogni ora per dirigermi, è quello della condotta di Nostro Signore con Giuda Iscariota. Siamo circondati solo da questa realtà: neri, arabi, joyeux24È il ricordo della condotta di GESÙ con Giuda che dirige… Penso anche alle epistole ai Corinti, che mostrano questi primi cristiani di San Paolo sotto un aspetto così triste: è per la nostra speranza che sono scritte queste righe, perché, a vedere quel che ci circonda, ci si spaventa: “Quello che è impossibile a noi, è possibile a Dio”25.

…Il comandante Laperrine26 e il capitano Regnault non sono ancora arrivati. Durante l’assenza del capitano, la situazione è cambiata qui nei confronti delle tribù marocchine vicine. È partito lasciando la pace, troverà la guerra: le tribù limitrofe, i Baraber soprattutto, fanno razzie su razzie a nostre spese; si mostrano tanto ardite quanto aggressive. Siccome tutti i loro attacchi hanno avuto pieno successo, non mi stupirei che osassero senza misura, e nello stato attuale, ci si può aspettare di tutto da parte loro. Qualche giorno fa, i Beraber hanno fatto una razzia a venti chilometri a nord di Beni-Abbès, l’indomani a quaranta chilometri a sud, e più o meno nello stesso tempo, hanno attaccato un convoglio di centocinquanta cammelli verso El Morah (cinquanta chilometri a nord di Taghit).

…Le ripeto ancora che, benché abbia coscienza che non mi ammazzo, lontano da ciò (sono troppo indolente), e benché per obbedienza a don Huvelin mi curi di più rispetto all’autunno scorso, migliorerò ancora la dieta per obbedirle filialmente. A quest’ora ho già scritto a Padre Henri di mandarmi un supplemento di latte… E sia certo che, per GESÙ, sono pronto a tutto, senza restrizioni…

E anch’io le chiederò una cosa: preghi perché ami, preghi perché ami GESÙ! Preghi perché ami la sua CROCE, preghi perché ami la CROCE, non per se stessa, ma come il solo mezzo, la sola via, di glorificare GESÙ: il chicco di frumento non porta frutto che morendo; quando sarò elevato da terra, allora saprete chi Io sono27… E, come fa notare San Giovanni della Croce, è nell’ora dell’annientamento supremo28, della sua morte, che GESÙ ha fatto più del bene, che ha salvato il mondo… Ottenga dunque da GESÙ che ami veramente la CROCE perché essa è indispensabile per fare del bene alle anime… E la porto pochissimo… Sono fiacco0… Mi attribuiscono virtù che non ho… E sono il più felice degli uomini… Preghi per la mia conversione, perché ami GESÙ e faccia ad ogni momento quello che gli piace di più. Amen 29. …

A padre Guérin – Beni -Abbès 9 marzo 1903

Se ci sono delle ricognizioni importanti verso l’Ovest e se mi permettono di accompagnarle, bisogna accompagnarle?30 Cosa vuole il CUORE di GESÙ? Sono lo schiavo di questo divin CUORE. Ecco una schiavitù che non voglio abolire, ma di cui supplico il divino Amato di ribadire per sempre e sempre più i ferri… Mi dica la volontà del CUORE di GESÙ. La farò. Mi risponda presto, perché sia fatta la Volontà del divino Sposo31

[Fratel Charles mantiene i contatti con le Clarisse di Nazareth, che, tra l’altro, gli forniscono le ostie, oltre ad oggetti vari per la cappella e per la celebrazione (per esempio gli invieranno un altare portatile per i viaggi nel deserto).]

A Suor Saint-Jean du S. COEUR 32, Clarissa di Nazareth – Beni-Abbès, 13 maggio 1903

…Il mezzo più semplice e migliore di unirci al cuore del nostro Sposo, è di fare, dire, pensare tutto con Lui e come Lui, tenendosi in sua presenza e imitandoLo. A tutte queste cose che si fanno, dicono, pensano, dirsi: Gesù mi vede, Egli mi vedeva in questo istante durante la Sua vita mortale; come faceva Lui, diceva Lui, pensava Lui, in simili circostanze cosa farebbe Lui, direbbe Lui, penserebbe Lui al mio posto? GuardarLo e imitarLo. Gesù stesso ha indicato ai suoi apostoli questo metodo così semplice d’unione con Lui e di perfezione: è persino la prima parola che ha detto loro, sulla riva del Giordano, quando Andrea e Giovanni vennero a Lui: “Venite e vedete”, dice loro: Venite, ossia “Seguitemi, venite con me, seguite i miei passi; imitatemi, fate come me”; vedete, ossia guardatemi, tenetevi in mia presenza, contemplatemi.

Presenza di Dio, presenza di Gesù, e imitazione di Gesù, tutta la perfezione sta qui, è chiaro come il giorno che chi fa tutto come Gesù è perfetto. Gettiamoci dunque a corpo morto in questa divina imitazione (più dolce del miele al cuore che ama, addirittura bisogno violento per l’anima amante, bisogno tanto più imperioso quanto l’amore è più ardente) e guardiamo questo divino Amatissimo (non è né meno dolce né meno indispensabile all’amore). Chi ama si perde e s’inabissa nella contemplazione dell’essere amato…

[Ai trappisti che, come p. Yves Rocher di Staueli, anche senza conoscerli personalmente, pensa pronti a seguirlo, Charles scrive una lettera in cui presenta con precisione tutte le condizioni della famiglia religiosa in progetto.]

A padre Yves – Beni-Abbès, 20 aprile 1903

…Carissimo Padre, la nostra condotta è semplicissima; Gesù non ci chiede mai cose complicate, ma a tutti, una semplicità di bimbi piccoli, unita a una grande prudenza, la quale consiste, come dice San Paolo, a cercare con cura, con dei mezzi sicuri, qual è la volontà di Dio; per farla senza errore. Per lei e per ciascuno dei nostri altri tre padri e fratelli, basta conoscere la volontà di Dio, dopodiché occorre farla costi quel che costi.

Non c’è altro che un mezzo assolutamente infallibile di conoscere la volontà divina in una questione simile: è, attraverso la direzione spirituale, aprire pienamente il nostro animo a un direttore coscienzioso, istruito, intelligente, interiore, senza partito preso, e prendere la sua risposta come la volontà divina del momento presente, in virtù della promessa “chi vi ascolta mi ascolta”: ecco il mezzo infallibile di fare la volontà di GESÙ in questa circostanza e in tutte… Se le dice: “Gesù la chiama a lasciare la Trappa” e a raggiungere fr. Charles, venga, le mie braccia e il mio cuore le saranno aperte, la riceverò come condotto per mano da Gesù… Se le dice: “Aspetti”, aspetti e obbedisca… Se le dice: “Resti alla Trappa”, resti alla Trappa, obbedisca; in questo caso, se pur obbedendo continua a sentirsi spinto interiormente a venire a seguire Gesù nella sua povertà, nella sua abiezione, nella sua solitudine, nella sua vita nascosta, lo dica di tanto in tanto di nuovo al suo direttore, tenendo sempre la sua anima a nudo davanti a lui: Dio vuole forse che egli la provi, e gli ispirerà di dirle: “Lasci la Trappa, vada a condividere la povertà di Gesù” in capo a un tempo più o meno lungo, dopo averglielo proibito all’inizio…

…Ma per sapere se è chiamato da Dio a condividere il mio umile genere di vita, bisogna che la conosca esattamente: è fissata già da ora in costituzioni e in un regolamento che ho sottomesso al mio Prefetto apostolico: costui, permettendomi di stabilirmi nella sua prefettura, mi ha permesso anche di raggrupparvi con me un certo numero di preti e di laici che vivano secondo queste costituzioni e questo regolamento… Quando saremo abbastanza numerosi, chiederemo a Roma le autorizzazioni supplementari.

Mandarle il regolamento sarebbe difficile, perché è manoscritto, e troverei difficilmente il tempo di copiargliene un esemplare…

…Noi agiamo in famiglia, a cuore e cielo aperto, in tutta semplicità fraterna e franchezza. Dica bene loro che, oltre a quello che si chiede ordinariamente ai postulanti, cioè: la buona volontà di praticare del loro meglio le costituzioni e i regolamenti, chiedo alle pietre prime di questo piccolo edificio tre cose: 1° essere pronti ad avere la testa tagliata; 2° essere pronti a morire di fame; 3° obbedirmi, nonostante la mia indegnità, finché non siamo un certo numero e possiamo fare un’elezione (che spero mi sostituirà con uno migliore di me e mi rimetterà all’ultimo posto che merito)… Una volta per tutte, la prego di essere mio intermediario presso di loro e di comunicare loro tutto quello che le scriverò. Se Gesù li chiama, li riceverò con tutto il cuore, dalla mano di GESÙ…

…Credo che è volontà di Dio che io lavori alla formazione di una piccola famiglia di religiose analoghe ai religiosi che vorrei raggruppare: perché fra le giovani come fra gli uomini, parecchi sono chiamati ad abbracciare la vita nascosta di GESÙ, nella sua povertà, nel suo lavoro, nella sua solitudine, in tutto quello che essa fu, insomma, e una tale vita non esiste nella Chiesa né per le ragazze né per gli uomini, all’ora presente. Le costituzioni e il regolamento delle Piccole Sorelle del Sacro Cuore di Gesù sono scritti già da un certo tempo…

Avrebbe preferito, così come loro, di andare in Terrasanta o ad Akbès, soprattutto in Terrasanta, piuttosto che nel Sahara… Anche per me, il mio cuore è in Terrasanta, amo ardentemente questa terra dove si sono posati i piedi di Gesù, di cui i SUOI occhi hanno contemplato gli orizzonti, dove tutto parla di Lui. La mia intenzione, il mio desiderio più formali sono di farvi una fondazione appena ne avrò i mezzi: ma la prima condizione, è d’avere l’autorizzazione del Patriarca di Gerusalemme, ora sono persuaso che non la darà mai  fintanto che non saremo in qualche misura autorizzati da Roma: a meno di avvenimenti imprevisti, non si può sperare di fare fondazioni in Terrasanta, prima di essere un certo numero e d’avere un inizio d’incoraggiamento da parte della Santa Sede… Non bisogna pensare ad Akbès, terra immensa che esige grandi spese di coltivazione, monastero costruito tutto al contrario della povertà e dello spirito di raccoglimento: non c’è niente là per noi… Il mio pensiero è che poiché siamo accettati nella Prefettura apostolica del Sahara (dove ho attualmente un piccolo terreno sufficiente per nutrire da 20 a 25 monaci e un inizio di monastero che può in qualche settimana e con pochissima spesa essere terminato, e dove, in più, si può fare enormemente bene tanto alle popolazioni del Sahara quanto a quelle del Marocco, pecore perdute fra tutte), il meglio è di concentrarci, formarci qui, tanto fratelli che sorelle, se è possibile… E quando saremo abbastanza numerosi, sciameremo con una fondazione in Terrasanta…

…Come faremo per formare qui una e anche due comunità, una di fratelli e una di sorelle, nonostante la proibizione formale del governo? … Il mio pensiero è che bisogna nasconderci, come ai tempi delle catacombe… finché la persecuzione durerà, quelli che mi raggiungeranno qui, uomini e ragazze, religiosi e religiose, non porteranno abito religioso né uniforme, ma costumi vari, del genere di quelli degli indigeni e passeranno tutti invariabilmente, non per quello che sono, ma per operai e operaie a mio servizio… Sarà umile da parte loro ma non umiliante, perché è non umiliante, ma supremamente onorevole di passare per operai, come GESÙ per 30 anni 33

[Padre Guérin sosta a Beni-Abbès dal mattino del 27 maggio alla sera del 1° giugno, lunedì di Pentecoste. I due si intrattengono soprattutto sui metodi di relazione e apostolato dei musulmani e Fratel Charles annota nel diario le raccomandazioni del suo “vescovo” 34.]

A padre Guérin – Beni-Abbès, 3 giugno 1903

Mi sono sentito solo, per la prima volta da parecchi anni, lunedì sera, quando a poco a poco è sparito nell’ombra. Ho capito, sentito, che ero eremita… Poi mi sono ricordato che avevo GESÙ, e ho detto: “GESÙ, ti amo”35.

Amatissimo Padre, come la ringrazio della sua visita, del bene che mi ha fatto…

…Ieri, lunga visita di due uomini del Tafilalet, due marabutti36. Hanno sentito parlare di lei, e mi hanno chiesto se era andato al Tafilalet. – No, ci andrà un’altra volta! – Merhaba37! Viaggia a piedi? – No, a cammello… Questa domanda posta da due marabutti mi ha fatto riflettere… viaggiano a piedi, loro, tirando i loro asini… Noi siamo discepoli di GESÙ, vogliamo che GESÙ viva in noi, “il Cristiano è un altro Cristo”, parliamo continuamente di povertà; loro sono discepoli di Maometto: la loro domanda mi fa ben riflettere38. Vado agli esempi dei nostri padri gli apostoli…

Siamo qui in un paese infedele come San Pietro e San Paolo… Se vogliamo fare le loro opere, seguiamo il loro esempio: è quello che tutto mi canta, tutto mi grida.

Ogni volta che prego GESÙ, sembra scendere la stessa risposta: “Fa’ dei miracoli per me, ne farò per te”.

Preghi per la mia conversione, amatissimo e venerato Padre, è l’unica cosa di cui ho bisogno. … – fr. Charles di Gesù 39.

1 Se ne ha la descrizione, tra l’altro, in LHC, del 20 novembre 1901, p. 112-113, dove già parla di fraternità e di fratello universale (espressione che risale esclusivamente a questo periodo 1901-1902), e in una lettera a p. Guérin del 4 febbraio 1902 (cf. CS, p. 63-64).

3 Lc 10, 42.

4 Lettera perduta, del periodo dal 30 ottobre 1896 al 16 febbraio 1897.

5 Gv 13, 34 e 13, 35.

6 Effettivamente si era dato come regolamento di non varcare i confini segnati da una linea di sassi, predisposti per un muro di cinta che inizierà a costruire, ma non porterà mai a termine. Lascerà libero chiunque di varcarlo, i soldati, i poveri, soprattutto gli schiavi, e lui stesso si permetterà molte eccezioni, prima della decisione definitiva di raggiungere i Tuareg vivendo tra loro senza nessun segno di clausura.

7 Nomignolo di Joseph, fratello minore dell’amico.

8 L’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso.

9 Era la cugina che gli aveva dato i soldi per costruirla e arredarla: questo le vale una descrizione minuziosa, ripresa qui solo in parte dal testo integrale, lunghissimo, della lettera (fatto conoscere da Antoine Chatelard, piccolo fratello di Gesù di Tamanrasset). Sulla situazione degli schiavi e sulla vergogna della schiavitù mantenuta nonostante le leggi francesi, Charles scrisse una serie di lettere indignate alle autorità religiose, a parenti influenti, ad amici, tutte raccolte in OS.

10 Sostantivo creato dallo stesso Charles a partire da khouia , ossia fratello,  come spiega nella lettera citata nella nota precedente del 20 novembre 1901 a Henry de Castries.

11 Antoine Chatelard ha fatto il punto sulla famosa citazione su Charles de Foucauld “fratello universale” restituendola al suo contesto (un inciso di una lettera in cui descrive, alla cugina che gliel’ha finanziata, la cappella di Beni Abbès), in numerosi articoli, uno dei quali apparso nella rivista Jesus Caritas ed. francese, n. 241, 1° trim. 1991, p. 21 e ss. Il resto della lettera si può leggere in LMB, p. 81-84. Vi descrive dettagliatamente i muri, il pavimento coperto di sabbia rosa, l’altare, le immagini, tra le quali il grande Sacro Cuore a braccia spalancate (disegnato su un lenzuolo, il cui originale si trova attualmente nella fraternità generale delle Piccole Sorelle di Gesù a Roma), la Bibbia “che voglio vedere sempre in chiesa: la parola di Dio vicino al divin corpo, sotto i raggi della piccola lampada”, ecc.

12 Tutti gli scritti sulla schiavitù sono raccolti in un capitolo di OS.

13 In una lettera del 27 marzo 1902 p. Guérin gli raccomandava già di non lasciarsi prendere troppo da uno “zelo indiscreto” e di misurare un po’ più le forze… (cf. CS, p. 88). Più tardi, tra i Tuareg, l’austerità sarà imposta dalla siccità, dalla carestia e quindi dal dividere le riserve con gli altri, quasi fino a morire di fame (gennaio 1907).

14 Mt 6, 33.

15 Gv 4, 35.

16 Mt 9, 37. LMB, p. 84-85.

17 G. Gorrée, Les amitiés…, II, cit., p. 33.

18 Cf. Gorrée, Sur les traces du Père de Fouc., cit., p. 133-134.

19 P. Guérin teneva molto al Marocco e confermava fr. Charles ad optare per il Marocco appena si fosse aperto uno spiraglio.

20 Cf. ultima lettera, del 1° dicembre 1916, alla cugina.

21 Rm 8, 5.

22 Paul Embarek, uno degli schiavi riscattati da Charles, considerato catecumeno, che lo seguirà a Tamanrasset e che diverse volte fuggirà o sarà rinviato per il suo comportamento tutt’altro che esemplare, che infine sarà testimone della sua morte.

23 Un altro giovane schiavo liberato e inviato, con una lettera d’accompagnamento (riprodotta in CS, p. 807-809), ai Padri Bianchi, perché l’aiutassero a ricongiungersi con la famiglia.

24 Era il nomignolo dei soldati mandati in fondo al deserto per punizione…

2                  5 Lc 1, 37; 18, 27.

2                  6 Henri Laperrine de Hautpoul (1860-1920), dopo Saint-Cyr e Saumur, nel 1881 era stato destinato al 4° Reggimento degli Chasseurs d’Afrique a Mascara, ed è lì che, nel febbraio 1882, aveva conosciuto Charles, sottotenente come lui, reduce dalla campagna nel Sud-Oranese e in procinto di dare le dimissioni. Era stato un incontro breve, di non più di una settimana. Ma Laperrine era stato nominato comandante delle Oasi, che comprendevano anche Beni Abbès, dal 6 luglio 1901. Di fatto avevano ripreso contatto per corrispondenza nel 1902. Si rivedranno il 6 marzo 1903 a Beni Abbès, si comprenderanno e nascerà tra loro un’amicizia che diventerà sempre più profonda.

27 Gv 12, 24.32; e 8, 28.

28 Questa frase, ricorrente, tornerà nell’ultima lettera alla cugina Marie il 1° dicembre 1916.

29 Lettera importante, citata in vari testi per brani, integralmente in CS, p. 154-159.

30 Si tratta del Marocco, ma non ne avrà mai il permesso.

31 CS, p. 160. La visita di p. Guérin a Beni Abbès, che vi arrivava per la prima volta e ritardando per aspettare i necessari lasciapassare militari, durò cinque giorni, dal 27 maggio al 1° giugno 1903, lunedì di Pentecoste.

32 Gran parte delle lettere di fr. Charles venne bruciato al momento della guerra e dell’esilio delle monache. Sono state conservate quattordici lettere, dal 1903 al 1916, una dozzina delle quali indirizzate a questa suora, che aveva scelto fr. Charles come suo direttore spirituale e che egli chiama sempre “mon enfant”. La presente è pubblicata da LC, p. 172-173.

33 L’importanza che fr. Charles dà a questa lettera è dimostrata dal fatto che la ricopia per intero nel suo taccuino-diario (cf. CBA, p. 55-63; CCDP, p. 332-338).

34 Cf. CBA, p. 63-65, 68-70 e 72.

35 “Più ci si avvicina a Colui che è amore, più si ama”, scriveva a H. de Castries il 20 marzo 1903.

36 Uomini di Dio, uomini di preghiera, che portavano i grandi “rosari” per recitare i nomi di Dio, appartenenti a qualche confraternita devota musulmana (cf. CS, p. 819).

37 Benvenuto!

38 Charles farà così, con due asini da soma per i bagagli, vitto, acqua, il primo viaggio verso i Tuareg. Più tardi, stabilito a Tamanrasset, per i viaggi in Francia, accetterà di comprare o affittare cammelli…

39 CS, p. 185-186.

Prete per gli altri

Charles de Foucauld

Dalle lettere e meditazioni

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

5. Prete per gli altri

Nell’aprile 1900, quando si sovrappongono diversi progetti, tra i quali quello della fondazione sul Monte delle Beatitudini, Charles valuta per la prima volta in modo determinato la possibilità di farsi prete. Il giorno della festa del Sacro Cuore presenta il progetto al patriarca latino mons. Piavi, che non gli presta la minima attenzione… Il progetto cadrà: resta la decisione di farsi prete e di lasciare il “dolce nido di Santa Chiara”, come scrive a don Huvelin 1.

La notte di “ELEZIONE” del 26 aprile 19002

…Non è che da ieri, festa di San Marco, che ho visto che bisognava che ricevessi il sacerdozio… In precedenza, il mio grande desiderio d’umiltà, d’abiezione e di ultimo posto, me ne allontanava… Ieri ho visto con una grande luce che bisognava che lo ricevessi …. Siccome oggi è la festa della Madonna del Buon Consiglio ho creduto venuto il momento di fare un’elezione, ho passato la notte davanti al Santissimo Sacramento, e dopo aver pregato ho scritto questa elezione. Dopo la settimana santa la visione monastica, che era sopita e non spenta in me, mi aveva ripreso con una grande forza…; vedevo che per condurre la vita di Nazareth, la mia vocazione, mi occorreva il Santissimo giorno e notte, mi occorrevano opere di carità, un silenzio, una povertà, un lavoro, una vita di dolore e di croce incomparabili con la mia vita di qui…

La seconda cosa da aggiungere è che non vi potrebbe essere per me questione della Trappa… L’ho lasciata perché vi sono entrato – e per gli stessi motivi – non per incostanza, ma per costanza nel cercare un ideale [“la povertà di Gesù”] che speravo di trovarvi, che non vi ho trovato….

La terza cosa è che, in ogni modo, il mio soggiorno a S. Chiara non può prolungarsi indefinitamente: se vi fossi sconosciuto, se vi fossi stato ricevuto sconosciuto, se vi fossi utile con un lavoro ben determinato, sì, lo potrei… Ma vi ero conosciuto prima di entrare, mi hanno ricevuto perché mi conoscevano (senza dirmelo)3… …E poi, ciò che è più grave è che per seguire Gesù Crocifisso, devo condurre una vita di croce mentre qui è una vita di delizie. È il riposo, il godimento; ciò non può durare; non mi devo addormentare nelle delizie, ma soffrire con Gesù. Credo con tutto il cuore che Dio stesso mi ha condotto qui, non ne posso dubitare; mi aveva combinato questo dolce nido, ma credo anche che si avvicina l’ora in cui vuole che me ne distacchi …

È il mio spirito che ha parlato finora – che cosa sente il mio cuore?

una volontà incrollabile di fare la volontà di Dio qualunque essa sia.

un sentimento di gioia a fare tutto ciò che piacerà a Dio, qualunque cosa sia…

un rimpianto naturale e umano – molto vile – della mia vita così dolce, così tranquilla al presente.

     4° un’apprensione e come una sorta di vertigine alla vista di questa vita nuova che si apre per me – sono stato così sorretto finora! Là sarò isolato! … – gettarmi in acqua… mi sembra di uscire dalla barca, come san Pietro, per camminare sulle onde durante la tempesta.

     5° l’umiliazione di vedermi così vigliacco, così debole, così attaccato al mio benessere e al mio riposo, così tiepido nella fede, nella speranza e nella carità.

     6° la fiducia assoluta che, se sono fedele, la volontà di Dio si compirà – non soltanto nonostante gli ostacoli, ma grazie agli ostacoli – gli ostacoli sono il segno che la cosa piace a Dio – la debolezza dei mezzi umani è causa di forza – Dio fa servire i venti contrari per condurci in porto.

una pace profonda, una vera gioia di tutto ciò che mi succede, e nessun rammarico di niente.

   8° una crescita d’amore per queste buone sorelle di Santa Chiara presso le quali ho passato 3 anni ½ così dolci e benedetti.

9° confusione di presentare io peccatore, io ignorante, io isolato, io niente, una Regola a mio modo, costruita in tutte le sue parti, però la convinzione che mancherei al mio dovere non facendola, perché il pensiero di questa fondazione è un pensiero costante da 7 anni, e per me, che sono religioso nell’anima, è impossibile condurre, anche per un giorno, una vita che non sia regolata. Del resto, ho la convinzione profonda che Dio sarebbe glorificato da questa fondazione e che risponderebbe al bisogno di più di un’anima perché non ha equivalente. Infine, ciò che mi porta a inviarle4 senza timore, nonostante la mia confusione, un estratto di questa regola, è la frase di Nostro Signore a Santa Teresa che mi incoraggia così spesso nelle mie viltà e nei miei bassi rispetti umani: “O sarai glorificato, o sarai disprezzato; nei due casi, ci guadagni”.

10° un sentimento profondo e di continuo crescente, che per glorificare Dio e “compiere quaggiù l’opera del Padre celeste”, bisogna innanzi tutto che gusti la croce “di cui Gesù ci ha lasciato l’esempio” e che finora non ho toccato con mano5.

[Con l’intenzione di un incontro faccia a faccia con don Huvelin, fratel Charles lascia bruscamente Nazareth, sbarca a Marsiglia il 16 agosto 1900, va subito in pellegrinaggio alla Sainte-Baume e raggiunge Parigi. Don Huvelin gli conferma la scelta di farsi prete e di prepararsi a Notre-Dame des Neiges. Vi arriva il 29 settembre, dopo un soggiorno a Roma6 (per un servizio per conto delle Clarisse). Si tratta di un lungo periodo di ritiro e di assoluto silenzio. Il 2 marzo 1901, vigilia della domenica di passione, viene ordinato diacono. I ritiri per il diaconato e per il sacerdozio lo spingono per la prima volta a non pensare più alla Terrasanta.]    

L’”ELEZIONE” del 6 giugno 1901 (solennità del Corpus Domini) durante il ritiro per l’ordinazione sacerdotale

In manus tuas commendo spiritus meum 6

[Dopo una prima parte, composta di una serie di frasi del Vangelo] 

Parte seconda

Ignem mittere in terram… salvare quod perierat7

Quis?8 Colui che deve “seguire”, imitare GESÙ, il Salvatore, il Buon Pastore, venuto a “portare il fuoco sulla terra” e “salvare ciò che era perduto”.

Quid? La fondazione dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù (secondo l’elezione del ritiro di diaconato).

Ubi? Là dove è il più perfetto. Non là dove vi sarebbero maggiori probabilità umane di avere novizi, autorizzazioni canoniche, soldi, terreni, appoggi: no; ma là dove è più perfetto in sé, il più perfetto secondo le parole di Gesù, il più conforme alla perfezione evangelica, il più conforme all’ispirazione dello Spirito Santo; là dove andrebbe Gesù: alla “pecora più perduta”, al “fratello” di Gesù “più ammalato”, ai più abbandonati, a quelli che hanno meno pastori, a quelli che sono “nelle tenebre più spesse”, nell’ombra della morte più “profonda”, ai più “prigionieri” del demonio, ai più “ciechi”, ai più “perduti”. Innanzitutto: agli infedeli (musulmani e pagani) del Marocco e delle regioni limitrofe dell’Africa del Nord.

Quibus auxiliis? Gesù solo: perché “cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù” e “se voi rimanete in me e io in voi, tutto quello che mi domanderete, si compirà”. Gesù non ha dato nessun altro aiuto ai suoi apostoli: se faccio le loro opere, riceverò le loro grazie.

Cur? È così che posso maggiormente glorificare Gesù, amarlo, obbedirgli, imitarlo il più possibile? … a questo mi spingono il Vangelo, l’attrattiva, il mio direttore. È questo che mi chiede l’amore di Dio e l’amore del prossimo…

Quomodo? “Come pecore in mezzo ai lupi” … “senza denaro, né bisaccia, né due tuniche” … “chi non rinuncia a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo”.

Quando? “Maria partì in fretta per la montagna”. Quando si è pieni di Gesù, si è pieni di Carità

Osservazioni sulla precedente elezione

  1. Poiché Gesù, la Carità, il Cuore di Gesù vogliono che io parta senza indugio, “cum festinatione”9…, ne consegue che il mio dovere è di prepararmi “cum festinatione”
  2. In che consiste la preparazione? Nel crescere in amore, scienza, maturità…
  3. C’è inoltre una preparazione esterna? Cioè i passi concreti da compiere? [indica i passi da compiere: informarsi sulle regioni limitrofe al Marocco, informare il vescovo e chiedere le autorizzazioni, anche di portare l’abito dei Piccoli Fratelli, seguire le costituzioni, ecc.,]. Oltre a queste tre cose, non c’è nessun’altra preparazione esteriore, né passo da fare per il momento: non è certo una questione da far riuscire con mezzi umani ed espedienti umani; è il soffio dello Spirito Santo che bisogna seguire nella semplicità del cuore e con zelo e con amore fedele: lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che dovrete dire.
  4. Non è meglio andare prima in Terrasanta? Una sola anima ha più valore della Terrasanta intera e di tutte le creature prive di ragione messe insieme. Occorre andare non là dove la terra è più santa, ma là dove le anime si trovano nel più gran bisogno. In Terrasanta, vi è grande abbondanza di preti e di religiosi, e poche anime da guadagnare: nel Marocco10 e nelle regioni limitrofe, c’è estrema penuria di preti e di religiosi, e un gran numero di anime da salvare…
  5. …Qual è la prova che queste due elezioni esprimono la volontà di Dio? Queste due frasi di Gesù: Seguimi11. Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i parenti, né i ricchi vicini… ma quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi”12.

[Charles de Foucauld viene ordinato prete a Viviers, nella cappella del Seminario Maggiore, il 9 giugno 1901. Dopo una lunga adorazione di ringraziamento, concede alla sorella Marie di rivederlo dopo più di undici anni.

Fratel Augustin Juillet, che avrebbe voluto seguirlo, il giorno dell’ordinazione gli chiede un ricordo: gli dà un cartoncino con il cuore sormontato dalla croce e il motto JESUS CARITAS e come testo: portare il fuoco sulla terra. Salvare ciò che era perduto13.

Rimane nel monastero e comincia subito ad informarsi sull’Africa del Nord, riprendendo contatto, dopo dodici anni, con un ufficiale della riserva, un tempo autorevole addetto agli “Affaires indigènes”, Henry de Castries (1850-1927), compagno di corso e amico di suo cugino Louis de Foucauld. Topografo, cartografo, storico del sud algerino e del Marocco, innamorato del mondo arabo, De Castries aveva per primo raccolto informazioni sulle regioni limitrofe alla frontiera algerina e di queste si era servito Charles nel suo primo approccio del Marocco (per ringraziarlo gli aveva fatto dono del manoscritto della sua esplorazione). Non c’era persona più esperta per chiedere consiglio e appoggio per una fondazione nel sud oranese alla frontiera del Marocco, frontiera del resto fragile e che sarà delimitata ufficialmente solo un anno dopo, nel 1902. Charles intreccerà d’ora in poi con l’amico una corrispondenza di grande intimità, significativa anche per la confessione dei reciproci rapporti con la fede islamica, che aveva affascinato entrambi14.

 Don Huvelin, che avrebbe voluto che il suo figlio spirituale rimanesse più a lungo a Notre-Dame des Neiges, si riconcilia con l’idea dell’Africa e conclude: “Segua l’impulso che la spinge, figliolo; non è quello che avrei sognato, ma credo che sia l’ispirazione di Dio… Vada dove il Maestro la chiama. Benedico le sue intenzioni, i suoi progetti, attraverso i quali lei tende soltanto ad offrirsi a Lui ed a compiere la Sua opera sulla terra. Farò tutto quello che potrò per aiutarla”15.]

A Henry de Castries – Notre-Dame des Neiges, 23 giugno 1901

Il silenzio del chiostro non è quello dell’oblio. Più di una volta, durante questi dodici anni di benedetta solitudine, ho pensato a lei e pregato per lei. Recentemente mio cugino Louis mi ha dato buone notizie di lei, che mi hanno fatto bene.

È per il buon Dio che mantengo il silenzio; è anche per Lui che lo rompo oggi. Siamo alcuni monaci16 che non possiamo recitare il Padre Nostro senza pensare con dolore a questo vasto Marocco dove tante anime vivono senza “santificare Dio, far parte del suo regno, compiere la sua volontà, né conoscere il pane divino della Santa Eucarestia”, e sapendo che bisogna amare queste povere anime come noi stesse, vorremmo fare, con l’aiuto di Dio, tutto quello che dipende dalla nostra piccolezza per portare verso di loro la Luce di Cristo e far spandere su di loro i raggi del Cuore di Gesù.

A questo scopo, per fare per questi infelici quello che vorremmo fosse fatto a noi, se fossimo al loro posto, vorremmo fondare sulla frontiera marocchina, non una Trappa, non un grande e ricco monastero, non un’azienda agricola, ma una sorta d’umile piccolo eremo, dove alcuni monaci potrebbero vivere di qualche frutto e d’un po’ d’orzo raccolti con le loro mani, in una clausura stretta, nella penitenza e adorazione del Santissimo Sacramento, non uscendo da loro recinto, senza predicare, ma dando ospitalità a chiunque venga, buono o cattivo, amico o nemico, musulmano o cristiano. È l’evangelizzazione, non con la parola, ma con la presenza del Santissimo Sacramento, l’offerta del divino Sacrificio, la preghiera, la penitenza, la pratica delle virtù evangeliche, la carità – una carità fraterna e universale che divide fino all’ultimo boccone di pane con ogni povero, ogni ospite, ogni sconosciuto che si presenti, e ricevendo ogni umano come un fratello amatissimo.

Che punto scegliere per tentare questa piccola fondazione? – Il più favorevole al bene delle anime, un punto in cui si possa entrare in relazione con i Marocchini, il punto meglio posto per fare cuneo, breccia, e penetrare più tardi, un passo alla volta, il lato per il quale il Marocco è più abbordabile all’Evangelizzazione. Credo che sia il Sud. Mi sembra dunque che bisognerebbe porsi in qualche punto d’acqua solitario tra Ain-Sefra e il Tuat. Si darebbe un’umile ospitalità ai viaggiatori, alle carovane, e anche ai nostri soldati. Non temiamo né la fatica, né il pericolo, al contrario, li amiamo e ce li auguriamo. Nessuno conosce meglio di lei questa regione: faccio dunque ricorso a lei, e la prego di volere, lei che mi ha sempre colmato di bontà, farmi ancora questa grazia d’indicarmi quale punto dell’estremo Sud le sembrerebbe meglio situato per un primo piccolo insediamento.

Raccomando il nostro umile progetto alle sue preghiere, lei che ama tanto l’Algeria e il Marocco. Degni credere al mio rispettosissimo e devotissimo affetto.

Il suo umile servo in Gesù. – fr. Charles di Gesù (Charles de Foucauld)17.

[De Castries manda all’amico il libro che aveva pubblicato nel 1897, L’Islam. Impressions et études. La lettura del libro, nel mese di luglio, suscita alcune lettere fra le quali, la più famosa, quella del 14 luglio 1901, in cui Charles confessa come anche lui è stato “sedotto all’eccesso”, “sconvolto” dall’Islam e in cui racconta le circostanze della sua conversione. Evidentemente sente come un dovere di riconoscenza verso quegli uomini di fede “che gli hanno fatto intravedere qualcosa di più grande delle occupazioni mondane”.]

A Henry de Castries – Notre-Dame des Neiges, 14 luglio 1901

[Dopo la lunga confessione] …All’inizio, la fede ebbe parecchi ostacoli da vincere; io che avevo tanto dubitato, non credetti tutto in un giorno; ora i miracoli del Vangelo mi sembravano incredibili; ora volevo mescolare dei brani del Corano nelle preghiere. Ma la grazia divina e i consigli del mio confessore dissiparono queste nubi. Desideravo essere religioso, non vivere che per Dio, e fare quello che era il più perfetto, qualunque cosa fosse…

… Questa pace infinita, questa luce radiosa, questa felicità inalterabile di cui godo da dodici anni, la troverà camminando per la strada che il buon Dio mi ha fatto seguire: pregare; prendere un buon confessore scelto con cura, e seguire accuratamente i suoi consigli, come si seguono quelli di un buon professore; leggere, rileggere, meditare il Vangelo e sforzarsi di praticarlo. Con queste tre cose, non può mancare d’arrivare rapidamente a questa luce che trasforma tutte le cose della vita, e fa della terra un cielo unendovi la nostra volontà a quella di Dio… GESÙ l’ha detto: è la sua prima parola ai suoi apostoli, la sua prima parola a tutti quelli che hanno sete di conoscerLo: “Venite et videte”18; “Cominciate col “venire” seguendomi, imitandomi, praticando i miei insegnamenti; e in seguito “vedrete”, goderete della luce, nella stessa misura in cui avrete praticato…”… “Venite et videte”, ho visto talmente, per mia esperienza, la verità di queste parole, che le scrivo questa lettera per dirglielo…

A padre Jérôme – Notre-Dame des Neiges, 17 luglio 1901

…Ho pensato fedelmente a lei, pregato per lei, durante questo lungo silenzio. Silenzio, lo sa, è tutto il contrario dell’oblio e della freddezza: in meditatione exardescet ignis20. È nel silenzio che si ama più ardentemente: il rumore e le parole spengono spesso il fuoco interiore: restiamo silenziosi, mio caro Padre, come Santa Maddalena, come San Giovanni Battista: supplichiamo GESÙ di accendere in noi quel grande fuoco che rendeva la loro solitudine e il loro silenzio così beato. Come hanno dovuto amare!

Il mio primo passo, sbarcando dalla Terrasanta, quasi un anno fa, è stato per salire alla Ste-Baume21. Possa questa cara e benedetta Santa Maddalena prenderci tutti e due sotto la sua protezione, tenervici piuttosto, perché ci ha già preso, e insegnarci l’AMORE; insegnarci a perderci totalmente in GESÙ nostro Tutto, ed essere perduti per tutto quello che non è Lui.

Scrivo a lungo a P. Henri22; lo prego di mostrarle quanto scrivo, vi vedrà la vita della mia anima, i miei desideri, i miei progetti, quello che credo mio dovere fare, nonostante la mia indegnità e la mia impotenza. Se contassi su di me, i miei desideri sarebbero insensati, ma conto su Dio che ci ha detto: “Se qualcuno mi vuol servire, mi segua”23, che ci ha così spesso ripetuto questa parola: “Seguitemi”, che ci ha detto: “Amate il vostro prossimo come voi stessi24, fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi25”. Non mi è possibile praticare il precetto della carità fraterna senza consacrare la mia vita a fare tutto il bene possibile a questi fratelli di Gesù ai quali manca tutto poiché manca loro Gesù. …Quello che vorrei per me, lo devo fare per gli altri: “Fa’ quello che vuoi che ti facciano”, e lo devo fare per i più dimenticati,  per i più abbandonati, andare alle pecore più sperdute, offrire il mio convito, il mio banchetto divino, non ai miei fratelli, né ai miei vicini ricchi (ricchi della conoscenza di tutto quello che questi infelici non conoscono), ma a questi ciechi, a questi mendicanti, a questi storpi, mille volte di più da compiangere di quelli che soffrono nel corpo. E non credo di poter far loro maggior bene che portare loro, come Maria nella casa di Giovanni, alla Visitazione, Gesù, il bene dei beni, il SANTIFICATORE supremo, GESÙ che sarà sempre presente tra loro nel Tabernacolo, e spero nell’ostensorio, GESÙ che si offre ogni giorno sull’altare per la loro conversione; GESÙ che li benedice ogni giorno: ecco il bene dei beni, il nostro tutto, GESÙ: nello stesso tempo, pur tacendo, si farebbe conoscere ai nostri fratelli che li ignorano, non con la parola, ma con l’esempio e soprattutto con l’universale carità, quella che è la nostra religione, quello che è lo spirito cristiano, quello che è il CUORE  di GESÙ26

[Il 1° settembre 1901 don Huvelin scrive al superiore generale dei Padri Bianchi, mons. Livinhac, una lettera di presentazione di Charles de Foucauld, gli parla della sua vocazione per il mondo musulmano, di come il soggiorno in Algeria, il viaggio in Marocco, gli anni passati in Palestina, l’abbiano” reso resistente per questa missione”. Spiega di aver visto maturare la sua vocazione, che, in coscienza, gli sembra “venire da Dio”: “Amore del silenzio, dell’azione oscura… Niente di bizzarro né di straordinario, ma strumento duro per un rude lavoro…. Fermezza, desiderio d’andare fino in fondo nell’amore e nel dono, – di trarne tutte le conseguenze, – mai scoraggiamento, mai, – un po’ d’asprezza a volte, – ma che si è tanto addolcita!”27.

A sua volta, il 5 settembre, p. Henri, che era stato compagno di studi di Charles a Roma ed ora è priore di Staueli, scrive a padre Charles Guérin, dei Padri Bianchi, appena nominato prefetto apostolico del Sahara, per salutarlo prima della partenza:

Algeri, 5 settembre 1901    –   … P. Duffourd mi ha parlato di un affare che lei doveva trattare a voce con un ex ufficiale della provincia d’Orano che desiderava ritornarci – poi un dispaccio che avreste inviato l’altro ieri. Mi sono appena informato al telegrafo; non hanno ricevuto niente. Penso che si tratti del nostro ex Padre Albéric. – Charles de Foucauld, o meglio Charles di Gesù. Le mando per conoscenza l’ultima lettera che ho ricevuto di lui; lei non era ancora nominato quando me l’ha scritta, ma ha avuto certamente conoscenza dei suoi progetti, e mi chiedo se non sia in viaggio per venire a intendersi con lei. Può aver creduto che fosse già fra noi: non è così. Ma se lo giudica opportuno, può telegrafare a N-D. des Neiges, e avrebbe forse il tempo di venire a sua richiesta prima di martedì. Se avesse l’opportunità di averlo come collaboratore, ne sarei felicissimo per lei e per lui. È la più bell’anima che conosca; d’una generosità incredibile, s’avanza a passi da gigante nella via del sacrificio e ha un desiderio insaziabile di dedicarsi all’opera della redenzione degli infedeli. È capace di tutto – salvo forse d’accettare una direzione troppo stretta. Il R.P. Dom Martin ha dovuto raccomandarlo a mons. Livinhac; tutto quello che posso aggiungere, è che avendo vissuto sei mesi in sua intimità, sono stato sempre profondamente edificato dalla sua virtù eroica. C’è in lui la stoffa di molti santi. La sua sola presenza è una predicazione eloquente, e nonostante la singolarità apparente della missione alla quale si crede chiamato, lo accoglierei con tutta sicurezza nella sua prefettura apostolica.

A Dio, mio Reverendo e carissimo Padre, da vicino come da lontano, le sarò sempre ben unito in N.S. con l’affetto e la preghiera. Il suo umilmente devoto fr. M. Henri 28

Più tardi, in una lettera del 3 aprile 1902, madre St-Michel, badessa delle Clarisse di Nazareth, scriveva a dom Martin:

… Ho sentito dire che questo buon Padre era visibilmente benedetto dal buon Dio, nella sua opera nascente. Credo che egli sia ora dove il buon Dio lo vuole, e che quello che in lui poteva sembrare incostanza non era che l’inquietudine di un’anima che non è nella sua strada. Si ricorda, Padre, quante volte San Benedetto Labre è uscito dalla Trappa ? Preghiamo perché la santa volontà del Buon Dio sia fatta sempre in lui. È molto attaccato a lei, perché i santi si capiscono29 

Fratel Charles lasciava l’Abbazia di Notre-Dame des Neiges il venerdì 6 settembre 1901 e, dopo un rapido pellegrinaggio alla Sainte-Baume l’830, s’imbarcava il 9 da Marsiglia e il 10 era ad Algeri. ]

Alla cugina Marie de Bondy – Algeri, 10 settembre 1901

Ho trovato con riconoscenza, confusione ed emozione p. Henri e mons. Guérin (vicario apostolico del Sahara, ormai mio vescovo)31 che mi attendevano sulla banchina… Dopo aver conversato un poco, p. Henri è tornato a Staueli, e mons. Guérin mi ha condotto a Maison-Carrée32            …È deciso che andrò a stabilirmi in una guarnigione francese che si chiama Beni-Abbès… È un’importante oasi del Sahara, posta alla frontiera marocchina! …L’opera affidata al suo figliolo è mirabilmente bella: portare il Santissimo Sacramento più lontano nel Sahara, verso Sud e verso Ovest, più di quanto probabilmente non è stato fatto finora, ma in ogni caso dai tempi di Sant’Agostino33; santificare gli infedeli con la divina presenza, portare il soccorso della religione ai nostri soldati morenti. È una missione grandissima, molto bella, ma che richiede tante virtù… Il buon Dio non viene mai meno, e sono sicuro di avere tutto il suo aiuto; ma temo di non essergli fedele e diffido di me… preghi tanto affinché sia fedele34

 [All’amico de Castries, che si trova nel dubbio e nella solitudine, Charles propone un direttore spirituale.]

A Henry de Castries – Staueli, 30 settembre 1901

…Vorrei avere un nome da designarle, un indirizzo da indicarle. Non oso indicarle il mio direttore – vero padre per me – è il solo col quale ho fiducia perfetta (si chiama M. l’Abbé Huvelin, 6 rue de Laborde, Paris), – perché da anni è talmente prostrato da malattie e infermità che non lascia quasi mai il letto, e in questo momento è completamente sordo: la sua vita è quasi una morte. Se vuole, però, gli posso parlare di lei: se il suo corpo l’abbandona, il cuore e lo spirito restano in lui più vivi che mai e il suo cuore così caldo amerà la sua anima e mi darà per lei un consiglio che le trasmetterò; forse, nonostante tutto, potrebbe vederla; oppure le indicherà qualcuno… Ma non mi permetterò di parlargli di lei senza la sua autorizzazione: se vuole che lo faccia, mi scriva una parola.

Mi lasci, tutto miserabile come sono, darle un consiglio, anzi due: il primo, è di avvicinarsi, qualunque dubbio possa avere, un po’ più spesso ai sacramenti, facendo le cose del suo meglio e pregando Dio “di venire in aiuto all’incredulità”35; le farà bene… il secondo è di continuare a pregare, qualunque difficoltà abbia, per quanto si senta poco fervente, per quanto sia distratto: per preghiera, non intendo delle preghiere recitate a memoria, ma la semplice adorazione con o senza parole: tenersi ai piedi di Dio con la volontà, l’intenzione di adorarlo. – Per la preghiera, come per i sacramenti, Dio vedrà la sua buona volontà, e la ricompenserà facendo scendere su di lei una grazia sempre più abbondante.

Sia persuaso, caro amico, che se Dio l’ha lasciato senza direttore fino ad oggi, non l’ha lasciato senza grazie: gliene ha fatte d’immense, che io ammiro: questo sentimento così profondo e così chiaro dell’adorazione, quest’umiltà così vera, questa giustizia, quest’amore e questo bisogno di verità, questa vita tutta spesa a fare il bene, tante altre virtù, sono il frutto di una grazia tutta particolare; questa “fame e sete di giustizia” che è una delle beatitudini, Dio l’ha messa in lei, ciò che è una grazia divina. Sono persuaso che Egli porterà a compimento ciò che ha cominciato; Egli ha detto: “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati”, e “chi viene a me, non lo rifiuterò”36

[Essendo il Sahara sotto recente occupazione militare, fr. Charles avrà bisogno, per il suo insediamento, delle autorizzazioni sia civili sia militari. Raccomandato dall’amico e vecchio compagno di corso comandante Lacroix37, capo del Servizio degli Affari Indigeni d’Algeria, otterrà il permesso di andare a Beni-Abbès presentandosi come “prete libero per dare soccorso religioso ai soldati, senza parlare né di convento né di niente di simile: il resto verrà da sé senza rumore nella maniera che Gesù vorrà”, come scrive a Dom Martin38. Padre Guérin riflette, prima di dargli il permesso, e comunque, se partirà, sarà “a suo rischio e pericolo”39

Don Huvelin gli augura: “Nostro Signore l’accompagni e le conceda di fare del bene, di unire il suo lavoro al suo, il suo sangue al Suo sangue”40.]

1 LAH, p. 110.

2 Del lungo scritto su questa” Elezione”, estraiamo soltanto ciò che ci interessa, come tappa significativa nella ricerca di fratel Charles. L’intero testo è stato pubblicato più volte, a cominciare dalla prima Antologia. Esso costituiva una specie di brutta copia di quello che scrive in una lettera a don Huvelin, lo stesso 26 aprile (cf. LAH, 115-121).

3 Il Francescano che lo aveva accolto a Nazareth, aveva riconosciuto nello strano mendicante, il ricco pellegrino di tre anni prima e, a sua insaputa, lo aveva raccomandato alle Clarisse. Lui che si sente chiamato a “passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte”, come ripete più volte nei suoi scritti, si trova scoperto!

4 A don Huvelin.

5 UP, p. 137-142.

6 Passa prima da Milano, il 28 agosto (per pregare sotto il fico della conversione di Sant’Agostino, secondo Gorrée, Sur les traces…, cit., p. 111), quindi a Loreto, il 29. A Roma alloggia nei pressi dei Sacramentini di S. Claudio, per poter godere dell’esposizione dell’Eucarestia ed essendo anno giubilare, fa a piedi vari pellegrinaggi (tutti, compresi quello a Milano e Loreto, segnati nel quaderno-agenda delle date da ricordare, cf. VN, p. 202.

6 “Nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). Cf. “preghiera d’abbandono” del 1896.

7 “Fuoco accendere sulla terra” (Lc 12, 49) e “Salvare ciò che era perduto” (Mt 18, 11). Lasciamo per lo più senza riferimenti le successive citazioni evangeliche.

8 “Chi?”. Charles usava abitualmente, come metodo di discernimento, il cosiddetto “esametro di Quintiliano”, cioè del grande teorico della retorica classica, contemporaneo di Augusto: Chi? Che cosa? Dove? Con che mezzi? Perché? Come? Quando? La retorica, nel suo significato originario di arte del parlare e dello scrivere con argomenti persuasivi, era, all’epoca, non solo una materia di studio nelle scuole superiori, ma la disciplina che dava il nome al corso di Liceo che precedevano la filosofia, corso che Charles aveva frequentato a Nancy nel 1873-74. Il giovane Charles, del resto, leggeva con passione, anche per conto suo, i classici latini ed aveva persino fondato, con Gabriel Tourdes e pochi altri compagni, un’Accademia di letteratura.

9 “In fretta”, come nella citazione precedente, cf. Lc 1, 39.

10 Torna per la prima volta il Marocco della gioventù!

11 Cf. Mt 9, 9; 19, 21 e per.; Gv 1, 43; 21, 19.

12 Cf. Lc 14, 13. Vedi SD, p. 73-79.

13 CCDP, p. 423.

14 Cf. Introduzione LHC.

15 LAH, p. 158.

16 Parla al plurale, forse perché spera che un monaco trappista, p. Augustin, col quale ha parlato, lo segua presto…

17 LHC, p. 83-85. L’amico comprenderà che Charles ha in mente una zauia, ossia un luogo di preghiera e di ospitalità, tenuto da confraternite religiose (le stesse che avevano accolto Charles, secondo l’ospitalità sacra musulmana, durante la sua ricognizione del Marocco, salvandogli la vita). Cf. seconda lettera di Charles, dell’8 luglio 1901, LHC, p. 85-87.

18 Gv 1, 39.

19 L’intera lettera è in LHC, p. 92-101. I brani qui presenti si trovano a p. 97 e 99-100.

20 Cf. Sl 39, 4.

21 “Santo Balsamo”, la grotta, luogo di pellegrinaggio nei pressi di Aix-en-Provence, in cui, secondo la tradizione provenzale, Maria di Magdala terminò la sua vita come eremita. Charles aveva scelto Magdeleine come una delle sue protettrici e la chiamerà “patrona del deserto”.

22 Priore della Trappa di Staueli dopo la morte di p. Louis de Gonzague. Lettera perduta.

23 Cf. Gv 12, 26.

24 Cf. Mt 19, 19 e par.

25 Cf. Mt 7, 12.

26 CCDP, p. 239-240.

27 B, 167.

28 CCDP, p. 246-247.

29 CCDP, p. 288-289.

30 Nonostante si sia imbarcato il 9, ricorderà come partenza dalla Francia il giorno 8, che celebrerà tra gli anniversari (cf. VN, p. 186).

31 Charles Guérin era allora appena ventinovenne.     Quel giorno andarono insieme a pregare alla basilica di Notre-Dame d’Afrique. S’intesero subito. Il 1° novembre p. Henri di Staueli scriveva a dom Martin di Notre-Dame des Neiges: “Queste due anime erano fatte per comprendersi ed apprezzarsi reciprocamente” (CCDP, p. 259). La loro intensa amicizia è effettivamente testimoniata dalla corrispondenza da poco pubblicata per intero in Correspondances Sahariennes, Cerf, Paris 1998: le lettere di mons. Guérin furono tra le poche salvate da fr. Charles, che di solito bruciava, per discrezione e prudenza, ciò che riceveva.

32 La casa madre dei Padri Bianchi.

33 Più volte richiamerà il legame diretto con Sant’Agostino.

34 LMB, p. 74-75.

35 Mc 9, 24.

36 Mt 5, 6 e Gv 6, 37. La lettera si trova in LHC, p. 105-107.

37 Lacroix (1855-1910), incontrando Charles prima della partenza, gli regala una grammatica tamashec, cioè della lingua Tuareg. Charles gli dirà poi che è stato “profeta” con quel regalo (anche se poi constaterà l’inesattezza di quella grammatica e ne farà un’altra). Cf. G. Gorrée, Les amitiés Sahariennes du Père de Foucauld, Arthaud, Paris 1941, t. 2°, p. 43.

38 CCDP, p. 251. Era già cominciato il periodo in cui si discutevano le leggi di soppressione di conventi e seminari, con l’espulsione di religiosi e preti, ed era quindi assolutamente proibito di fondare monasteri, tantomeno nuove congregazioni, come si vedrà meglio in seguito. La Camera dei deputati approverà la soppressione degli ordini religiosi insegnanti e predicatori nel 1903.

39 CS, p. 29.

40 LAH, p. 163.

Appunti di ritiri in Terra Santa

Charles de Foucauld – Dalle “Lettere e meditazioni”.

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

4. Appunti di ritiri in Terrasanta

[Charles visse il primo ritiro dal 5 al 15 novembre 1897, chiuso nella sua capanna dell’orto delle Clarisse di Nazaret, facendo un’approfondita meditazione su Dio, su Gesù e l’Incarnazione, e un’ampia e lucida revisione di vita: sul suo passato di non credente, sulla sua conversione[1],  sulla misericordia di Dio, infine sul suo avvenire.]

6 novembre – Gesù: la sua vita nascosta  – Mio Gesù, che sei così vicino a me, ispirami ciò che bisogna che pensi della tua vita nascosta…

… “Scese con loro, e andò a Nazaret, ed era loro sottomesso”[2]. Scese, sprofondò, si umiliò… fu una vita di umiltà: Dio, apparivi uomo; uomo, costituivi l’ultimo degli uomini: fu una vita di abiezione, scendesti fino all’ultimo tra gli ultimi posti; scendesti con loro, per vivervi la loro vita, la vita dei poveri operai, vivendo del loro lavoro; la tua vita fu come la loro povertà e la loro fatica; erano oscuri, vivesti nell’ombra della loro oscurità; andasti a Nazaret piccola città sperduta, nascosta nella montagna, da cui “niente usciva di buono”[3], dicevano[4]

Più scenderò, più starò con Gesù[5].

Farai in ogni momento quello che Io ti dirò, figlio mio…[6]. Ti devi stabilizzare, sprofondare in questo stato come se ci stessi per sempre e non dovessi mai uscirne… Questo stato è lo stato d’imitazione, la più perfetta possibile, della mia vita nascosta: tutto ciò che penserai che facevo, fallo… Non seguire né San Benedetto, né San Francesco, né San Benedetto Labre, né Sant’Alessio[7] nei dettagli della loro vita, nelle loro pratiche personali né nelle loro regole: seguili nel loro spirito generale che era il mio, lo spirito d’amore di Dio e del prossimo, di povertà, di penitenza, di preghiera, di lavoro, ma non cercare di seguirli in nessuna pratica particolare… Segui me, me solo… Non venire a Betania per vedere me e anche per vedere Lazzaro, vieni per vedere me, me solo… Chiedimi ciò che facevo, “Scruta la Scrittura”, guarda anche ai santi, non per seguire loro, ma per vedere come mi hanno seguito e prendere da ciascuno di loro ciò che penserai venire da me, essere a mia imitazione… e segui me, me solo[8]

Questa vita sarà seguita dalla morte[9]: vorresti quella del martire… Sai che sei vigliacco…, ma sai che puoi tutto in chi ti fortifica[10]. …Chiedilo, mattina e sera, a condizione che sia la mia volontà, il mio più gran bene, la mia più grande consolazione … e abbi fiducia, farò ciò che tu mi chiedi, ciò che mi glorificherà di più. Ma chiedilo, è bene, perché “è il segno del più grande amore di dare la propria vita per chi si ama”[11] ed è perfettamente giusto che desideri darmi il segno “del più grande amore”.

Bisogna tenere a stare a Nazareth? – No, non più che al resto: non tenere a niente, a niente, a niente, se non alla volontà di Dio, a Dio… Devo trovare che è una grande grazia vivere a Nazareth …, ma attaccamento, no: dacché ciò cessasse di essere la volontà di Dio, doveri gettarmi a corpo morto, senza uno sguardo indietro, ovunque e a qualunque cosa la sua volontà mi chiami [12].

[Dal 14 al 21 marzo 1898, in tempo di quaresima, Charles intraprende il cosiddetto “Ritiro di Efrem”, immaginando di essere ad Efrem con Gesù che si prepara alla sua Pasqua, secondo Gv 11, 54, mentre si trova ancora nella sua capanna di Nazareth. Senza schema logico, segue il Vangelo di Luca, con toni di particolare tenerezza.]

Lc 1, 38  “Maria allora disse: Ecco l’ancella del Signore…” – …Pur restando Dio, sono divenuto uomo… O figli miei! Quale lezione di umiltà, di abbassamento, di abiezione… Chi potrà mai scendere altrettanto? … E perché ha voluto scendere? Per amore… Dio ha tanto amato gli uomini che ha voluto dare loro il suo Figlio unico per salvarli… per riscattarli, per essere la loro via, la loro verità e la loro vita…

…Questo amore come è attivo, operante, come è profondo, facendogli superare come di un balzo la distanza che separa il finito dall’infinito e facendogli impiegare per la nostra salvezza questo mezzo estremo, inaudito, l’incarnazione: lui, Dio, Creatore, venire a vivere sulla terra come creatura… …Vedete questa umiltà per il bene degli uomini, e imparate ad abbassarvi per fare il bene, ad andare per primi alle anime come sono andato per primo alle anime… a farvi piccoli per guadagnare gli altri, a non temere di scendere, di perdere dei vostri diritti quando si tratta di fare del bene, a non credere nemmeno che scendendo ci si mette nell’impotenza di fare il bene: al contrario: scendendo si imita, scendendo si impiega per salvare le anime il mezzo che ho impiegato io stesso: scendendo si cammina nella mia via, di conseguenza nella verità e ci si trova nel posto migliore per avere la vita e darla agli altri, perché il posto migliore per questo è la mia imitazione[13]

Lc1, 39  “In quei giorni Maria si alzò e partì in fretta verso la montagna…”  – … Qui, alle anime di silenzio, di vita nascosta, che vivono lontano dal mondo nella solitudine do la loro missione e la loro regola, e dico loro: tutte, tutte, lavorate alla santificazione del mondo, lavoratevi come mia madre; senza parole, in silenzio, andate a stabilire i vostri pii ritiri in mezzo a quanti vi ignorano: portatemi tra loro stabilendo un altare, un tabernacolo, e portatevi il Vangelo non predicandolo con la bocca ma predicandolo con l’esempio, non annunciandolo ma vivendolo: santificate il mondo, portatemi al mondo, anime buone, nascoste e silenziose come Maria mi ha portato a Giovanni: ispirandole la visitazione, vi do a tutte l’ispirazione che deve spingervi, dandole la sua missione, do a tutte voi la vostra[14].

Lc 8,24 – …Figli miei, qualunque cosa vi capiti, ricordatevi che sono sempre con voi…… Non abbiate mai alcun timore, alcun affanno: sono qui, veglio, vi amo (non dubitate più, spero, del mio amore), sono onnipotente… che vi occorre di più? … Bisogna dunque, pur piangendolo, piangerlo moderatamente, conformare la propria volontà alla mia, e passare meno tempo a piangere il passato, che è irrimediabile, quanto piuttosto a supplicare per l’avvenire …. Fiducia! Niente inquietudine! Sono qui, e vi amo! I demoni e gli uomini sono tutti nelle mie mani: nessuno può attaccare la vostra anima né il vostro corpo senza il mio permesso… Ricordatevi del modo in cui ho sostenuto Pietro che camminava sulle acque[15]

Lc 9, 54 ss.– … Siate miti nelle vostre azioni: niente violenza, niente impazienza, niente rabbia … Difendete i vostri fratelli innocenti quando altri fratelli li aggrediscono, e ciò nell’interesse degli uni e degli altri… All’occorrenza, arrivate fino ad uccidere il vostro fratello ingiusto per difendere il vostro fratello innocente … Ma, anche dovendo difendere sempre l’innocente attaccato, e, se necessario, arrivando fino ad uccidere uno o più ingiusti aggressori, oh! quando attaccano voi, non ribellatevi …Lasciatevi come me “tosare e sgozzare senza difendervi e senza lamentarvi”[16]… Oh!, quando attaccano voi, avete una sola cosa da fare, imitare la mia mitezza nella mia passione, lasciarvi spogliare di tutto, colpire, mettere a morte, senza ombra di resistenza, come ve ne darò l’esempio io … sia che vogliano prendere i vostri beni, anche fino all’ultimo indumento, sia che vogliano la vostra vita, lasciatevi fare tutto con mitezza infinita, muta, pregando per chi vi spoglia, vi maltratta, o vi uccide, dicendo tra voi stessi: “Padre mio, perdona loro, non sanno quello che fanno”… Grazie, mio Dio, di permettermi d’imitare così da vicino l’Agnello divino che è stato tosato e sgozzato senza lamenti e senza resistenza… Mio Dio, sia fatta la tua volontà, grazie che la tua volontà si compia in me: la voglio qualunque essa sia; le do il benvenuto, la benedico… Mio Dio ti offro questo istante e tutti quelli della mia vita…, rimetto la mia anima nelle tue mani… Padre mio, glorifica il tuo nome[17]

Lc 11,13 – “Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” – Mi avete chiesto più di una volta come bisogna pregare, figli miei, e ve l’ho fatto vedere… La preghiera è il colloquio con Dio, è il grido del vostro cuore verso Dio… Bisogna dunque che sia qualcosa di assolutamente naturale, di assolutamente vero, l’espressione del più profondo del vostro cuore[18]… …La preghiera è ogni conversazione dell’anima con Dio, è più ancora, perché ciò contiene, quello stato dell’anima che guarda Dio senza parlare, unicamente occupata a contemplarlo dicendogli che l’ama con i suoi sguardi, pur essendo muta di labbra e anche di pensiero… …È possibile pregare quasi senza pensare…, ma bisogna sempre che vi sia molto amore, il più possibile di amore. La preghiera migliore è quella in cui vi è più amore… Qualunque sia il genere di preghiera, pura contemplazione, semplice sguardo rivolto su Dio, attenzione silenziosa e amorosa dell’anima a Dio, meditazione, riflessione, conversazione dell’anima con Dio, effusione dell’anima in Dio, preghiere vocali di ogni specie, ecc.… in tutti questi generi e in tutti gli altri, ciò che deve dominare nella preghiera sempre, sempre, è l’amore: qualunque sia il genere di queste preghiere così diverse, che siano mute o cantate, quasi senza pensiero o molto riflettute, ciò che dà loro il loro pregio è l’amore…: per tutti questi generi di preghiera senza eccezione, per tutti i generi possibili resta eternamente vero che la preghiera migliore è quella in cui v’è più amore e che la preghiera è tanto più buona quanto più è amorosa.

Riassumo, figli miei: nella preghiera ciò che voglio da voi è l’amore, l’amore, l’amore[19].

Lc 17, 10 – “Così anche voi quando avete compiuto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo poveri servi…” –  …Dopo aver fatto tutto ciò che dovete, dopo aver seguito tutti i miei esempi e tutti i miei consigli, dite sempre: “Non abbiamo fatto che il nostro dovere: non abbiamo fatto altro che rendere a Dio ciò che è di Dio[20]; non abbiamo fatto che rendere a Dio una parte di ciò che ci ha dato: tutto ciò che abbiamo viene da Dio. …Siamo servi inutili, e servi ben incapaci e miserabili. Mio Dio, non speriamo, dopo tutto ciò che abbiamo ricevuto da te e il poco che ti abbiamo reso, che nella tua infinita misericordia! …”. Sta qui tutto ciò che deve essere il fondo della vostra anima, in tutte le ore della vostra vita… Sta qui questa umiltà che è la verità in cui la vostra anima deve nuotare come nel suo elemento durante il tempo e durante l’eternità…

Queste ultime tre virtù, e le virtù che vi predicano in primo luogo tutte le mie parole e tutti i miei atti, si trovino in voi in ogni tempo della vostra esistenza sulla terra: povertà, preghiera, umiltà[21]; e innanzi tutto amore di Dio e amore di tutti gli uomini[22].

[Don Huvelin sostiene, argina, accompagna, consiglia da lontano il figlio spirituale. Anche per le meditazioni scritte lo consiglia di “scrivere solo i punti principali, l’ossatura, lo schema, omettendo il resto”. È facile lasciarsi andare, “le parole chiamano le parole”. Però, gli scrive il 30 maggio 1899, non dovrà rinunciare mai al Vangelo e alla Scrittura: “si tratta di un alimento essenziale, quindi non lo riduca per nessun motivo”[23].

Il 9 giugno 1899, festa del S. Cuore, Charles de Foucauld termina la Regola degli Eremiti del S. Cuore, chiamati “eremiti” perché, pur vivendo insieme, praticano il silenzio perpetuo. Da questo momento assume ufficialmente il nome di frère Charles de Jésus. Don Huvelin lo esorta ancora una volta a “difendersi dall’agitazione e dai continui ricominciamenti”[24]

Rispetto all’abbozzo del 6 gennaio precedente, viene accentuato l’aspetto dell’essere “salvatori” come Gesù “Salvatore”. Quando, nel ritiro del Diaconato, dal 15 al 23 marzo 1901, rivedrà il suo progetto di vita, gli eremi diventeranno “fraternità”, gli eremiti “Piccoli Fratelli” e la loro carità “universale”[25].

Il 1900 è un anno cruciale, un anno in cui si susseguono i di tentativi di uscire da Nazareth, come quello di fare l’infermiere per pagare un pensionato ad una vedova e permettere al figlio di farsi religioso e subito dopo l’idea di acquistare il monte delle Beatitudini, messo tutt’a un tratto in vendita, e di stabilirvisi come prete-eremita[26]…. Ciò che resterà e sarà determinante è la decisione di farsi prete, e prete per le pecore più perdute.]

[1] Dei diversi racconti della conversione, è il più dettagliato e intimo, oltre che ampiamente citato in biografie e antologie. Gli appunti integrali si trovano in LVN, p. 33-212 (il ricordo della conversione a p. 87-104). Qui vengono ripresi solo pochi brani.

[2] Lc 2, 51.

[3] Gv 1, 46

[4] LVN, p. 51.

[5] Alla fine della meditazione precedente, nelle Risoluzioni a p. 60.

[6] Fa parlare il Signore.

[7] Benedetto Labre e Alessio erano diventati suoi modelli a partire dall’ultimo breve periodo come trappista a Roma.

[8] LVN, p. 105

[9] Brano a p. 107-108, tratto dal Capitolo intitolato Il mio avvenire sulla terra, la mia morte, il giudizio, il cielo o l’inferno, p. 104-110. Qui, come nella maggior parte delle meditazioni personali, scritte per se stesso e non per la pubblicazione, fa parlare Gesù. Il suo interlocutore, nella preghiera, di solito è Gesù, suo fratello, suo Signore, suo Dio.

[10] Cf. Fil 4, 19.

[11] Gv 15, 13.

[12] LVN, p. 212.

[13] UP, p. 16-18.

[14] UP, p. 21.

[15] UP, p. 57-58.

[16] Is 52,13- 53,12.

[17] UP, p. 77-79. Come fa notare una nota al testo a p. 145, la pagina acquista un rilievo particolare se riferita alle circostanze della morte di fratel Charles, il 1° dicembre 1916. In questo periodo è forte il richiamo del martirio, senz’altro per il ricordo recente del massacro degli Armeni, come già ricordato nelle pagine precedenti.

[18] UP, p. 92. Insiste poi a lungo sull’unica preghiera di richiesta che riassume tutte le richieste possibili: Sia fatta la tua volontà!  (p. 93-98). Quindi guarda la preghiera “in senso più largo”. Si tagliano le numerose ripetizioni e parafrasi.

[19] UP, p. 98-101.

[20] Mt 22,21; Mc 12, 17; Lc 20, 25.

[21] Su povertà e preghiera ha scritto nelle pagine precedenti.

[22] Il Ritiro di Efrem si interrompe su queste parole.

[23] Lettera del 30 maggio 1899, in LAH, p. 100.

[24] LAH, p. 101.

[25] Cf. Règlements et Directoire, Nouvelle Cité, Montrouge 1995.

[26] Cf. LAH, p. 108-113 e 113-121.

 

 

 

Lettere da Nazareth

Charles de Foucauld – Dalle “Lettere e meditazioni.”

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

3. Lettere da Nazareth.

 In questo periodo, in cui sovrabbondano gli appunti personali, la corrispondenza si fa rara: Charles vuole il silenzio e l’oscurità. Ai rari corrispondenti non dà indirizzo, ma si fa scrivere fermo posta, sopprimendo il de aristocratico del cognome o addirittura il cognome stesso, quando, dall’inizio del 1899, comincerà a farsi chiamare “fratel Charles di Gesù”. Oltre alla cugina Marie de Bondy, alla sorella Marie de Blic, al direttore spirituale don Huvelin, vengono inclusi tra i suoi corrispondenti: l’abate generale della Trappa (dom Sebastien Wyart), l’abate di Staueli (precedentemente di Akbès) dom Louis de Gonzague e p. Jérôme. Proprio perché quest’ultimo gli sta particolarmente a cuore, rivolgendosi a lui come a un figlio spirituale, le lettere riflettono lo stile e i contenuti delle sue meditazioni.

A padre Jérôme – Nazareth, 31 maggio 1897

GESÙ sia sempre con lei, tanto caro Padre[1]!

Carissimo padre, le voglio bene, prego per lei. Non le voglio scrivere a lungo: siamo così uniti tenendoci tutti e due ai piedi del Tabernacolo! È lì che ci dobbiamo trovare. Siamo uno in GESÙ. TeniamoGli sempre più compagnia nel Santo Sacramento. Esaliamo lì, davanti a Lui, come la piccola lampada. E chiediamoGli una sola cosa, che viva in noi, che ci faccia pensare i Suoi pensieri, parlare le Sue parole e fare le Sue azioni. Cessiamo di essere e viva Lui in noi.

Le voglio dire una cosa: se mai avesse una pena, una difficoltà, si ricordi che ha in me un fratello, il più amante, il più tenero, il più devoto, e mi scriva a lungo attraverso don Huvelin, 6, rue Laborde, Paris. Le risponderò, compatirò, pregherò per lei. Se non riceve risposte, è perché suo fratello non sarà più in questo mondo: preghi allora per il riposo della sua anima.

Dal più profondo del cuore, supplico il Signore di farle la grazia di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto lo spirito e con tutte le forze. Possa glorificare perfettamente il nostro Amatissimo GESÙ Amen. – fr. Marie Albéric[2]

A padre Jérôme – Nazareth, 30 settembre 1897, festa di San Girolamo

… Buona festa! Le mando per la sua festa una poesia che ho letto qualche tempo fa, che ho trovato bella e che, mi sembra, le andrà. Esprime una parte dei sentimenti che deve desiderare di avere. Una parte, perché se la nostra anima deve essere riempita di un dolore grande come il mare al pensiero delle sofferenze di Gesù e a quello dei peccati degli uomini, deve anche traboccare della gioia della beatitudine infinita di Dio e della gloria degli abitanti del cielo. Abisso di gioia e abisso di dolore, è quello che è stata sempre l’anima del Maestro, è quello che deve essere la nostra e più ameremo più la gioia e il dolore saranno intensi tutti e due. Cresceranno insieme, perché partono dalla stessa fonte: sono questi due fiumi d’acqua viva che zampillano dal seno di quelli che credono in Gesù. Uniamoci alle gioie e ai dolori di questo Sposo amatissimo, mio caro fratello, conformiamo le nostre anime alla Sua, chiediamoGli questa conformità, questa unità, Egli la vuole, Lui, che nell’ultima notte che passò in questo mondo ha istituito quel sacramento divino che ci unisce così strettamente a Lui, carne a carne e anima a anima, e che poi, in quell’ultima preghiera ha tanto chiesto al Padre suo che siamo uno insieme e uno con Lui, e “consumati nell’unità”[3].

…Cerchiamo dunque di fare uno con Gesù, di riprodurre la sua vita nella nostra, di gridare la sua dottrina sui tetti coi nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, di farLo regnare in noi, vivere in noi! Se ci dona delle gioie, accettiamole con riconoscenza, il buon Pastore ci dà queste erbe dolci per fortificarci e renderci capaci di seguirlo in seguito nei cammini aridi. Se ci dona delle croci, baciamole, “bona crux” è la grazia delle grazie, è camminare più che mai la mano nella mano di Gesù, è alleviarlo portando la sua croce come Simone di Cirene, è il nostro Amatissimo che ci invita a dichiararGli e a provarGli il nostro amore. Pene dell’anima, sofferenze del corpo, “rallegriamoci e esultiamo di gioia”[4], Gesù ci chiama, ci dice di dirgli che L’amiamo, e di ripeterGlielo per tutto il tempo che dura la nostra sofferenza. Tutte le croci grandi o piccole, anche tutte le contrarietà, sono un appello dell’amatissimo. Ci chiede una dichiarazione d’amore, e una dichiarazione che duri tanto tempo quanto la croce. Oh! come pensando questo, si vorrebbe che la croce durasse sempre! Durerà quanto vorrà Gesù. Per quanto dolce, per quanto sia amata, non la vogliamo se non quando Gesù la vuole per noi. La Tua volontà, fratello, e non la nostra. Non vogliamo pensare a noi più che se non esistessimo: noi non penseremo che a Te, nostro sposo Amatissimo! Non vogliamo il nostro bene, vogliamo il tuo. Non chiediamo niente per noi, ti chiediamo la tua gloria: il tuo Nome sia santificato, venga il tuo Regno, sia fatta la Tua Volontà in tutti i tuoi figli, in tutti gli uomini; sia fatta in noi; che ti glorifichiamo il più possibile durante tutta la nostra vita, facciamo la tua volontà, consoliamo il più possibili il tuo Cuore. È tutto quello che ci è necessario, è tutto quello che vogliamo. Eccoci ai tuoi piedi, fa’ di noi quello che ti piacerà, o questo o quello, a tuo gradimento, non abbiamo volontà, non desideri se non il compimento della Tua Volontà, del Tuo bene, della Tua Gloria, e la consolazione del Tuo divin Cuore.

Possiamo, mio amatissimo fratello, essere consumati nell’unità, essere uno nel Suo amore, essere uno insieme e uno in Lui, nel tempo e nell’eternità. Questo Amatissimo Sposo delle nostre anime stringa ogni giorno i legami che ci uniscono per sempre a Lui, e ci faccia la grazia di consolare il più possibile il Suo Sacro Cuore in tutti gli istanti della nostra vita.

Suo fratello che l’ama in Gesù. – fr. Marie Albéric[5].

[Dopo una prima tentazione a tornare in Francia e questuarvi per le Clarisse che vede troppo povere, Charles confessa a don Huvelin che, avvicinandosi l’anniversario dei suoi primi voti, subisce un’altra tentazione: quella di tornare alla Trappa di Akbès, dove l’avrebbero fatto superiore entro due anni… È una tentazione che dura diversi mesi e che lo porta a pensare anche al sacerdozio… Don Huvelin lo invita più volte a rimanere e a consolidarsi, finché non abbia indicazioni più precise[6]…] 

A padre Jérôme – Nazareth, 28 gennaio 1898, S. Cirillo d’Alessandria

Mio carissimo padre, mio buon fratello in Gesù, siamo ancora nel tempo di Natale; di corpo sono a Nazareth (che non ho lasciato dalla mia ultima lettera), ma di spirito è più di un mese che sono a Betlemme; è dunque accanto al presepio, tra Maria e Giuseppe che le scrivo. Ci si sta così bene! Fuori è il freddo e la neve, immagine del mondo. Ma nella piccola grotta, illuminata da Gesù, come si sta bene! Com’è dolce, calda, luminosa! Il nostro caro Padre Abbate vuole sapere quel che mormora il dolce bambino Gesù da un mese quando Lo guardo, quando veglio ai suoi piedi la notte tra i Suoi Santi Genitori, quando viene tra le mie braccia, sul mio cuore e nel mio cuore con la Santa Comunione. Ripete: “Volontà di Dio; Volontà di Dio”. “Ecco io vengo: è scritto di me in testa al libro dei miei destini che farò la Tua Volontà[7].Questa è stata la mia prima parola entrando nel mondo, più tardi quando mi domanderanno: “Come bisogna pregare?”, dirò: “Dite: Sia fatta la Tua Volontà”[8]. Morendo, la mia ultima parola sarà “Rimetto la mia anima nelle tue mani, alla tua volontà”[9] … Così, sempre, sempre, sempre, obbedienza [al direttore spirituale], in tutto quello che non è peccato. Obbedire ciecamente al tuo superiore, al tuo direttore, non in vista di loro, ma in vista di me, per fare la mia volontà, è il solo, l’unico mezzo di glorificarmi: glorificarmi è il fine, è il fine di ogni creatura, è il fine di ogni spirito in questa vita e nell’altra. “Omnis spiritus laudet Dominum[10], “Sanctificetur Nomen Tuum”. – “Padre glorifica il Tuo Nome”[11]. La Volontà di Dio, e la volontà di Dio mediante l’obbedienza”, ecco quel che mi ripete, mi mormora dolcemente la voce amatissima del divino bambino Gesù.

Ecco il mio Natale, mio buon fratello in Gesù, o almeno ecco il regalo di Natale, la dolce parola che ma ha dato il dolce bambino Gesù. Ancora qualche giorno da passare ai suoi piedi in questa carissima grotta, poi l’accompagneremo al tempio, lì offriremo tutta la nostra anima a suo Padre con Lui e per Lui, per i suoi Santi Genitori, così lo pregheremo di offrirci a Dio come dei fratelli minori[12] di Gesù, contemporaneamente a Lui, per fare anche noi la volontà di Dio, qualunque essa sia, come ce lo indicherà l’obbedienza, lo pregheremo di offrirci col nostro “fratello maggiore” per essere come lui “agnello di Dio”, agnelli “come immolati”[13] morti tra le Sue mani, ai Suoi piedi, perché faccia di noi tutto quello che vuole[14]

A padre Jérôme – Nazareth, 15 febbraio 1898

…Le mando oggi per raccomandata all’indirizzo del nostro Reverendo Padre le mie meditazioni sul Santo Vangelo. Lasciando Roma non volevo più scrivere niente. Ma mi sono trovato in tali aridità[15], in una tale impossibilità di pregare, che ho chiesto al mio direttore se bisognava continuare a non scrivere, o a riprendere le meditazioni scritte: mi ha risposto: “Scriva le sue meditazioni: è una buonissima maniera di meditare: ed è particolarmente utile per lei, perché serve a fissare i pensieri”. Scrivo perciò tutte le sere. Troverà un po’ di differenza tra queste meditazioni e le altre: queste sono spesso delle orazioni, delle conversazioni familiari col divino sposo delle nostre anime, io Gli dico tutto quello che ho da dirGli, è molto intimo, ma per lei non voglio avere segreti, caro fratello in Gesù. Vedrà il fonda della mia anima in cielo, perché non cominciare già da ora? Le chiedo soltanto di conservare questi quaderni, affinché nel caso che in seguito ne abbia bisogno, glieli possa chiedere: penso di non farlo, ma preferisco che abbiamo questa cura, perché parecchie volte ho distrutto delle serie di meditazioni di questo genere, e dopo me ne sono pentito, vedendo che mi sarebbero state utili. Glielo dico perché possa approfittare della mia esperienza. Conservi gli appunti di ogni genere: più tardi, al momento che meno si aspetta, questa o quella serie di appunti è utilissima: tenga tutto con ordine, e non distrugga: è quello che faccio in questo momento.

Indifferenza anche per restare a Staueli o andare dove Dio vorrà. …Ma posso aggiungere una cosa, è che sono entusiasta vedendo che è definitivamente stabilito che lei non farà questo servizio militare che è così poco appropriato ai discepoli di Gesù; e un’altra cosa, è che se non può restare a Staueli, sarei felicissimo di vederla dai Cappuccini che sono il fiore dell’ordine dei Francescani, ferventi, poveri, austeri, uomini di preghiera. E sarei anche contento di vederla in quel Libano, terra biblica, di cui parla ad ogni riga il Cantico.

…Faccia una cosa che faccio io, nelle feste della Santa Vergine[16], prendo sempre un’omelia di qualche Padre della Chiesa, in francese o in latino, su questa festa o su un’altra ma un’omelia sulla Santa Vergine, e andando in chiesa la leggo lì, il più vicino possibile al Santissimo Sacramento, ne leggo o diverse pagine oppure soltanto due righe, più o meno: quando il buon Dio mi spinge a passare dalla lettura all’orazione, seguo questo movimento. Se l’orazione langue, riprendo il libro; se non viene lo tengo; se scende su di me e se la Santa Vergine mi mantiene in questo stato di dolci orazioni ai suoi piedi, poso il libro e non lo riprendo. Le consiglio questo mezzo per festeggiare nostra madre, facendoci condurre a lei da uno di questi grandi che si chiamano Dottori della Chiesa, – e andando a cercarla presso suo Figlio, nel Santissimo Sacramento[17]. …

A p. Jérôme – Nazareth, 19 maggio 1898, lunedì dopo l’Ascensione

Grazie, mio caro Padre, della sua buona lettera del 15 aprile; grazie dei preziosi ricordi di Subiaco. Sì, sono i grandi esempi che ci dà San Benedetto, “lasciare le cose vane ai vani, chiudere la porta e chiamare Gesù”, è quello che deve fare in questo momento, giovane minore della Santa Vergine, aspirando quando piacerà a Dio agli ordini maggiori, desiderandoli, perché la uniranno a Dio sempre più e la renderanno atta a glorificarLo sempre più, desiderando che vengano quando Dio vorrà, “La Sua volontà e non la nostra”, ma se Egli lo lasciasse in qualche modo alla sua scelta, preferendo che sia tardi invece che presto, al fine di prolungare il tempo di preparazione e di riceverli più degnamente[18]. È in questo tempo di preparazione che si trova, mio caro Padre; è un periodo estremamente grave, estremamente importante della sua vita, il tempo in cui si deve preparare col raccoglimento, il silenzio interiore, la solitudine, l’allontanamento più grande che mai dalla creature a ricevere la grazia di Dio e a fare il vuoto in lei perché Egli possa possederla, riempirla tutto intero. “Aperi os tuum et implebo illud, [19], perché Dio possa riempire la nostra bocca, bisogna che sia vuota. La sua occupazione in questo momento, è di vivere solo con Dio solo, è di stare fino al suo Sacerdozio come se fosse solo con Dio nell’universo. Bisogna passare per il deserto[20] e soggiornarvi per ricevere la grazia di Dio: è là che ci si svuota, che si caccia via da sé tutto quello che non è Dio e si svuota completamente questa casetta della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo. Gli Ebrei sono passati per il deserto, Mosè ci ha vissuto prima di ricevere la sua missione, San Paolo all’uscita da Damasco è stato a passare tre anni in Arabia, il suo patrono San Girolamo, San Giovanni Crisostomo si sono anche loro preparati nel deserto. È indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo dal quale tutte le anime che vogliono portare frutto devono necessariamente passare; hanno bisogno di questo silenzio, di questo raccoglimento, di quest’oblio di tutto il creato in mezzo a cui Dio stabilisce in lei il suo regno, e forma in lei lo spirito interiore, la vita intima con Dio, la conversazione dell’anima con Dio nella fede, la speranza e la carità. Più tardi l’anima produrrà dei frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in lei l’uomo interiore. Se questa vita interiore è nulla, anche con tutto il suo zelo, le sue buone intenzioni, tanto lavoro, i frutti saranno nulli: è una fonte che vorrebbe dare la santità agli altri ma che non può non avendola. Non si dà se non quello che si ha: ed è nella solitudine, in questa vita soli con Dio solo, in questo raccoglimento profondo dell’anima che dimentica tutto il creato per vivere sola nell’unione con Dio, che Dio si dà tutto intero a colui che si dà così tutto intero a Lui. Si dia tutto intero a Lui solo, mia amatissimo Padre, durante questi anni di preparazione, di grazie, e Lui si donerà tutto intero a lei. In questo, non tema di essere infedele ai suoi doveri verso le creature, è al contrario, il solo mezzo per lei di servirle efficacemente: guardi San Paolo, San Benedetto, San Patrizio, San Gregorio Magno, tanti altri, che lungo tempo di raccoglimento e di silenzio! Salga più alto: guardi San Giovanni Battista, guardi Nostro Signore. Nostro Signore non ne aveva bisogno ma ha voluto darcene l’esempio. Rende a Dio ciò che è di Dio. Creda bene che in questo momento almeno fino al suo Sacerdozio, probabilmente, tutto il tempo che la santa obbedienza le permetterà. La Sua Volontà per lei è che si occupi di Lui solo, non dico non amando gli altri, amandoli in fondo ardentemente in vista di Lui, ma per il momento e per diversi anni dimenticandoli completamente, non vedendoli per così dire che in sogno, e vivendo, non posso ripeterlo a sufficienza, nell’universo come se fosse solo con Dio solo. Più tardi Dio le comanderà altro: ma quello lo domanda da lei in questo momento. Guardi per così dire tutti gli uomini, tutti, come non esistessero, salvo uno solo, il suo buono e caro Padre Abate[21] con il quale bisogna al contrario comunicare frequentemente e al quale bisogna aprire pienamente e continuamente la sua anima, come farebbe con Gesù stesso, poiché è insieme il suo direttore e il suo superiore e rappresenta perciò pienamente Dio per lei. È continuamente come il rappresentante di Dio per le che deve vederlo, cioè di quale rispetto, di quale amore, di quale obbedienza lo deve circondare! Oh! com’è bella questa vita di fede, mio amatissimo Padre. Possa condurla perfettamente, compiere esattamente in tutti gli istanti della sua vita quello che Gesù chiederà da lei e così glorificarLo perfettamente in questo mondo e nell’altro. Amen, Amen, Amen.

La grazia di Nostro Signore Gesù sia con lei. Il suo indegno fratello che l’ama nel Sacro Cuore di Gesù. – fr. Marie Albéric[22].

[Durante un primo soggiorno nel luglio 1898 presso le Clarisse di Gerusalemme, la badessa lo incoraggia a trovarsi un compagno… Charles, nonostante la perplessità di don Huvelin, va alla ricerca di un ex novizio di Akbès, orientale, che era tornato in famiglia. Ma il giovane non lo vuole seguire e il 4 ottobre Charles è di nuovo a Gerusalemme.

Il 15 ottobre 1898, festa di Santa Teresa d’Avila, Charles, che si trova ancora presso le Clarisse di Gerusalemme, scrive a don Huvelin per raccontargli l’incontro con la badessa che lo incoraggia ad essere prete ed eventualmente loro cappellano… E gli confessa: “Che cosa c’è in fondo alla mia anima? Sicuramente un desiderio segreto e istintivo di fondazione religiosa, di cui non ho mai parlato a nessuno eccetto che a lei”[23]. Lo precisa in una lettera successiva.]

A don Huvelin – Gerusalemme, 22 ottobre 1898

…Ciò che sogno in segreto, senza confessarmelo né permettermelo, anzi respingendo tale sogno che ritorna continuamente e che le confido affinché possa conoscere a fondo la mia anima, ciò che sogno istintivamente è qualcosa di elementare e poco comune, somigliante alle prime semplicissime comunità degli antichi tempi della Chiesa: alcune anime raccolte per condurre la vita di Nazareth e vivere del loro lavoro, praticando le virtù di Nazareth, nella contemplazione di Gesù… piccola famiglia, piccolo focolare monastico, piccolissimo, semplicissimo; per nulla benedettino[24]

[Il 22 gennaio 1899, festa della Sacra Famiglia, Charles invia da Gerusalemme a don Huvelin un quadernetto, scritto il 6 gennaio davanti all’Eucarestia, che contiene il Regolamento provvisorio degli “Eremiti del Sacro Cuore”, su cui, il 2 febbraio vuole pronunciare i voti[25]. Rientra a Nazareth, vincendo la “tentazione” di Gerusalemme, ma la ricerca continua.]

A dom Martin, abate di Notre Dame des Neiges – Nazareth, 29 dicembre 1899

Mio veneratissimo e amatissimo Padre, ci voleva proprio questo per farmi uscire dal silenzio? Ho ricevuto stamattina la triste notizia[26]. Quanto sono commosso, è quello che sente anche lei, mio Reverendo e caro Padre. Saranno il 16 gennaio dieci anni da quando sono arrivato a N.D. des Neiges, e in questo mese di dicembre sono nove anni che sono sotto l’ala di questo buono, di questo eccellente Padre Louis de Gonzague: i ricordi delle sue le virtù, di tutto quello che l’ho visto essere, di quello che è stato per me, per tutti, durante questi nove anni, così presente al mio spirito; non posso trattenere né l’emozione né le lacrime. Lei lo conosce meglio di tutti, che rimarcava in lui soprattutto quella rettitudine assoluta d’intenzione. Poiché “il suo occhio fu semplice” speriamo che ora “tutto il suo corpo sia nella luce”[27]; a momenti piango, lasciandomi prendere dall’emozione al ricordo del suo caldo affetto, del suo cuore paterno, delle sue virtù; a momenti sorrido, dicendomi che dopo una tale vita, e aiutato da tante preghiere e dai Santi Sacrifici, è già nella Patria! …Mi parlava molto di lei nell’ultima lettera: doveva venire a trovarmi: l’aspettavo tutti i giorni. Mi sento più vicino a lui di quando era sulla terra; non ho più bisogno di dire che gli voglio bene; lo vede; è la dolcezza della solitudine: separa in apparenza, non in realtà, perché non mi ha mai separato da lei, dai viventi, ma essa unisce ai morti.

Lei sa che ho lasciato a N.D. des Neiges buona parte del mio cuore: sa che non scrivere non è sinonimo di non amare: dia mie notizie, senza dire dove sono (per evitare le lettere e i discorsi, perché non mi si scriva e non si parli di me – silenzio e vita nascosta, seppellimento), ma dicendo loro che li amo con tutto il cuore e che prego ogni giorno per loro.

…  Lei sa, carissimo Padre, non ho niente di nascosto: mi trovo, dal mio arrivo in Terrasanta, domestico, o piuttosto operaio, giornaliero, dalle Clarisse di Nazareth: ho l’indipendenza di un operaio, lavorando alle mie ore e accettando solo i lavori che voglio, come l’operaio figlio di Maria; regolo il mio tempo in maniera tale da guadagnare onestamente il pane e il resto del tempo sto davanti al Santissimo Sacramento: le buone Clarisse (vere sorelle per me, che hanno tanta bontà che ne sono toccato in fondo al cuore, il buon Dio mi fa bere del latte)mi forniscono il lavoro, e in forma di pagamento mi danno non del denaro ma tutto quello di cui ho bisogno, alloggio[28] e assolutamente tutto: non esco mai dal convento: sono come in clausura e mantengo il silenzio; è il buon Dio stesso che mi ha condotto come per mano in questo nido che sembra aver preparato per me. Vi ho trovato un raccoglimento, un ritiro di cui non posso benedirlo abbastanza, con quella povertà, quell’abiezione d’operaio così a lungo desiderata. Eccola al corrente della mia semplicissima vita che si va seppellendo sempre più.

A Dio, a Gesù, mio venerato e amatissimo Padre! Che dolorosa causa mi ha fatto scriverle, ma essa sarà più tardi per noi tutti, ed è già per colui che amiamo, spero, motivo di gioia incomparabile: “Qui sement in lacrimis in exultatione metent[29] … – fr. Charles.

 

[1] Questa o simile intestazione verrà sostituita con il cuore e la croce e JESUS, e infine, a partire dal febbraio-marzo 1902, a Beni Abbès, JESUS diventerà JESUS CARITAS, sovrapposti, con in mezzo il cuore e la croce. Sarà questo il motto definitivo (di cui parla esplicitamente alla cugina Marie il 6 marzo 1902, cf. LMB, p. 85. Per p. Jérôme cf. sopra lett. del 24.01.1897.

[2] Con i Trappisti si firma così fino al 9 settembre1898, quando comincerà a firmarsi fr. Charles, finché, all’inizio del 1899, assumerà ufficialmente il nome di fratel Charles di Gesù. Cf. CCDP, p. 159-160.

[3] Cf. Gv 17, 23. La Vulgata dice: consummati in unum”.

[4] Cf. Sl 118, 24; Is 25, 9; Ap 19, 7; Lc 10, 21.

[5] CCDP, p. 160-162. Come vediamo, queste lettere spirituali al giovane trappista, spesso molto lunghe, sono impregnate delle sue meditazioni personali. In quei giorni dom Louis de Gonzague scriveva al fratello, lui pure trappista e abate di N.D. des Neiges che fr. Marie Albéric stava “seriamente diventando un vero Santo: Non ho mai conosciuto un’anima così bella nella mia vita” (Ivi, p. 165).

[6] Cf. LAH, p. 58-77.

[7] Cf. Eb 10, 7. Si tratta sempre di una traduzione dalla Vulgata.

[8] Mt 6, 10.

[9] Lc 23, 46.

[10] “Ogni essere che ha respiro dia lode al Signore”, Sl 150, 6.

[11] Gv 12, 28.

[12] Il testo è: “petits frères de Jésus”.

[13] Gv 1,36 e Ap 5,6.

[14] CCDP, p. 168-171

[15] Vivrà sino all’ultimo in questa condizione di aridità.

[16] P. Jérôme avrebbe ricevuto gli ordini minori il 25 marzo successivo, festa dell’Annunciazione.

[17] CCDP, p. 178-181. Nell’intestazione ha cominciato ad usare il cuore sormontato da una croce tra IESUS e FIAT VOLUNTAS TUA.

[18] Si ricordi che Charles rifiutava ancora di farsi prete per l’altissima considerazione che aveva del sacerdozio, che gli sembrava contrario alla sua scelta dell’ultimo posto.

[19] Cita a memoria il Sl 80, 11: Dilata os tuum et implebo illud”.

[20] Questo testo famoso sul deserto, estratto dal contesto, si fa spesso risalire al tempo vissuto da Foucauld nel Sahara, mentre risale al periodo di Nazareth, che, del resto, è una situazione di deserto spirituale, quasi un noviziato. Potrebbe anche essere eco dei viaggi nel Sahara prima della conversione, quando cominciò, provocato dalla fede musulmana, a sentire confusamente il richiamo di Dio. Quando si troverà nel deserto geografico, Charles farà solo brevissime allusioni alla sua bellezza e al suo significato (cf. LMB, p. 91, 94, 171…).

[21] Era p. Louis de Gonzague, ex priore di Akbès.

[22] CCDP, p. 182-184. Fr. Charles riceverà da p. Jérôme, all’inizio del 1899, la fotografia, in negativo, della Sindone, (cf. CCDP, p. 196), che conserverà preziosamente e metterà nella copertina di una quadernetto intitolato Il Modello Unico, in cui tracciava, attraverso semplici frasi del Vangelo, il “ritratto di Gesù”. Al momento in cui, sotto la minaccia di espulsione, fu presa la decisione di vendere Staueli, ciò che avvenne il 21 ottobre 1904, raggruppando i padri in un monastero provvisorio in Italia, P. Jérôme, diventato prete, lasciò la Trappa per incardinarsi come prete in Algeria.

[23] Per queste vicende cf. LAH, p. 79-80 e 84. Lo stesso giorno, meditando sulla festa di Santa Teresa, mostra ancora una volta la sua grande inquietudine e il bisogno di aiuto per discernere (cf. CFA, 587-588).

[24] LAH, p. 87-89. Don Huvelin gli scriverà ancora: “Rimanga a Nazareth!”, ma la “tentazione” di fondare una cosa nuova sarà più forte.

[25] LAH, p. 91.

[26] La morte improvvisa, a 45 anni, il 3 dicembre 1899, dell’abate di Staueli, dom Louis de Gonzague, durante una visita ad Akbès (diventata sua filiale), che era fratello di dom Martin.

[27] Cf. Mt 6, 22.

[28] Si trattava del capanno degli attrezzi dell’orto, fatto di assi si legno: il suo “eremo”.

[29] Sl 126, 5. Per la lettera cf. CCDP, p. 204-206.

A Nazareth 1897- 1900

Charles de Foucauld – Dalle “Lettere e meditazioni”.

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione.]

2. A Nazareth (1897-1900): “solo con Dio solo”[1]

Meditazioni

               Nella capanna dell’orto delle Clarisse a Nazareth, che intitola “Eremo della Madonna del Perpetuo Soccorso”, Charles vive da vero eremita, e, fra vari lavoretti e commissioni per le Clarisse, disegni di immagini, soprattutto prega ai piedi dell’Eucarestia e medita a lungo annotando i suoi pensieri: la maggior parte dei suoi “scritti spirituali” risalgono a questo periodo di “nascondimento”, che va dal marzo 1897 all’agosto 1900 (e comprende brevi soggiorni a Gerusalemme). Legge e rilegge la Scrittura, e soprattutto il Vangelo, nel desiderio d’imitare il più possibile Gesù di Nazareth.

               Il 6 giugno 1897, Pentecoste, il giorno in cui, in un’annotazione sul suo pensiero della morte, scrive il testo famoso sulla prospettiva del martirio[2], Charles inizia la meditazione sui Salmi. Rileggendo i Salmi 21 e 83 della Vulgata, approfondisce il significato che dà al termine “abiezione”, riferendolo direttamente a Gesù Salvatore.

 

Sl 1    …A me, nella tua bontà infinita, tu dici – e me lo dici talmente che è la prima parola del libro dei salmi Beatus vir[3] mi dici che sarò felice, felice della vera felicità, felice all’ultimo giorno, mi dici che per quanto sia miserabile, sono una pianta piantata ai bordi delle acque vive, delle acque vive della volontà divina, della parola divina, della parola divina, dell’amore divino, della grazia… e che darò frutto a suo tempo: ti degni di consolarmi: mi sento senza frutto, mi sento senza opere buone, mi dico: sono convertito da undici anni, che cosa ho fatto? Quali erano le opere dei santi e quali sono le mie? Mi vedo le mani vuote di bene: tu ti degni di consolarmi: porterai frutto a suo tempo, mi dici… Qual è questo tempo: il nostro tempo, quello di tutti, è l’ora del giudizio: mi prometti che se persevero nella buona volontà e nella lotta, per quanto mi veda povero, darò frutti all’ultima ora… E aggiungi: sarai un bell’albero dalle foglie eternamente verdi, e tutte le tue opere avranno un esito felice, tutte porteranno frutto per l’eternità. Mio Dio, quanto sei buono, come sei divinamente consolatore, o cuore di Gesù, sei proprio tu che hai dettato queste prime parole così tenere del libro dei salmi! Ci dici lì, come lo dirai in Galilea: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero” … Grazie, Dio mio, delle tue consolazioni, delle quali i nostri poveri cuori hanno tanto bisogno[4]

 Sl 21 (22) [Dopo aver meditato l’abbandono, il rifiuto da parte di Dio e di tutti di Gesù: “io sono il più disprezzato degli uomini e il più abietto di tutto il popolo” – “abjectio plebis”]

E questo disprezzo e questo rifiuto universali, questo fatto di essere l’ultimo degli uomini, l’essere più abietto del popolo, non è soltanto la sua croce, è tutta la sua vita, Betlemme, i trent’anni di Nazareth, la sua vita pubblica…  Se mai siamo stesi a terra nudi da parte dei nostri nemici, in fin di vita, spogliati, coperti di piaghe, con rivoli di sangue, allora benediciamo Dio e ringraziamolo, perché ci ha fatto la grazia delle grazie, ci ha fatto il favore dei favori, quello di dargli la prova del più grande amore. “Non c’è amore più grande di dare la vita per quelli che si amano”[5]… allora “rallegriamoci e trasaliamo di gioia”[6] perché seguiamo il nostro divin salvatore, partecipiamo alla sua vita e alla sua morte, camminiamo con lui la mano nella mano fino al Calvario, fino alla morte[7]

 

Sl 83 (84)  [Al v. 11: “Stare sulla soglia della casa del mio Dio”]

Oh, Dio mio, fammi capire quella santa abiezione che fu tanto la tua parte sulla terra, tanto la tua parte in questa Nazareth …, dove la tua misericordia mi ha fatto l’incomparabile grazia di condurmi… Fammela comprendere, conoscere, amare, praticare, coltivare, quella santa e benedetta abiezione, sorella dell’umiltà, figlia del disprezzo di sé e del disprezzo del mondo, condizione indispensabile e parte considerevole della tua imitazione…O santa e benedetta abiezione, madre, figlia e sorella di tutte le virtù e soprattutto dell’amore per Gesù, dell’amore per il prossimo, della vera umiltà e della preghiera, …, sì, ti ho eletta[8], sì, ti ho scelta…, ma quanto ti pratico male, quanto ti abbraccio male. Oh, mio Dio, mi hai fatto la grazia di essere abietto con te nella tua casa, ma fammi la grazia di conoscere veramente quell’abiezione che fu la tua quaggiù, di amarla come devo e di praticarla come vuoi che faccia, a tua imitazione, o Gesù. Amen.

Abiezione nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, … in tutto ciò che è esteriore. Ma abiezione nella casa del Signore, per lui, come lui, con l’anima che passa ai suoi piedi la maggior parte possibile del tempo, e sempre con l’anima, con il cuore e con la mente pieni di lui[9].

[Lo stesso giorno di Pentecoste 1897, inizia le Meditazioni sui santi Evangeli relativi a quindici virtù.]

Lc 12, 49    “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra…” [10] –     …È una legge dell’amore: guarda senza sosta quello che ama, non ne distoglie il suo pensiero, fa tutto in vista di lui, cerca in tutto il bene dell’essere amato… Mio Dio, tu che, nella tua bontà infinita, non contento di avermi fatto tanto bene, nel corso della tua vita mortale, di aver portato la croce ed essere stato crocifisso per me, di aver tanto pregato, lavorato, sofferto per me a Nazareth, mi colmi di tanti beni durane la mia vita, tu che mi fai questa sera stessa questa sì dolce grazia di essere ai tuoi piedi, di intrattenermi con te, ai tuoi piedi in un sì dolce a tu per tu, tu che se qui con me, mio Dio, tu appoggiato a cui sono, tu a cui parlo, mio Dio, accendi in me questo fuoco, questo fuoco del tuo amore, che non respira che te, che non respira che per te, che non pensa che a te, che non agisce che in vista di te, che tutti gli istanti ti ha dinanzi agli occhi e cerca di fare ciò che ti glorifica di più, il più perfetto, la tua volontà, ciò che ti piace di più, ciò che ti consola di più; e ciò in vista di te solo, per te e non per sé, per la tua gloria, per la tua consolazione e non per il suo bene, per te solo, mio Dio, per questo amore disinteressato che dimentica se stesso e non cerca in tutto se non il bene di chi ama[11].

Mt 14, 31   “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”  – …Quante volte mi sono detto: non posso, dinanzi a una cosa buona, una cosa voluta da te, poiché avevo il permesso di farla[12] e poiché mi sembrava buona… Perdono, mio Dio, di tutte queste mancanze di fede! Fammi la grazia di avere una fede perfetta in avvenire, di veder bene in ogni cosa, se lo vuoi da me, e non appena sappia, sappia che mi hai detto: “Vieni”, di gettarmi nell’acqua come il mio caro San Pietro e di camminare sulle acque sino alla fine, con quella fede assoluta che con il tuo “Vieni” mi hai dato, tu che mi hai dato tutto ciò che mi occorre per venire a te, seguirti, accompagnarti, fare insomma tutto ciò che mi chiedi[13].

Mt 24, 25    “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” – … Tutta la Scrittura racchiude tesori infiniti… Bisogna amarla, adorarla, prediligerla tutta per intero, leggerla e rileggerla con grande cura, grande zelo, grande amore, leggerla per venerarla perché è parola di Dio, leggerla per conformarvisi poiché non possiamo farne la nostra regola se non la conosciamo bene, leggerla per imitazione di Gesù che certamente la leggeva e che soprattutto la conosceva, che la cita così spesso e che dice così spesso: “Bisogna che ciò avvenga per il compimento delle Scritture”[14]

Mt 25, 40   “Tutto ciò che avete fatto a uno di questi piccoli…”[15] – Abbiamo fede in questa parola e la nostra vita si trasformerà… Non c’è forse parola del Vangelo capace di mutare tutta l’esistenza come questa. Essa ci fa vedere tutto sotto una nuova luce e che luce! Gli uomini non sono solo fratelli, sono Gesù stesso. …Quale trasformazione nella vita! Questa sola parola basta a stabilirci, se la riceviamo con fede, in una carità bruciante e in una povertà assoluta… Mio Dio, tu lo sai, è con questa parola che mi hai fatto già molto bene, fammela ricevere con una fede sempre più viva e fa’ che essa trasformi interamente la mia vita, la mia anima, il mio cuore, la mia vita interiore, la mia vita esteriore e che mi renda come mi vuoi. Amen[16

Gv 19, 30   “E avendo chinato il capo, rese lo spirito”Mio Signore Gesù, sei morto e morto per noi! … Se avessimo veramente fede in questo, come desidereremmo morire e morire martiri, come desidereremmo morire nelle sofferenze invece di temerle, come niente al mondo ci spaventerebbe, poiché il peggio che possono al più farci gli uomini è di farci perire in grandi tormenti e una tale morte, ricevuta in conformità alla tua volontà e al tuo amore, è una grazia perfetta, un sacrificio perfetto, un’imitazione tre volte benedetta da te, mio divino Gesù… Quale che sia il motivo per cui ci uccidono, se noi, nell’anima, riceviamo la morte ingiusta e crudele come un dono benedetto della tua mano, se noi te ne ringraziamo come di una dolce grazia, come di una beata imitazione della tua fine, se noi te la offriamo come un sacrificio offerto con grande buona volontà, se noi non resistiamo per obbedire alla tua parola: “Non resistete al male”[17] e al tuo esempio : “S’è lasciato non soltanto tosare ma sgozzare, senza lamentarsi”[18], allora, quale che sia il motivo che hanno di ucciderci, morremo nel puro amore e la nostra morte ti sarà un sacrificio di molto gradevole odore; e se non è un martirio nel senso stretto della parola, e agli occhi degli uomini, lo sarà ai tuoi occhi e sarà una perfettissima immagine della tua morte e una fine piena d’amore che ci condurrà dritti in cielo… Poiché, se non abbiamo in questo caso offerto il nostro sangue per la nostra fede, l’avremmo con tutto il cuore offerto e sparso per amore di te… Fammi, divino Bambin Gesù, ai piedi di cui mi inginocchio[19], dinanzi alla tua piccola mangiatoia, la grazia infinita, se tuttavia è la tua volontà, di darmi la morte del martire, e presto, e nell’attesa fammela ardentemente desiderare, in te, con te e per te[20]

Mc 1, 14  “Gesù venne in Galilea, predicando il Vangelo” – …Predichiamo dunque il Vangelo, sia soltanto in silenzio, sia anche con le nostre parole: la predicazione silenziosa, tutti la devono a tutti; la predicazione con la parola e le opere particolari, gli uni la devono di più, gli altri la devono di meno, molto pochi non la devono affatto, secondo la vocazione di ciascuno… Tutti, nella misura e nel modo che Dio ci prescrive, tutti in ogni caso con la santità della vita e la pratica delle virtù evangeliche, predichiamo dunque il Vangelo, gridiamo dai tetti Gesù e il Vangelo[21].

Mc 6, 6  “Percorreva i villaggi circostanti, insegnando” – …Dal momento che Dio ci dice: “Lascia le tue reti e diventa pescatore di uomini… Seguimi nella mia vita pubblica” …, seguiamo senza un secondo di ritardo. Ma non intraprendiamo mai, mai questa vita da noi stessi: sta a lui guidarci in tutto. Se ci vogliono spingere a uscire dall’oscurità di Nazareth[22], prima del suo appello, rispondiamo a suo esempio: “La mia ora non è venuta”[23]… Ma non appena ci chiama, corriamo, lasciamo tutto come San Pietro, senza considerare (a meno che non sia per umiliarci ed essere prudenti e umili) la nostra insufficienza, pieni di fede nella voce onnipotente che ci chiama dicendo: “Posso tutto in colui che mi fortifica”[24].

Lc 6, 29  “Se qualcuno prende il tuo mantello, non impedirgli di prendere anche il tuo vestito” –  …Lasciarci spogliare da ogni uomo che vuole spogliarci con la forza: è nostro fratello, nostro fratello ingiusto, ma nostro fratello diletto, con cui bisogna restare in pace cedendogli, che bisogna ricondurre a Dio mostrandogli la nostra mansuetudine, che bisogna far arrossire per la sua cupidigia e la sua violenza mostrandogli il nostro distacco e la nostra mitezza…, a cui bisogna predicare Gesù, mostrandogli in noi, nella nostra condotta, l’immagine e la dottrina del benamato Salvatore, che si è lasciato spogliare e sgozzare senza resistenza, lui che meritava tutto il rispetto e a cui tutto era dovuto!… Imitiamo il nostro divino modello, lasciamoci spogliare di tutto “senza resistere al male”[25], a suo esempio, piuttosto che contestare, difenderci, cercare di conservare il nostro bene[26].

Mt 25, 31-46   …E avendo così trasformato il mondo non vedendolo più con gli occhi della carne, ma con gli occhi della fede, non vedendovi più degli uomini ma dei Gesù, di cui tu sei uno… agisci in tutto come avrei agito io, come agirei, come ho agito scrutando nel Vangelo la mia maniera di fare e le mie parole; imitami in tutto nella tua condotta con gli uomini. Poiché ti ho fatto Gesù[27], sii Gesù, parla, agisci da[28] Gesù… Imitami in tutto… Che non sia più tu che vivi, ma io che vivo in te… Venga il mio regno in te… …Svuotati di te e lasciami agire da solo… Non guardare te in niente, abbi sempre gli occhi fissi su di me; ditti in continuazione: Farebbe così Gesù? E fa’ come farebbe, come ha fatto Gesù: sii Gesù poiché io sono in te… Sii Gesù e tu e tutti gli uomini, siate dei Gesù nel mio Cuore e per il mio Cuore[29].

Mt 26, 26-28   “Questo è il mio corpo…, questo è il mio sangue” – [Sta parlando dello stare ai piedi di Gesù Eucarestia] … I luoghi più santi, le immagini più belle sono cose morte, il mio ritratto e il posto in cui sono passato… non c’è paragone tra loro e me stesso[30]! Perciò non dare un istante a un pellegrinaggio o alla considerazione di un’immagine in quelli che potresti passare ai piedi del Tabernacolo. …Pur utilizzandoli [questi mezzi] bisogna ricordarsi della verità, che queste cose, questi pellegrinaggi, immagini, scuole, libri, non sono altro che mezzi. …In questa semplice adorazione di Gesù, che è tutto intero nel S. Sacramento …consiste la nostra “parte migliore” …Colui che ama non si allontana mai dall’essere amato, quando può stare accanto a lui[31].

Mc 5, 24-34   “Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Or una donna…” – PreghiamoLo senza molte parole, ma con molta fede, umiltà, amore, fiducia filiale. Lo possiamo pregare senza nessuna parola, come ce lo mostra qui lodando la preghiera muta di questa donna; basta uno sguardo, un desiderio, un’elevazione umile e tenera verso di Lui: “Non pregate con molte parole come i pagani”, ha detto, “Non hanno vino”, “Colui che ami è malato”. E qui, un semplice toccare… Ecco le preghiere che piacciono a Colui “che conosce tutto quello di cui abbiamo bisogno prima che lo chiediamo”. Il nostro bisogno chiede da sé stesso a Colui che vede tutto; accompagniamo questa domanda naturale con uno sguardo silenzioso verso Dio, con uno slancio muto di fiducia, d’abbandono, d’amore, con un grido: “sia fatta la tua volontà” e siamo sicuri che saremo esauditi e che riceveremo per noi, per gli altri, per tutti gli uomini, quanto è più desiderabile, le grazie migliori del Padre delle Misericordie. Oh! Sì, mio Dio, sia fatta la tua volontà in me e in tutti gli uomini… Non chiedo niente di più, ma questo lo chiedo con tutta l’anima, in Te, per mezzo di Te e per Te. Amen, amen, amen[32].

Mc 6, 1-6    “…E i discepoli lo seguirono” – L’amore esige l’imitazione; amiamo ed imitiamo: “Il servo non è più grande del padrone”[33]. Siamo piccoli come Gesù… Gesù ci dice di seguirlo, seguiamoLo, condividiamo la sua vita, i suoi lavori, le sue occupazioni, i suoi abbassamenti, la sua povertà, la sua abiezione… …Seguiamo, imitiamo, siamoGli come dei fratelli minori[34], vivendo in tutto come Lui: “Io sono la via, la verità e la vita”[35]. Viviamo questa vita, viviamo la vita di Gesù, facciamo le sue opere che sono verità. …Siamo le immagini fedeli di Gesù. …Siamo sempre, sempre, i fratelli minori, i veri fratelli di Gesù, entrando completamente nella sua vita, praticandola in tutto, standogli indissolubilmente attaccati![36]

Mc 14, 39   “Allontanatosi di nuovo, pregava…” – …Tu ci insegni a pregare, mio Dio… e senza discorsi studiati, senza frasi, senza ricercatezze: un semplice grido del cuore, una sola parola che ripetiamo continuamente terminandola sempre con queste parole: “tuttavia non la mia volontà, ma la tua”… ci sono due modi di pregare: lasciar4e gridare il cuore, lasciarlo chiedere a Dio con una semplicità di bimbo ciò che desidera …; traiamo in tutta semplicità questo grido verso il Padre celeste et lo facciamo seguire sempre da queste parole: “Tuttavia non la mia volontà, ma la tua”… L’altro modo di pregare è di dire semplicemente le parole della fine, ossia: “Mio Dio, sia fatta la tua volontà in questo, qualunque essa sia!”… queste due preghiere sono perfette, divine; Gesù ci dà l’esempio della prima sulla riva del Cedron (Gv 17) e al Getsemani; ci dà l’esempio della seconda nel “Pater” … L’una e l’altra sono ugualmente perfette, divine. Non attacchiamoci dunque particolarmente all’una o all’altra di queste due forme… Serviamoci ora dell’una, ora dell’altra, secondo come ce l’ispirerà lo Spirito Santo; lasciamoci guidare in questo dallo Spirito Santo[37]

Lc 10, 3   “Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” – Come sei buono, mio Dio, di darci la Tua stessa missione! … Chi è stato più di Te agnello, Te, “simile ad un agnello condotto al macello”[38], Te, “l’Agnello pasquale”, Te, agnello per la Tua “mitezza” infinita… Chi più di Te è stato agnello in mezzo ai lupi… …Rallegriamoci ogni volta che siamo in mezzo ai lupi, in mezzo ai persecutori, ai detrattori, agli schernitori, ai violenti, ai briganti, ai ladri, agli assassini, ai malevoli, ai nemici di ogni specie, a tutti quelli che minacciano il nostro riposo, la nostra pace, la nostra reputazione, la nostra persona, i nostri beni, la nostra vita,  rallegriamoci, perché allora assomigliamo a Nostro Signore Gesù, siamo come Lui, in mezzo ai lupi.

E comportiamoci sempre da agnelli, ad esempio, ad imitazione, a somiglianza di Gesù, come Lui lasciamoci, “non soltanto tosare, ma sgozzare senza lamentarci”, non solo senza resistenza, ma senza lamenti. “Non resistiamo al male”[39]…. “A chi ti dà uno schiaffo, porgi l’altra guancia” … “Se ti prendono la tunica, dà il tuo mantello”[40]… Non difendiamo né il nostro bene, né la nostra vita sull’esempio di Nostro Signore Gesù[41]… …Quale pretesto ci rimane dunque per non lasciarci prendere tutto e mettere a morte senza resistere e senza lamentarsi, come Gesù, per non essere sempre e in tutto agnelli inoffensivi, senza difesa e muti, come Gesù?[42]

Lc 12, 22-30   “Non preoccupatevi…” – …Nostro Signore non dice che non bisogna lavorare per guadagnarsi la vita, al contrario: un passo della sacra Scrittura spiega l’altro. Gli esempi di nostro Signore Gesù spiegano le sue parole: ha lavorato 30 anni per guadagnarsi il pane, e non ha smesso di lavorare con le mani per vivere quando i lavori della predicazione gli hanno preso tutto il tempo. San Paolo scrive: “Chi non lavora non mangi”[43], e lui, che lo Spirito Santo proclama un vero “imitatore” di Cristo, lavora con le mani per vivere, fino alla fine della sua vita. Dunque, non solo Dio non proibisce di lavorare per vivere, ma lo raccomanda e con le sue parole e con gli esempi… quello che proibisce in tanti altri posti, è di preoccuparsi, d’inquietarsi, di stare in affanno non soltanto riguardo al superfluo, ma riguardo al necessario, all’indispensabile[44]

Lc 14, 12-14   “Quando prepari un banchetto…”  – …Tutti gli uomini sono membra di Gesù, membra del suo corpo … …Tutti, tutti, dobbiamo loro lo stesso immenso amore, ricchi, poveri, buoni, cattivi, felici, infelici, poiché tutti sono membra di Gesù, sono qualcosa di Gesù. Ma se Gesù venisse da noi con una parte delle sue membra ferite, sofferenti, insanguinate, inferme, oh! senza dubbio, prima di profumargli i capelli…, cureremmo le sue membra doloranti, sanguinanti. Ungere d’acqua di rose le sue membra sane e lasciare le parti del suo corpo ferite, sanguinanti, senza occuparcene, oppure non volercene occupare se non dopo aver ben profumato le altre, non sarebbe amore, ma follia[45]

Lc 15, 1-7    “Va a cercare quella smarrita…” – …e dopo averla trovata, la prende sulle spalle. Non le salta solo al collo, non le va solo incontro, come il padre del figlio prodigo, no, va a cercarla, la cerca finché non l’abbia trovata, e allora la carica sulle spalle. Come sei divinamente buono, o buon pastore! E allora, è giusto che questa povera pecorella, così felicemente salvata dopo essere stata così perduta, si rallegri, ma no, non si dice che è lei che si rallegra, è questo buono, questo divinamente buon pastore, che si rallegra d’aver trovato questa povera pecora così colpevole e insudiciata… È la mia storia, mio Dio, è così che mi hai cercato, trovato, riportato, colpevole e insudiciato, all’ovile e messo proprio accanto a te, non nell’ovile ordinario, ma proprio nella tua stanza, “in abscondito facies tuae[46]… come sei buono, mio Dio![47]

Lc15, 11-32   “Accorrendo, gli gettò le braccia al collo e lo baciò… Portare la sua tunica di prima e calzari e ammazzare il vitello grasso” – Mio Dio, come sei buono! È quello che hai fatto per me! Sì, da giovane, sono andato lontano da te, dalla tua casa…, in un paese lontano, il paese delle cose profane, delle creature, dell’incredulità, dell’indifferenza, delle passioni terrestri… Oh! com’è dolorosamente lontano da Te quel paese lì! Vi sono rimasto molto tempo, tredici anni, dissipando la mia giovinezza nel peccato e nella follia. La tua prima grazia (non la prima della mia vita, perché sono innumerevoli a tutte le ore della mia esistenza, ma quella in cui vedo come la prima alba della mia conversione), è di avermi fatto provare la fame, fame materiale e spirituale; hai avuto la bontà infinita di mettermi in difficoltà materiali che mi hanno fatto soffrire e mi hanno fatto trovare delle spine in quella vita folle[48]; mi hai fatto provare la fame spirituale, facendomi provare desideri intimi di una condizione morale migliore, gusti di virtù, bisogni di bene morale;… e poi, quando sono ritornato verso di Te, ben timidamente, a tentoni, facendoti questa strana preghiera: “Se esisti, fa’ che ti conosca”, o Dio di bontà che non avevi smesso di agire dalla mia nascita in me e attorno a me per far arrivare questo momento, con quale tenerezza “accorrendo subito, mi gettasti le braccia al collo, mi abbracciasti”, con quale premura mi rendesti la tunica dell’innocenza… e a che divino banchetto, ben diverso da quello del padre del figlio prodigo! Ma come sei mille volte più tenero di lui! Come hai fatto mille volte di più per me che lui per suo figlio! Come sei buono, mio Signore e mio Dio! Grazie, grazie, grazie, grazie senza fine! …  Quali sono i miei doveri verso questo Padre amatissimo? Anzitutto di amarLo, poi di amarLo, e infine ancora di amarLo, perché amare contiene tutto[49]

Lc 23, 46   “Spirò…” – Pensa in me, Signore, e che non pensi io… Parla e non sia io che parlo, ma Dio! Qualsiasi parola spira! Come parlare? Non posso che adorare, prostrarmi davanti alla tua croce, davanti al tuo corpo che diventa freddo, tacere muto ai tuoi piedi, annientato, la fronte a terra, battendomi il petto come gli Ebrei, e piangendo con Maddalena, cercando di unirmi a tua Madre nella conformità alla volontà di Dio e al sacrificio che, nel suo dolore e nel suo amore, offre a tuo Padre e a te stesso, o Gesù, o vero Dio! Mio Dio, tu mi hai amato fino a questo punto, fino alla morte! … Ringraziati in me, quanto a me non posso ringraziarti; tutto quello che posso è donarmi a te pienamente e senza misura, supplicandoti di ringraziarti in me… [Seguono accenti simili alla “preghiera d’abbandono”] … Sono tuo, continua in me la tua vita… “Non sia più io che vivo, ma tu che vivi in me, o Gesù”[50]

Gv 21, 18-25  “Seguimi… Tu, seguimi” – Come sei buono, mio Dio, com’è tenera, dolce, salutare, amorosa quest’ultima parola dell’ultimo Vangelo! “Seguimi”, ossia: “Imitami”! …

Imitiamo, imitiamo Gesù! … L’imitazione è figlia, sorella, madre dell’amore: imitiamo Gesù per amarlo di più! Imitiamo Gesù perché ce lo comanda e perché obbedire è amare… La prima parola di Gesù ai suoi apostoli è: “Venite e vedete”[51], cioè “Seguite e guardate”, cioè “Imitate e contemplate” … L’ultima parola è; Seguimi”, cioè. “Imitami”[52]

[Dal 31 ottobre 1897 al 31 ottobre 1898, per seguire più da vicino la liturgia della Chiesa, Charles redige la sera (qualche volta al mattino) delle riflessioni sulla memoria o la festa del giorno, seguendo il calendario liturgico della diocesi di Roma di quel tempo.]

18 novembre – Dedicazione delle basiliche di San Pietro e Paolo…

…La prima messa che ho sentito a Roma, è a San Pietro che l’ho sentita, è là che ho ricevuto la prima volta, a Roma, la santa comunione; vi sono ritornato più d’una volta e con quale felicità! Con quale felicità, grande e amatissimo san Pietro tu che ho preso da tanto tempo per uno dei miei protettori particolari, mi sono inginocchiato alla tua tomba! Ti ho chiesto assai sovente, da anni, tu lo sai, di insegnarmi ad amare Nostro Signore, e a gettarmi nell’acqua come te per andare da Lui appena mi chiama; appena me lo permette… Tu mi hai ben protetto, ben benedetto, ben aiutato. Grazie, grazie, grazie! Continua, o padre mio san Pietro, a custodirmi sotto la tua ala, a farmi amare Nostro Signore, e a farmi gettare nell’acqua per andare da Lui e seguirlo, appena sento la sua voce e che me lo permette. Più che mai e con più amore che mai mi metto sotto la tua guardia, padre mio San Pietro.

E te San Paolo, più che mai mi metto anche sotto la tua protezione, tu che amo da tanto tempo e che, da questo ritiro52 che ho fatto, qualche giorno fa, mi sei stato dato da Dio come secondo padre, modello, guida nell’amore del prossimo, tu di cui, per una grazia speciale, ho potuto così spesso visitare la basilica, venerare le reliquie, baciare il luogo del martirio, prega per me, proteggimi, tienimi per mano! Conducimi per mano nella via come un padre conduce il suo figlioletto piccolo, insegnami ad amare appassionatamente il prossimo in vista di Dio, ad essere tenero verso tutti gli uomini, a compiere i miei doveri verso di loro, e infine, se è volontà di Dio, a dare, benché indegno, con la sua grazia e con la tua guida, il mio sangue per Lui, l’Amatissimo del mio cuore.  Amen, amen, amen[53].

[La seguente meditazione sulla Visitazione è una sintesi lucida e approfondita della sua vocazione e di quella dei fratelli e sorelle futuri.]

2 luglio – Visitazione della Santa Vergine a Santa Elisabetta

…Oh! madre mia, è una delle tue feste e insieme una delle feste di Gesù oggi: come la purificazione che è soprattutto la presentazione di Gesù, la Visitazione è una delle tue dolcissime feste, ma è più ancora la festa di Nostro Signore, perché è Lui che agisce in te e per te. La Visitazione è “la carità di Cristo che ti spinge”[54], è Gesù che, appena è entrato in te, ha sete di fare santi e beati altri… Con l’Annunciazione, Egli si è manifestato e donato a te, ti ha santificata meravigliosamente; ciò non basta: nel suo amore per gli uomini, si vuole subito manifestare e donare attraverso di te ad altri; e Egli si fa portare attraverso di te da San Giovanni! … Questa festa è particolarmente la mia festa, o madre mia, o Gesù, e la festa delle Clarisse di Terrasanta, di tutte le comunità contemplative e silenziose stabilite in paese di missione… Ciò che va a fare la Santa Vergine nella Visitazione, non è una visita alla sua cugina per consolarsi e edificarsi reciprocamente con il racconto delle meraviglie di Dio in loro; tanto meno è una visita di carità materiale per aiutare sua cugina negli ultimi mesi di gravidanza e nel parto; …è molto più di questo: parte per santificare San Giovanni, non con le parole, ma portando in silenzio Gesù presso di lui, dentro la sua dimora… Così fanno i religiosi e religiose votati alla contemplazione in paese di missione: ci vanno per evangelizzare e santificare i popoli infedeli, senza parole, portando Gesù in mezzo a loro in silenzio; portandolo tramite loro nella santa Eucarestia, portandolo nella sua vita, la vita evangelica di cui danno l’esempio e di cui sono le immagini viventi…

O madre mia, fa’ che siamo fedeli alla nostra missione, alla nostra missione così bella… Fa’ che siamo fedeli a questa missione divina! A Madre carissima, è la tua missione propria, la prima che ti ha affidato Gesù, che ti sei degnata di condividere con noi, chiamandoci a questa vita! Grazie, grazie, grazie! Faccela adempiere bene. Soccorrici senza sosta, donaci il tuo soccorso onnipotente e la grazia di chiedertelo continuamente, o Madre del Perpetuo Soccorso, affinché facciamo in mezzo a questi poveri infedeli quello che fai nella casa di Zaccaria, che glorifichiamo Dio e santifichiamo le anime in Gesù, con Lui e per Lui!  Amen![55]

[La meditazione su Sant’Agostino, del 1898, mostra l’inquietudine, il momento critico che Charles sta passando rispetto alla scelta di restare “nascosto” a Nazareth. Mostra anche il posto che ha già per lui il santo Africano.]

 28 agosto – 13a domenica dopo Pentecoste… – Sant’Agostino, vescovo d’Ippona e dottore, fondatore degli Eremiti agostiniani e dei canonici regolari, iniziatore della vita monastica in Africa († 430).

Mio Dio, ti adoro al fondo dell’anima mia… Santa Vergine, San Giuseppe, Santa Maddalena, san Giovanni, mio buon angelo, sant’Agostino, aiutatemi ad adorare Nostro Signore nella mia anima dove si degna di risiedere, dove come Dio è sempre essenzialmente presente… Sei tu, Sant’Agostino, che con Santa Teresa e San Giovanni della Croce, appoggiati tutti e due sulle tue parole, mi hai impegnato così forte a cercare Dio in me, per adorarlo, piuttosto che in ogni altro luogo, a cercarLo in me attualmente presente, piuttosto che a cercarLo in tutt’altro tempo: finora lo cercavo nei luoghi santificati nella sua vita mortale e nel tempo benedetto in cui visse tra gli uomini;  sapevo che in ogni momento della sua vita mortale, come Dio, vedeva tutti i momenti della mia esistenza: ad ogni istante della sua vita Nostro Signore Gesù mi vedeva, mi amava, sentiva tutte le preghiere che Gli rivolgevo, compiacendosi del mio amore, a tutte le mie preghiere, a tutti gli slanci del mio cuore verso di Lui: a tutti gli istanti della sua vita il nostro amatissimo Gesù mi vedeva mentre cerco di tenerGli compagnia, mentre cerco di amarLo, di adorarLo, di glorificarLo; tu mi hai spinto, Sant’Agostino, a non accontentarmi più di questo solo metodo, e a cercare spesso Dio anche semplicemente in fondo all’anima dove Egli è sempre. Effettivamente, è certo che tu sei in me, o Dio mio, che la tua volontà è di regnarvi, di dirigervi i miei atti, di governare tutto in me, di vivere in me in tal modo che “non sia più io che vivo, ma Gesù che vive in me”[56]… È semplice, è vero, è certo: il regno di Dio è dentro di me… Sant’Agostino, insegnami dunque ad amare, a adorare, a “far regnare” in me questo Dio benedetto che vi ha fatto la sua dimora, insegnami a lasciarLo agire, vivere in me, in modo che Gesù nella mia anima e nel mio corpo che sono suoi, continui, ricominci la sua vita. Insegnami, Sant’Agostino, a amare, rispettare, onorare, adorare, lasciare agire Dio in me durante tutti gli istanti della mia vita mortale, e poi con te durante l’eternità. Per la più grande gloria di questo Dio benedetto.  Amen.

Da uno o due giorni sono nell’indecisione, anzi nell’inquietudine, per sapere come organizzare le ore di certe preghiere e ti ho chiesto d’ispirarmi, o grande santo, di essermi direttore in tutto questo, poiché il mio direttore mortale è così lontano e non lo posso consultare come vorrei. Mi sembra che non hai cessato di rispondermi: Ama et fac quod vis. Cioè, purché io ami, tutto quello è indifferente e che non bisogna attribuirgli importanza. Devo mettere la mia cura, il mio studio, il mio lavoro ad amare il più possibile nell’interiorità della mia anima il Dio che vi abita e non a regolare in tale o talaltro modo queste cose esteriori e a cambiarle perpetuamente: se sono organizzate in maniera da favorire in me l’amore di Dio, basta, non cambiamoci niente, non occupiamocene… Mi sembra che così tu mi abbia lasciato comprendere che ciò che mi gettava in una specie d’inquietudine e di distrazione, era cattivo, e che questi pensieri non erano probabilmente che un inganno del diavolo per disturbarmi e impedirmi di occuparmi tranquillamente d’amare, d’amare Dio nel santuario della mia anima… [Riflette poi sulla regola di Benedetto, praticata minuziosamente  nei monasteri numerosi ma non nel deserto, sull’esempio di Agostino e Benedetto sempre attirati dalla solitudine, cercando da loro conferma per la sua “vita nascosta”. Si rivolge quindi a Gesù…] …Quello che ti è bastato trent’anni, che è bastato sempre ai tuoi santi genitori non mi basterebbe? Cosa sono dunque? Il più orgoglioso degli uomini? Forse… così sembra. Non ho che da buttarmi a corpo morto in questa vita benedetta con una gratitudine infinita, una riconoscenza intenerita dal fatto che ti sei degnato di donarmela, a me così miserabile e che me ne mostro così indegno apprezzandola troppo poco, e a fare tutti i miei sforzi per condurla nella maniera più perfetta e esservi quello che devo essere, ossia una fedele immagine di te nella tua vita nascosta, o Gesù! E se per assurdo, cosa poco probabile, e che non devo mai desiderare, e a cui non devo mai pensare, mai fermare la mia idea, vuoi fare un giorno un’altra cosa di me, sarai ben tirarmi fuori da questo posto dove la tua mano mi ha messo, come tu hai tirato fuori Paolo di Tarso con la mano di Barnaba[57]; ma non devo mai pensare a questo, ma vivere nella vita nascosta, come dovendola condurre sempre, all’esempio di Maria e di Giuseppe, miei genitori e miei patroni. Così fai tu, o grande e caro santo Agostino, non è che con la forza e nonostante le tue lacrime che ti hanno potuto strappare dalla vita nascosta di Gesù, eppure tu l’hai ricevuta con meno grazie, accompagnata da circostanze meno particolarmente preziose di quanto l’abbia fatto per me l’incomprensibile bontà di Dio! … Sant’Agostino, soccorrimi, sii mio direttore ogni volta che l’assenza m’impedisce di consultare il mio caro padre spirituale. Sii come lui l’interprete, il messaggero di Dio nei miei confronti… Aiutami, come lui, a fare in tutto la sua volontà, a servirLo e ad amarLo quanto mi sia possibile, in Lui, con Lui, per Lui.  Amen.

Prega, a mia domanda, per tutti gli uomini affinché tutti glorifichino, amino il loro Padre celeste; prega in particolare per la Chiesa d’Ippona e per tutta la Chiesa d’Africa! Aiutami, sostienimi nella mia vocazione; soccorrimi affinché sia riconoscente e fedele. Prega per il mio direttore, per questa parrocchia di Sant’Agostino, alla quale egli appartiene, alla quale ho appartenuto e dove ho trovato la conversione e ricevuto così spesso Nostro Signore e ottenuto tanti benefici. Rendimi umile, in stato di pentimento, di penitenza, fammi amare la Chiesa, sposa di Cristo, stabiliscimi nella solitudine e nella vita nascosta, nella vita interiore; dirigimi secondo il Cuore di Gesù, con Lui e per Lui, fammi adorare e amare Dio continuamente nel fondo della mia anima e glorificarlo più che posso, in tutti i miei istanti.  Amen[58].

[Il 31 ottobre 1898 Charles termina le meditazioni giornaliere sulle feste dell’anno e le conclude così, rivolgendosi al Signore Gesù:]

…Tutto in vista di te, tutto in vista di te, tutto in vista di te solo! … Io mi dono, mi consegno, mi abbandono a te come la sposa allo Sposo… Fa’ di me quello che ti glorifica di più… Glorificati il più possibile in me; rimetto la mia anima nelle tue mani…, glorificati il più possibile in tutti gli uomini, in vista di Te solo, in vista di Te solo!  Amen, amen[59].

[1] Espressione usata più volte in questo periodo.

[2] “Pensa che devi morire martire, spogliato di tutto, steso a terra, nudo, irriconoscibile, coperto di sangue e di ferite, violentemente e dolorosamente uccisi… e desidera che questo sia oggi” (VN, p. 35).

[3] Beato l’uomo.

[4] Come nelle Beatitudini! Cf. Mt 5, 12; Mt 11, 30. Cf. CPRD, p. 108-109

[5] Gv 15, 13

[6] Sl 118 (117), 24.

[7] CPRD, p. 175-77.

[8] Per l’espressione “Elegi abjectus esse”, v. nota alla lett. del 20 settembre 1889 a Marie de Bondy.

[9] CPRD, p. 239-40.

[10] È uno dei versetti più citati negli scritti di fr. Charles, che fece suoi in particolare al momento dell’ordinazione.

[11] DS, p. 72-73.

[12] Si riferisce al direttore spirituale, don Henri Huvelin.

[13] DS, p. 92.

[14] Mt. 26, 56. DS, p. 99-100.

[15] Ricorderà fino agli ultimi anni di vita la trasformazione operata nella sua esistenza da questa parola. Cf. lettera del 1° agosto 1916 a Louis Massignon.

[16] DS, p. 101-103.

[17] Mt 5, 39

[18] Is 53, 7.

[19] Sta scrivendo, evidentemente, nel tempo di Natale.

[20] DS, p. 183-85.

[21] DS, p. 341.

[22] Forse allude alla badessa delle Clarisse di Gerusalemme, che lo spingeva già a farsi prete e ad intraprendere le fondazioni desiderate, cercando dei discepoli.

[23] Gv 2, 4.

[24] Fil 4, 13. DS, p. 355.

[25] Mt 5, 39.

[26] DS, p. 417.

[27] Scrive letteralmente: un Jésus.

[28] Scrive letteralmente: en Jésus.

[29] Cf. BDD, p. 33-34, meditazioni scritte tra il 1898 e il 1899.

[30] Eppure, sappiamo quanto l’avesse sconvolto e quanta influenza avesse avuto nella sua vita “il passare sui passi di Gesù” nel primo pellegrinaggio fatto in Terrasanta dal novembre 1888 al febbraio 1889. Cf. lettera al p. Jérôme del 21.12.1896 (CCDP, 147-48) e lettera alla cugina Marie de Bondy del 5.07.1901 (LMB, 73-74).

[31] BDD, p. 39-40.

[32] BDD, p. 122-23.

[33] Mt 10,24.

[34] Questo è il significato proprio di “petits frères”: fratelli minori o fratellini. Qui ne parla in senso spirituale, senza alludere direttamente alla congregazione che aveva in progetto. La traduzione letterale “piccoli fratelli” non esprime l’espressione francese in tutti i suoi significati.

[35] Gv 14, 6.

[36] BDD p. 126-27.

[37] BDD, p. 187-88.

[38] Is 53,7; cit. da Atti 8,26.

[39] Mt 5,38.

[40] Mt 5,40.

[41] Prosegue raccontando in dettaglio gli “esempi” di Gesù.

[42] BDD, p. 318-19.

[43] 2Tess 3,10.

[44] IBA, p. 53.

[45] IBA, p. 68.

[46] Nel segreto del tuo volto.

[47] IBA, p. 75.

[48] In seguito alla vita sregolata, agli enormi sperperi, tra i quali un prestito di centomila franchi all’amico Antoine de Vallombrosa de Morès, la famiglia gli aveva imposto, dopo le dimissioni dall’esercito nel 1882, la tutela giudiziaria.

[49] IBA, p. 78-79.

[50] IBA, p. 139-40.

[51] Gv 1,39.

[52] IBA, p. 288. Il “ritiro di Nazareth”, dal 5 al 15 novembre 1897, di cui saranno ripresi più avanti alcuni brani di appunti.

[53] CFA, p. 37-38.

[54] Cf. 2 Cor 5, 14.

[55] CFA, p. 471-72.

[56] Cf. Gal 2, 20. In realtà, qualche giorno prima, il 21 agosto, Charles confessava che una delle cose che gli avevano impedito a lungo di cercare Dio in sé stesso, era la visione delle sue imperfezioni: “… ero spaventato di sentirti così interiore a me, così vicino alle mie miserie, così vicino alle mie imperfezioni innumerevoli… Quando penso che un tempo ha chiesto al mio direttore di fare il voto del più perfetto, e lui me l’ha proibito! Dove avevo lo spirito? Da mattino a sera faccio imperfezioni su imperfezioni…” (CFA, p. 526). Ed ecco l’influenza liberante di Agostino, di cui del resto assume in questo periodo la regola, al posto di quella di san Benedetto.

[57] Cf. Atti 11, 25-26.

[58] CFA, p. 532-536.

[59] CFA, p. 602.

Alla Trappa 1890-97

Charles de Foucauld – Dalle “Lettere e meditazioni.” 

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

1. Alla Trappa: “il sacrificio cercato lontano”[1] (1890-1897)

           Dal momento della sua conversione, avvenuta un giorno della fine di ottobre 1886, Charles de Foucauld ha desiderato vivere per Dio solo e per più di tre anni ha cercato in quale forma. Durante l’anno 1889 partecipa a quattro diversi ritiri: dai Benedettini di Solesmes, alla Grande Trappa di Soligny, alla Trappa di Notre Dame des Neiges e dai Gesuiti di Villa Manrèse di Clamart, con i quali opera un discernimento con metodo ignaziano. Scrivendo al priore di Solesmes, don Huvelin, il prete che ha accolto la sua conversione e che da quel momento lo dirige, lo presenta come “coraggioso esploratore del Marocco”, “fervente pellegrino in Terrasanta», perfetto gentiluomo, ottimo cristiano “che fa della religione un amore” [2](JFS, 78).

 

Alla cugina Marie de Bondy[3] – Parigi, 20 settembre 1889

Martedì, mercoledì, oggi, don Huvelin mi ha detto tante cose; abbiamo cercato ancora una volta perché volevo entrare nella vita religiosa: – per tenere compagnia a Nostro Signore, per quanto possibile, nelle sue pene; è essere seppellito in Nostro Signore con San Paolo[4]; – è dire elegi abjectus esse[5] perché Nostro Signore lo è stato [“abietto”]; – è seguire gli esempi dei solitari che si sono scavati delle grotte nella montagna dove Nostro Signore ha digiunato, per digiunare tutta la vita ai suoi piedi …

Cercando più austerità e semplicità dei Benedettini, Charles passa alcuni giorni alla Grande Trappa di Soligny, infine alla Trappa di Notre-Dame des Neiges. Prima di una decisione definitiva, segue un “ritiro d’elezione” dai Gesuiti di Villa Manrèse a Clamart. La scelta cade su Notre-Dame des Neiges, nell’Ardèche, con la prospettiva di partire per una filiale ancora più povera, tuttora in fondazione, la Trappa di Cheikhlé nei pressi di Akbès, tra le montagne della Siria ottomana, in zona prevalentemente curda, Trappa dove la “casa madre” avrebbe trovato rifugio se fosse stata colpita dai decreti di espulsione, già attuate per altri monasteri dal governo repubblicano anticlericale. Quello che attirava Charles in Siria era senz’altro la maggiore povertà, ma anche la volontà di allontanarsi dagli affetti e soprattutto la dispensa, essendo all’estero, dall’obbligo di un mese all’anno di esercitazioni militari in quanto ufficiale della riserva.

Il 15 gennaio 1890 compie quello che celebrerà negli anni avvenire come il giorno del “più grande sacrificio”: lasciare le persone amate. Il 26 gennaio (festa di S. Alberico), dieci giorni dopo il suo ingresso alla Trappa, diventa fratel Marie-Albéric. Lo stesso giorno riceve l’abito dei novizi e nel giugno successivo parte per la Siria.

Ancora a Notre-Dame des Neiges, fratel Marie-Albéric confessava la sua aridità e la difficoltà a praticare “l’obbedienza di spirito”[6], pochi mesi dopo, nella prima lettera a don Huvelin[7], esprime le prime inquietudini.

 A don Huvelin – 30 ottobre-5 novembre 1890

…Ho tanto pensato a lei il giorno della festa di Santa Teresa; un anno fa, nello stesso giorno, la sentii predicare nella cappellina delle carmelitane di St. Denis… Io sono miserabile, ma altri pregano per lei, anche laggiù…

La sua lettera mi è giunta dopo un mese; in qualche luogo imprecisato della provincia c’è il colera e le quarantene ritardano il servizio postale; voglia il cielo che, da quando mi ha scritto, la malattia le abbia concesso un po’ di respiro e che il suo povero corpo goda finalmente qualche riposo! …

5 novembre – Le chiedo scusa per questa lunga interruzione… qui non si usa scrivere, per quanto possibile, di domenica e nei giorni di festa… Ieri, festa di San Carlo, ho pensato a lei, sapendo che lei pure mi ha ricordato… Il Giorno dei Morti mi sono unito a lei e ho pregato per i suoi cari defunti… e il giorno di Ognissanti, contemplando lassù coloro che vennero alla tribolazione di questo mondo, ma che ora non piangono più perché Dio ha asciugato le loro lacrime, ho pensato a lei e a quelli che amo… Il primo novembre ci è stato annunciato nel capitolo che siamo in pieno colera; non solo serpeggia intorno a noi, ma la notte di Ognissanti abbiamo avuto un caso grave nello stesso monastero… Quando riceverà la mia lettera forse sarà tutto finito… del resto da alcuni mesi è convenuto che se mi capitasse qualcosa le verrebbe telegrafato.

…Lei spera che io sia abbastanza povero: no, siamo poveri per dei ricchi, ma non come Nostro Signore, non com’ero io in Marocco o come San Francesco… Lo deploro senza turbarmi e anche su questo punto rimango in silenzio e nell’obbedienza; a poco a poco, senza farmi notare, soprattutto quando sarò professo – se Dio mi fa vivere fino a quel momento – potrò ottenere dei permessi che mi faranno, a me stesso almeno, meglio praticare la povertà: per ora osservo il silenzio…. – Suo figlio in Nostro Signore fr. Marie- Albéric.

Al compagno di Liceo Gabriel Tourdes – Akbès (Siria), 11 maggio 1891

Mio carissimo Gabriel, nella Trappa non si scrive, lo sai, ma per amici come te si fa eccezione… dovrei dire per un amico come te… perché se ne hanno molti? Beati quando se ne ha uno! Con quale altro ho in comune e i miei ricordi d’infanzia a Strasburgo, e i miei ricordi di gioventù a Nancy? Con quale altro ho tanto passeggiato, ho tanto letto? E, anche tu, non hai un secondo amico come me; le nostre esistenze sono state dolcemente unite nella nostra giovinezza, e questi legami sono così solidi che non se ne sono formati di più forti… Ho domandato dunque al mio Superiore il permesso di scriverti, spiegando che sei non un amico ma l’amico, qualcosa di completamente speciale per me… siccome la vita di convento non restringe il cuore ma lo allarga, è stata accettata senza esitare la mia richiesta… Tutto quello che è questione d’affetto è meravigliosamente compreso dai monaci… Poveri monaci separati da tutto ciò che amano, non per disgusto, né per disperazione, né per amarezza, ma per il solo amore di Dio al quale vogliono darsi, anima e corpo, come pensano spesso a quelli che hanno lasciato! Come mano e come pregano per loro! E quale è tutto i loro cuore, quella parte di loro stessi di giorno in giorno più cara che hanno lasciato nel mondo! … Il chiostro non è il luogo della dimenticanza, è il luogo dell’amore… “Dio è amore” … “Chiunque ama è figlio di Dio e conosce Dio” … “Se non si amano gli uomini che si vedono, come si potrebbe amare Dio che non si vede?”[8]… ecco le parole dell’apostolo del quale ci nutriamo… vedi che il nostro alimento è buono… così non ho voglia di lamentarmi del regime della Trappa. Ti scrivo per chiederti tue notizie e per darti le mie: come va la salute? Sei sempre a Saint-Dié?

…Parlami molto di te, mio buon Gabriel, nulla mi sarà più dolce: sei triste, sei soddisfatto, trovi la vita pesante o leggera? Ecco il riassunto di tutto e la cosa più importante nel cuore di un amico che vuole rallegrarsi se ti trovi bene e affliggersi se sei triste… Penso spesso a quella casa di faubourg Stanislas dove venivo a prenderti ogni sera verso la fine della vostra cena nella quale ero così spesso presente, e dove mi sentivo come in famiglia. E ora ti darò mie notizie: mio buon Gabriel, abbiamo, ahimè!, disimparato insieme a pregare il buon Dio[9], cerca però nel fondo della tua memoria o piuttosto nel fondo del tuo cuore una preghiera e dilla a Lui per ringraziarlo, questo buon Dio, di tutte le grazie che Egli mi ha fatto… Dirti la pace, la calma, nelle quali vivo da quando sono in convento è una cosa impossibile… …penso spesso alla parola di Nostro Signore Gesù Cristo alla vigilia della Sua morte: “Vi lascio la pace, vi do la pace, non come la dà il mondo”, la sento qui questa pace, pace che niente può esprimere, pace sconosciuta nel mondo, che non ero venuto a cercare e di cui non avevo l’idea, ma che Dio mi dà nella Sua bontà infinita… La più grande felicità che possa avere un uomo è di ricevere da Dio la vocazione religiosa, ecco la cosa di cui non dubitavo e che constato con una riconoscenza che non potrebbe essere abbastanza grande, né abbastanza commossa… Te lo ripeto, cerca una preghierina per ringraziare il Padre Nostro dei benefici dei quali Egli ricolma il tuo amico… Se vuoi avvicinarti completamente a me e vivere un istante della mia vita, entra un minuto in una chiesa (io vi passo 8 ore al giorno con delizie) e pensa a me guardando l’altare… anch’io ti penso spesso guardando l’altare. Se vuoi avere un’idea della mia vita, leggi Les moines d’Occident di Montalembert[10], i lavori dei monaci nei Paesi barbari nel Medioevo ti daranno un’idea della nostra vita in Siria[11]

Alla cugina Marie de Bondy – Akbès, 16 luglio 1891

Sono stati ieri diciotto mesi che le ho detto addio; mi sembra che sia passato così poco tempo e insieme tantissimo tempo; a forza di susseguirsi l’uno all’altro, i mesi porteranno con sé l’ultimo, un giorno… Sia fatta la volontà del Signore; mi piacerebbe andare presto da Lui, ma niente me lo fa sperare… Sia fatta interamente la sua volontà benedetta, debba io restare qui ancora poco o molto, ma tragga Egli dalle nostre vite, lunghe o brevi, la più grande consolazione possibile per il suo cuore: è tutto quello di cui abbiamo bisogno entrambi; ci abbandoniamo e non vogliamo vivere che per LUI…

…Insieme alla presente spedisco le mie dimissioni da ufficiale della riserva, e chiedo di passare senza nessun grado nell’esercito territoriale. È un passo che mi fa piacere: il 15 gennaio ho lasciato tutto ciò che per me era un bene, ma rimaneva ancora un miserabile fardello, il grado, il piccolo patrimonio, e ora mi fa piacere gettarlo dalla finestra (come il reverendo Padre voleva fare con i suoi mobili); fra circa due mesi riceverò, per firmarli, i documenti per la donazione del mio piccolo avere, e allora sarà finita con i possedimenti materiali[12]

Al marchese Antoine de Morès[13] – Akbès, 23 dicembre 1891

Mio caro Antoine, da quasi due anni, sono Novizio alla Trappa, si avvicina il giorno in cui pronuncerò i voti. Tengo ad annunciarlo a te, mio vecchi amico, te a cui il mio cuore è rimasto così caldamente affezionato. È una grazia infinita che Dio mi fa. Ringrazialo per me. È la miglior parte che mi dona.

Tu mi conosci, tu sai il mio affetto per te. Né il tempo, né l’assenza l’hanno cambiato. Potrai sempre contare sul mio cuore che non ha cessato mai di esserti attaccato e che lo è ancora di più ora che è in NOSTRO SIGNORE.

Questo addio, che ti mando al momento di lasciare gli ultimi legami che mi attaccano al mondo, ti dica, ti ripeta tutto l’affetto, tutto l’attaccamento, la profonda devozione del tuo amico in N. S.J.C. – Charles de Foucauld[14].

All’amico esploratore Henri Duveyrier[15]– Akbès (Siria), 21 febbraio 1892  [L’amico Duveyrier, non credente, è turbato dalla conversione e soprattutto dalla scelta religiosa del giovane. Charles gli risponde con una lunga, importante confessione.]

Caro e ottimo amico, mi permetta[16], dato che mi scrive nel modo in cui lo farebbe un fratello, di sopprimere il “signore” fra noi, affinché l’intimità del cuore trabocchi fino a rendersi visibile… Come la ringrazio, come sono commosso per la sua bellissima lettera del 28 dicembre! Lei non approva, teme i voti religiosi e a questo proposito mi dice tutto ciò che suggerisce il più tenero degli affetti: l’affetto è per me dolcissimo e mi riempie di emozione e di riconoscenza, la disapprovazione non può stupirmi; sei anni fa ero lontano dalla religione cattolica altrettanto quanto può esserlo lei, non avevo nessun tipo di fede, non avrei potuto allora, se avessi avuto un amico che si voleva fare trappista, provargli meglio il mio attaccamento che scrivendogli quello che mi scrive lei… Lontano da me dunque di rimanere urtato per qualunque sua obiezione! Non ci vedo altro che il suo affetto e il mio solo sentimento è la riconoscenza e l’emozione nel vedere quant’è buono! …

Non posso dirle però che la sua lettera abbia modificato le mie risoluzioni: la vita alla quale sono attualmente legato, mi attira da quattro anni e mezzo, da tre anni sono deciso ad abbracciarla, da due la conduco: c’è stata mai, vede, una decisione ripensata più a lungo e messa alla prova più seriamente?

Perché ho fatto questa scelta così sofferta, così crudele per me e per coloro che mi vogliono bene? Lontano da me d’averla fatta per cercare egoisticamente di vivere in pace! Di questa pace le parlo perché, senza cercarla, l’ho trovata, ma era ben lontana da essere il mio scopo.

La causa che mi ha fatto lasciare tutto ciò che amo al mondo, cioè un ristrettissimo numero di parenti prossimi e di amici intimi dei quali la vista, la compagnia erano per me dolcezza e bene infiniti e che sono sempre e via via più presenti e teneramente cari al mio cuore – lei era tra questi, lo sa – questa causa dunque non mi pare possibile per lei da comprendere, lontano com’è appunto dalla fede cattolica; io non l’avrei compresa sei anni fa , eppure intendo dirgliela, il suo fraterno affetto esige quest’apertura fraterna e, lo sente, di un’apertura molto intima.

Noi cattolici crediamo in un Dio unico, immateriale, la cui unità racchiude tre Persone, mistero incomprensibile, crediamo che una di queste tre Persone, senza cessare di essere eternamente unita alle altre due, si è unita, nel tempo, ad un corpo e ad un’anima umana formata da Dio senza la cooperazione di un uomo e questa [Persona] è vissuta sulla terra, lavorando, insegnando la verità e i misteri di Dio, dando la prova delle Sue parole con dei miracoli, dando le regole e l’esempio delle virtù. Questo Dio perfettamente unito ad un uomo è Gesù Cristo. Che io debba amore e obbedienza a Dio è evidente. La sua volontà nei riguardi dell’uomo è che questi lavori al proprio perfezionamento ed al perfezionamento degli altri: le virtù sono interiori e si può, come dice lei, praticarle anche su un trono, ne è testimone San Luigi…

Ma l’amore di Nostro Signore Gesù Cristo chiama quelli per i quali ciò è possibile, coloro ai quali la famiglia, la società non impongono pressanti doveri, a condurre una vita che somigli il più possibile a quella che Dio condusse sulla terra: non c’è amore senza imitazione[17], e questa imitazione, lo sa, diventa bisogno quando chi ama è povero, infelice, sofferente, disprezzato… Chi oserebbe dire di amare se acconsentisse a vivere nelle gioie del cuore e negli agi mentre l’essere amato soffre nell’anima e nel corpo?

Ora, la vita di Gesù in questo mondo fu quella di un povero artigiano, una vita disprezzata, povera, faticosa. I suoi ultimi tre anni trascorsero in un apostolato che gli valse soprattutto rifiuti, ingratitudini e persecuzioni. Alla fine, venne messo a morte e lasciò questa vita fra tormenti inauditi…

Anch’io ho voluto, con molti altri, sebbene indegno, amare Dio con tutto il cuore e imitarlo nei limiti della mia debolezza, piaccia a Dio che sia sempre meglio!

Gesù è stato obbediente sulla terra, io sono entrato in un ordine religioso per essere obbediente come Lui. Ho scelto un Ordine povero, disprezzato, dove si lavora, per condividere la povertà, l’abiezione, la fatica di Gesù. E infine, dato che la vita di Gesù è stata tutta sacrificio e tutta dolore, ho voluto sacrificare con Lui e per Lui tutto ciò che costituiva la felicità della mia, la presenza di coloro che amo.

Vede, è il sacrificio che sono andato a cercare così lontano. Non per impulso personale, ma per una vocazione comune a migliaia di persone…

Questa è la storia della mia vocazione. Secondo il suo desiderio, non mi sono opposto ai suoi sentimenti e le ho aperto l’anima… Glielo ripeto, mi pare difficile che comprenda, ancora più difficile che ammetta quello che le ho appena detto; sei anni fa avrei trattato queste cose come immaginarie, come sogni, e avrei guardato chi avesse scritto la pagina precedente, mi permetta la parola, come un po’ se non molto pazzo… Come ho potuto cambiare tanto?

Mi rimprovera molto amichevolmente di conoscere poco la mia vita passata: è semplice, eccola in poche parole. A cinque anni e mezzo, nel 1864, ho perduto mio padre e mia madre, sono stato da allora allevato dal nonno materno e dalla nonna, dato che mia madre era figlia unica. Ho una sorella allevata con me da questi ottimi nonni. Mio nonno, il Signor de Morlet, ex ufficiale del genio, si era congedato in Alsazia dove rimanemmo fino alla guerra. Dopo il 1870 venimmo ad abitare a Nancy. In questa città completai gli studi e fui ammesso a St Cyr.

Là provai anche l’immenso dolore di perdere mio nonno, del quale ammiravo la bella intelligenza, la cui tenerezza infinita circondò la mia infanzia e la mia giovinezza di un’atmosfera d’amore di cui sento sempre con emozione il calore. Fu per me un grandissimo dolore e dopo 14 anni (3 febbraio 1878) permane vivissimo. La mia cara nonna[18], qualche anno prima, era stata così malata che aveva dovuto essere ricoverata in una casa di cura dove si è spenta dolcemente.

Alla morte del nonno, mia sorella venne accolta da mia zia Signora Moitessier, sorella di mio padre, che abita a Parigi. Questo focolare domestico fu da allora il nostro e i gesti di bontà che ricevemmo sono infiniti. Vede, nel mio passato non trovo che bontà verso di me e riconoscenza da provare. Approfittai poco allora del positivo della vita familiare presso mia zia. Da St Cyr andai a Saumur, poi in un reggimento di Ussari, poi nei Cacciatori d’Africa. In un anno passai le guarnigioni di Bona, Sétif, Mascara e feci delle spedizioni nel Sud Oranese. Nel 1881-82 vissi setto-otto mesi sotto la tenda nel Sahara oranese e questo mi dette un gusto assai intenso dei viaggi, per i quali avevo sempre provato attrazione. Detti le dimissioni nel 1882 per soddisfare liberamente questo desiderio di avventure. Mi preparai per un anno e mezzo ad Algeri al viaggio in Marocco. Lo feci e passai ancora un anno e mezzo ad Algeri a stenderne il resoconto. All’inizio del 1886 venni a stabilirmi a Parigi per pubblicare la relazione del viaggio e con l’idea di prepararne un altro.

Ero stato educato cristianamente, ma all’età di 15 o 16 anni in me era scomparsa ogni fede. Avevano prodotto questo risultato le letture di cui ero avido. Non mi riconoscevo in nessuna dottrina filosofica, non trovandone nessuna solidamente fondata. Rimasi nel dubbio totale, lontano soprattutto dalla fede cattolica, di cui parecchi dogmi, a mio avviso, urtavano profondamente la ragione… Alla stessa età la mia vita divenne disordinata, lo rimase a lungo senza che questo impedisse un’inclinazione fortissima per lo studio[19].  Al reggimento fui molto sregolato, ero lontano dai miei, vidi pochissimo la mia famiglia dal 1878 al 1886 e il minimo che seppero della mia vita, soprattutto nella prima parte di questo periodo, non poté che dar loro dispiacere.

Ero a quel punto quando tornai a Parigi nel 1886, mia sorella non c’era più, si era sposata e abitava in Borgogna. Ma io trovai da mia zia la stessa accoglienza come se non avessi mai lasciato la casa e dato pensiero a chi mi voleva bene. In quest’ambiente domestico che divenne subito il mio sebbene abitassi in un’altra casa, trovai l’esempio di tutte le virtù congiunto alla vista di elevate intelligenze e di convinzioni religiose profonde.

Mi appassionai prima di tutto alla virtù e orientai le mie letture in questa direzione, studiando volentieri i moralisti dell’antichità, ero lontanissimo da ogni religione e mi attirava soltanto la virtù antica… Trovai meno ardenti e meno solidi di quanto sperassi questi antichi filosofi… Per caso lessi alcune pagine di un libro di Bossuet[20] in cui trovai molti più di quanto mi era accaduto presso i moralisti antichi… continuai la lettura del volume e, a poco a poco, arrivai a dirmi che la fede di uno spirito così grande, quella che vedevo ogni giorno così vicina a me in intelligenze così belle, nella mia stessa famiglia, non era forse così incompatibile col buonsenso quanto mi fosse sembrato fino ad allora.

Eravamo alla fine del 1886. Sentii allora un bisogno profondo di raccogliermi. Mi chiesi nel più profondo dell’animo se davvero la verità poteva essere conosciuta dagli uomini… Feci allora questa strana preghiera, domandai a Dio, nel quale ancora non credevo, di farsi conoscere da me, se mai esistesse… Mi sembrò che la cosa più saggia fosse, nel dubbio che era nato in me, di studiare questa fede cattolica. La conoscevo molto poco, mi indirizzai per conoscerla a un prete ben istruito che conoscevo un po’ per averlo visto da mia zia, questo prete è don Huvelin. Ebbe la bontà di rispondere alle mie domande, la pazienza di ricevermi tutte le volte che volli. Mi convinsi della verità della religione cattolica. Da allora don Huvelin è diventato per me come un padre ed ho vissuto cristianamente.

Pochi mesi dopo questo grande cambiamento pensai di entrare in convento, ma don Huvelin come la mia famiglia mi spingeva al matrimonio… Lasciai passare il tempo… Il tempo mi ha condotto qui e ringrazio Dio. Ci sono venuto come tanti altri, per il desiderio del sacrificio ed ho, insieme al sacrificio assai concreto, trovato una pace dell’anima (non solo di coscienza) che non cercavo affatto. Ora tutti i miei si sono adattati all’idea di sapermi qui perché credono che sia la vocazione di Dio ad avermi chiamato. Cerchi di rassegnarsi con loro, caro amico al quale scrivo una lettera così fraterna.

Quanto a me, ciò che mi ha aiutato in un sacrificio tanto crudele, è la convinzione alla quale sono arrivato che l’azione buona contenuta in questo sacrificio varrà un sovrappiù di grazie divine per tutti quelli che amo e che essi guadagneranno dalla mia assenza per questo motivo più bene di quanto ne avrebbero avuto in una presenza cara al loro affetto.

Eccomi senza segreti davanti a lei, veda in questa lettera in cui non ho, ahimè, avuto il tempo di parlare di lei, del mio dispiacere di saperla affaticata dai reumatismi, vi veda, sebbene la lettera non parli che di me, il miglior segno del mio attaccamento a lei, della mia riconoscenza per il suo affetto, della mia volontà di ricambiarla come un fratello.

Ringrazio vivamente la signorina Rose del suo ricordo, ne sono molto commosso, il povero monaco che sono, suo fratello in Dio, pregherà per lei; che lei preghi un po’ per me.

Sono suo con tutto il cuore, lo sa e lo vede, e non esito mentre la lascio, sicuro che me lo permette, ad abbracciarla fraternamente – fratel Marie-Albéric.

[Pochi mesi dopo Duveyrier si suicidava, sentendosi disonorato dall’accusa lanciata da qualche giornalista di essere responsabile morale del massacro, da parte dei Tuareg, della missione Flatters, incaricata di studiare il tracciato di un’antica pista su cui costruire una ferrovia transahariana, missione da lui istruita e appoggiata (massacro avvenuto agli inizi del 1881 tra l’Hoggar e la Tripolitania).]

Al compagno di Liceo Gabriel Tourdes – Akbès, mercoledì 10 agosto 1892

…È bello amarsi, mio buon Gabriel, è bello sapere attraverso una lunga esperienza che si può assolutamente contare su di un’anima… è così che tu conti su di me e io conto su di te… Ci siamo visti appena negli ultimi sedici anni e ci amiamo sempre come nei giorni della gioventù, come al tempo in cui ogni mattina, ogni sera ci ritrovavamo insieme quando condividevamo tutto, letture, passeggiate, studi, pensieri… mettevamo in comune anche le nostre famiglie, tanto ci trovavamo a nostro agio e bene in casa dell’altro… È infinitamente dolce vedere dopo questa lunga separazione la tenerezza, la fiducia, l’abbandono rimasti assolutamente gli stessi… è bello amare, Gabriel… …quanto sarei felice se mi facessi una visita!

… Possa il buon Dio condurti qui un giorno… io Lo prego per te, sta’ certo… quello che gli domando, tu lo sai, Gli domando per te tutto il bene di questo mondo e nell’altro e prima di tutto il primo bene che è quello di conoscerLo affinché possa dire presto con me l’espressione di Sant’Agostino: “Perché ti ho conosciuto così tardi e così tardi amato Bellezza sempre antica e sempre nuova?”[21]. E questa Bellezza è la mia vita, avverto troppo il valore di una tale felicità per non desiderarla con tutta l’anima per te, mio carissimo Gabriel, non posso amarti senza avere questo desiderio ardente come il mio amore… è il più grande dei beni, non mi consolerò mai di non condividerlo con te[22]

Al Signor Maunoir – Akbès, 30 gennaio 1893   [Fratel Marie-Albéric, che ha avuto la notizia della “triste fine del nostro povero amico” Duveyrier, risponde al Segretario Generale della Società Francese di Geografia.]

… Mi consola dicendomi quanto avesse poco coscienza delle sue azioni negli ultimi tempi della sua vita; spero che Dio, nella sua infinita bontà, gli abbia fatto misericordia: era, come dice lei, un carattere così retto, un’anima così elevata, un cuore così delicato! … Lontano da me di giudicare severamente colui che ho così teneramente amato! Non ne ho il diritto! “Non giudicate per non essere giudicati”, ha detto Nostro Signore Gesù Cristo, e tante volte ci raccomanda di occuparci della trave che è nel nostro occhio e non della pagliuzza che è nell’occhio degli altri! Amare e pregare, ecco quel che tocca a noi, e non di giudicare[23] 

[Più il tempo passa, più Charles prende le distanze dalla Trappa. Nel Capitolo Generale del 1892, svoltosi a Roma sotto gli occhi di papa Leone XIII, era iniziato un processo di riunificazione delle tre branche di Cistercensi e in seguito a ciò nel giugno 1893, i Trappisti di Akbès ricevevano i nuovi Usi e Costituzioni, che a fr. Marie-Albéric appare mitigare troppo la povertà. È ciò che esprime in diverse lettere a don Huvelin, finché gli espone un primo abbozzo dei suoi progetti di fondazione di una nuova congregazione.]

 A don Huvelin – Akbès, 22 ottobre 1893

È molto tempo che non le ho scritto, caro padre, e, poiché ho ottenuto il permesso, vengo a bussare alla sua porta per conversare con lei…

“E l’anima?”, mi chiedeva per prima cosa… Mi sembra che non sia cambiata molto: continua a vivere di ciò che lei vi ha deposto, ama le persone che amava e le ama più di prima… È sempre piena di miserie, priva di umiltà e di semplicità, forse troppo testarda nelle sue idee, certo molto indolente nelle sue azioni.

…In conformità alle disposizioni del Santo Padre sono state compiute delle felicissime modifiche nell’Ordine: ma tali modifiche e miglioramenti non impediranno al male di svilupparsi… Conferiranno all’Ordine maggior unità, impediranno in una certa misura agli abati di fare ciò che loro piace, innalzeranno il livello degli studi dei preti. Ma allontaneranno sempre più dall’umiltà e dalla povertà di quella modesta vita di Nazareth che sono venuto a cercare, alla quale sono infinitamente lontano dall’aver rinunciato e che vedo con grande dolore praticare solo da Nostro Signore; nessun’anima, nessun gruppo d’anime nella Chiesa pensa oggi a praticarla con Lui, e a condividere per Suo amore e nel Suo amore la felicità della Santa Vergine e di San Giuseppe. Non sarebbe possibile formare una piccola congregazione per condurre tale vita, per vivere unicamente del lavoro delle nostre mani, come faceva Nostro Signore che non viveva né di questue né di offerte e neppure del lavoro di operai estranei accontentandosi di dirigerli?[24]Non si potrebbe trovare delle anime per seguire in questo Nostro Signore, per seguirLo praticando tutti i Suoi consigli, rinunciando assolutamente ad ogni proprietà sia collettiva che individuale e vietandosi di conseguenza in modo totale ciò che Nostro Signore vieta, ogni contesa, ogni contrasto, ogni lamentela, facendosi un dovere assoluto dell’elemosina, offrendo un abito quando se ne hanno due, dando da mangiare, quando si può, a chi non ne ha, senza serbare nulla per il domani?… tutti gli esempi di vita nassc0osta e tutti i consigli usciti dalla Sua bocca… una vita di lavoro e di preghiera… non due specie di religiosi, come a Citeaux, ma una sola, come voleva San Benedetto… non però la sua liturgia complicata, ma orazione prolungata, rosario, santa messa; la nostra liturgia chiude la porta dei nostri conventi agli arabi, ai turchi, agli armeni, ecc.… che sono buoni cattolici ma non capiscono una parola delle nostre lingue[25]; come vedrei volentieri questi nidi di vita fervente e laboriosa, riproducente quella di Nostro Signore, sorgere sotto la Sua protezione e sotto lo sguardo di mari e di Giuseppe intorno a tutte quelle missioni d’Oriente così isolate per offrire un rifugio[26] agli abitanti di quelle regioni che Dio chiama al Suo esclusivo amore e servizio!

È questo un sogno, caro padre, un’illusione del demonio, oppure un’ispirazione, in invito del Buon Dio? Se sapessi che è un richiamo di Dio, oggi stesso e non domani farei i passi necessari per entrare in questo cammino… Quando penso a questo progetto lo trovo perfetto: seguire gli esempi ed i consigli di Nostro Signore non può non essere un proposito eccellente… Per di più è quello che ho sempre cercato: sono venuto alla trappa solo per trovarlo; non è una vocazione nuova; se tale gruppo di anime fosse esistito qualche anno fa, sarei corso là direttamente, lei lo sa…

Poiché non esiste e non esiste neppure qualcosa che gli assomigli o lo sostituisca, non bisogna tentare di formarlo? … E formarlo col desiderio di vederlo estendersi soprattutto nei paesi infedeli di specie musulmana e negli altri? …

…Un altro pensiero m’incoraggia ad intraprendere un’opera così inadeguata alla mia miseria di peccatore: Nostro Signore ha detto che chi ha molto peccato deve molto amare[27]

[Verso Natale 1893 Charles attraversa un momento particolarmente difficile, di ansia, di timore, d’oscurità, come ricorderà più volte in seguito. Per superarlo, ricorderà ancora, si affida a Maria, che ama sotto il nome di Madonna del Perpetuo Soccorso, chiedendole di portarlo fra le braccia come portava Gesù bambino[28].]

Alla cugina Marie de Bondy – Akbès, 3 gennaio 1894

…Tutto mi dice di dar seguito ai miei desideri; moti del cuore, ragionamento, fedeltà alle prime risoluzioni: tutto mi dice che si tratta della cosa più perfetta e più sicura… ma dato che Padre Policarpo mi ha anche detto di attendere e di affidare tutto alla Vergine Santa, lo faccio, perché si accorda col senso della mia impotenza e della mia debolezza… trovandomi in barca, tremo al pensiero di dovermi gettare in mare… mi trattiene la paura più che l’umiltà; ma ciò che mi trattiene in maniera assoluta è l’obbedienza[29]

Al cugino Louis de Foucauld – Akbès, 28 novembre 1894   [Come fa con gli amici intimi, Charles cerca di proporre al cugino Louis, non credente, il suo stesso cammino di conversione.]

…Ti stavo dicendo di pregare ancor prima di credere in Dio… così ho fatto quando ho cominciato a rendermi conto, a intravedere che la religione cattolica non era forse un’assurdità, ho fatto spesso questa preghiera: “Mio Dio, se esisti, fatti conoscere a me” Anche tu lo puoi fare: Non mi conosco altro merito nella mia vita, è dopo aver fatto un po’ di tempo questa preghiera, trovandomi in una disposizione molto sincera d’abbracciare con tutta l’anima la verità se la trovavo, d’aver usato il mezzo appropriato a scoprirla: volendo conoscere una scienza, una lingua, si prende un professore: volendo conoscere la religione ed essere illuminato sulle difficoltà che mi sembravano insolubili, ho cercato un professore, come per un’altra conoscenza: mi sono rivolto a don Huvelin, ex allievo della scuola normale, che sapevo molto dotto: abita a Rue de Laborde, 6… Soltanto, ti dirò per esperienza che per trovare Dio, la purezza di cuore, la castità aiutano molto… te lo dico per esperienza… quando la volontà incatena il corpo, l’anima prende le ali per salire verso la verità[30]

Al cugino Louis de Foucauld – Akbès, 23 juin 1895

… In mezzo ai tuoi affari, leggi qualche volta dei libri che parlino di Dio. È lì il nostro più grave affare e il nostro primo dovere. Cerca di dire al più presto possibile con Sant’Agostino: “Bellezza sempre antica e sempre nuova, perché ti ho conosciuta così tardi e così tardi amata?”. Tu che sei un cuore appassionato, dovresti leggere un po’ di Sant’Agostino, è così ardente e così spirituale… È con ragione che piangeva d’aver così tardi conosciuto Dio. Se questo essere è ogni perfezione, ogni bellezza, ogni sapienza, tutto quello che i nostri sogni possono immaginare di più tenero, di più ammirevole, di più seducente, non fare attenzione a lui è una strana follia[31]

Al cognato Raymond de Blic3 maggio 1896  [Mentre continua a pensare a Nazareth, avvenimenti terribili lo sconvolgono: le persecuzioni contro gli Armeni. Ne scrive in varie occasioni, tra il 1895 e il 1896, alla cugina, a don Huvelin[32]e al cognato.]

… Ti scrivo per chiederti un’offerta, non per noi, Dio ce ne guardi, perché non sarò mai abbastanza povero, ma per le vittime delle persecuzioni. Per ordine del sultano, hanno massacrato circa 140.000 cristiani da qualche mese… Nella città più vicina, a Marache, la guarnigione ha ucciso 4.500 cristiani in due giorni…

Gli Europei sono protetti dal governo turco, per cui noi siamo sicuri: hanno messo un picchetto di soldati alla nostra porta, per impedire che ci facciano il minimo male. È doloroso stare così bene con quelli che sgozzano i nostri fratelli, sarebbe meglio soffrire con loro che essere protetti dai persecutori. È vergognoso per l’Europa: con una parola avrebbe potuto impedire questi orrori, e non l’ha fatto. È vero che il mondo ha conosciuto assai poco quel che succedeva qui, dal momento che il governo turco ha comprato la stampa, ha dato somme enormi a certi giornali, per non pubblicare altro che i dispacci da lui emananti. Ma i governi sanno tutta la verità dalle ambasciate e dai consolati. Che castighi di Dio si preparano per simile ignominia! Vengo a chiamarti in nostro soccorso, per aiutarci ad alleviare, ad impedire di morire di fame parecchie migliaia di cristiani sfuggiti ai massacri e rifugiati nelle montagne: non osano uscire dai loro nascondigli per paura di essere massacrati, non hanno nessuna risorsa. È nostro dovere imperioso privarci di tutto per loro, ma qualunque cosa facciamo non potremmo bastare a tali bisogni[33]

Il 12 luglio 1896, il fratello scrive al generale dei Cistercensi riformati (senza conoscerlo di persona), per chiedergli la dispensa dai voti, sentendosi “attirato con una forza invincibile verso un altro ideale”[34]. Nel frattempo, ha già redatto il primo progetto di comunità religiosa, “Congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù”, che porta la data del 14 giugno 1896, festa di San Basilio. Le ultime parole di questa Regola dicono: “Tutti i nostri sforzi tenderanno ad avere in noi e a mostrare a tutti la carità, la compassione, la tenerezza, la bontà infinita del nostro divin Maestro”[35].

Don Huvelin, spaventato dal regolamento “assolutamente impraticabile”, lo esorta a non fondare nulla, a non stendere nessuna regola, a difendersi “contro questo movimento all’infinito che genera inquietudine”, a mettersi a disposizione dei superiori[36]

Una volta inviata la domanda di dispensa dai voti, fratel Marie Albéric tace e aspetta. Per tutta risposta viene mandato alla Trappa di Staueli, in Algeria, Trappa prospera da cui dipende dal 1894 quella di Akbès. Lascia la Siria il 17 settembre 1896. Di Staueli è diventato abate dom Louis de Gonzague, proveniente da Akbès e fratello dell’abate di Notre-Dame des Neiges, dom Martin, che lo aveva accolto. La sua decisione è d’inviarlo a Roma a studiare teologia per prepararsi al sacerdozio, non solo ai voti solenni. Il fratello parte per Roma e si ferma alla casa Generalizia dei Trappisti (allora in Via San Giovanni in Laterano) dal 30 ottobre 1896 al 16 febbraio 1897, frequentando i corsi del Collegio Romano (corrispondente all’attuale Gregoriana).

L’ultimo periodo passato alla Trappa è un periodo di assoluto abbandono: fratel Marie-Albéric attende l’ammissione ai voti solenni oppure la dispensa e l’uscita dalla Trappa. Le meditazioni che scrive mentre segue i corsi di teologia a Roma (dal 30 ottobre 1896 al 23 gennaio 1897), non le brucia come in precedenza: in seguito potranno servire a lui o agli eventuali compagni… In testa a questo primo taccuino, ossia in testa a quelli che ci resteranno come i suoi “scritti spirituali”, pone la frase del Cantico 1, 4: “Attirami dietro di te, corriamo all’odore dei tuoi profumi”. Inizia col meditare sulla Genesi e, nello stesso periodo, medita sui Vangeli.

Mt 14, 31     “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” … Quanto è grande la fede che Nostro Signore ci domanda! E con giustizia: quale fede gli dobbiamo… Dopo la parola di Nostro Signore: “Vieni”, Pietro non doveva più temere niente e camminare con fiducia sulle acque…, così quando Gesù ci ha certamente chiamati a uno stato, dato una vocazione, non dobbiamo temere, ma affrontare senza esitare gli ostacoli più insormontabili. Gesù ha detto: “Vieni”, noi abbiamo la grazia di camminare sui flutti. Ci sembra impossibile, ma Gesù è il Padrone dell’impossibile[37]

Lc 23, 46   “Padre mio, rimetto il mio spirito nelle tue mani” … È l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro Benamato… Possa essere la nostra…  E sia non soltanto quella di tutti i nostri istanti: “Padre mio, mi rimetto nelle tue mani; Padre mio, fa’ di me quel che ti piacerà; qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio; grazie di tutto; sono pronto a tutto; accetto tutto; ti ringrazio di tutto. Purché la tua volontà si faccia in me, mio Dio, purché la tua volontà si faccia in tutte le tue creature, in tutti i tuoi figli, in tutti coloro che il tuo Cuore ama, io non desidero niente altro, mio Dio; rimetto la mia anima nelle tue mani; te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo, ed è per me un bisogno d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura; mi rimetto nelle tue mani con una infinita fiducia, perché tu sei mio Padre[38].

A padre Jérôme – Roma, 8 novembre 1896  [Il giorno dell’arrivo a Roma, scriveva per la prima volta a un giovane trappista di Staueli, che si sta preparando a pronunciare i primi voti, padre Jérôme, che gli è stato affidato per una “piccola direzione”, in modo da confermarlo nella vocazione, come scriverà a don Huvelin[39].]

GESÙ sia sempre con lei, mio carissimo Padre.

Approfitto della domenica per scriverle.

…Volevo parlarle del mio arrivo a Roma, ed ecco che sono ancora alla partenza d’Algeri. È che mi è stata dolorosa. Ma Dio sia benedetto, e benedetto sia ogni dolore.

Siamo arrivati a Roma venerdì a 1h 1/2 del pomeriggio: non siamo scesi alla stazione di San Paolo, che è vicino a San Pietro, era poco fattibile, e ne abbiamo benedetto il buon Dio: se eravamo scesi là, avremmo dovuto prendere carrozzella su carrozzella e mi avrebbe fatto star male d’entrare così poco poveramente in questa città dove San Pietro e San Paolo entrarono tutti e due così poveri, così miserabili, e San Paolo incatenato. Siamo andati perciò a piedi dalla stazione alla Procura[40] e sul nostro passaggio ci siamo fermati in due chiese dove abbiamo adorato il Santissimo Sacramento dal primo passo a Roma, per chiedergli di vivervi conformemente alla Sua volontà, e pregarlo di benedire tutti i Suoi figli e soprattutto quelli che ci ha dato da amare più particolarmente: lei sente che non è stato dimenticato in queste prime due visite al buon Dio: siamo entrati prima in Santa Maria Maggiore, dove si conserva la mangiatoia di Nostro Signore (e dove sono anche, credo, le reliquie di San Girolamo); poi siamo stati alla chiesa di Sant’Alfonso dove si conserva l’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso. Questo nome sta così bene alla Santa Vergine! Abbiamo tanto bisogno del suo perpetuo soccorso, noi, così deboli, così zoppicanti! Da tempo, da tre anni soprattutto, mi sono messo sotto la sua protezione, sotto questo nome. Tre anni fa, avevo molte difficoltà interiori, molta ansia, timore, oscurità. Desideravo servire il buon Dio, temevo di offenderlo, non vedevo chiaro, stavo molto male. Mi sono messo allora con tutto il cuore sotto la protezione della Madonna del Perpetuo Soccorso, supplicandola di guidare i miei passi, come guidava quelli di Gesù bambino, e di condurmi in tutto in modo che non offendessi Dio, ma che fossi un soggetto di consolazione per Nostro Signore Gesù, che consolassi il più possibile il Cuore di Gesù che ci vede e ci ama. Così mi è stato dolce di mettermi fin dal primo giorno, fin dalla prima ora, ai piedi dell’immagine di questa tanto cara, tanto buona Madre. Ho bisogno di dirle che l’ho raccomandato a lei dal fondo del cuore e le ho detto e ripetuto per lei nello stesso tempo che per me: “Madonna del Perpetuo Soccorso, accordami il tuo soccorso onnipotente, e la grazia di chiederlo incessantemente!”.

L’indomani del mio arrivo, sabato, siamo partiti dalla Procura di buon mattino e siamo andati a piedi a San Pietro: ci vuole 1h ¼. Andando si passa davanti al Colosseo dove tanti e tanti martiri hanno donato la vita con una tale gioia e hanno dato con un tale amore il loro sangue per Nostro Signore GESÙ. Com’è stato amato GESÙ in questo posto! … 

[Scriverà più tardi tra le annotazioni sulle date di anniversari: “Ricevuta la decisione del mio rev.mo generale che la volontà di Dio è che io esca dall’ordine per seguire Nostro Signore nella sua abiezione e nella sua povertà: mercoledì 23 gennaio 1897 (festa delle nozze della Santissima Vergine Maria con San Giuseppe e vigilia della festa della Santa Famiglia)”[41]Quella stessa sera fratel Marie-Albéric scrive, pieno di gioia, una lunga meditazione sul Padre Nostro[42].]

A padre Jérôme – Roma, 24 gennaio 1897  [Il giorno dopo scrive un’importante lettera al giovane trappista di Staueli, che ha appena pronunciato i voti.]

…Chiedo da tre anni e mezzo di passare dal rango di religioso di coro a quello d’inserviente, sia nell’ordine, sia in un altro ordine religioso stabilito in Oriente; credo che sia questa la mia vocazione: di scendere. Col permesso del mio confessore avevo fatto questa domanda: i miei superiori m’hanno dato ordine, prima di accordarmelo, d’andare a passare qualche tempo a Staueli. Arrivato là, con mia grande sorpresa, ho ricevuto l’ordine di andare a Roma, e qui, dove contavo che mi facessero aspettare ancora a lungo il permesso che sospiravo da tempo, quando credevo di starvi ancora per due anni e mezzo, senza che chiedessi niente, senza parlarne per niente, il nostro buono ed eccellente Reverendissimo Padre Generale  mi cerca, esamina i miei sentimenti, riflette sulla mia vocazione, prega, riunisce il consiglio, e tutti, all’unanimità, dichiarano che la volontà di Dio è che segua questa via d’abiezione, di povertà, d’umile lavoro manuale; questa via d’operaio di Nazareth che Lui stesso mi mostra da tanto tempo e che perciò mi sono aperte tutte le porte per cessare d’essere religioso di coro e di scendere al rango d’inserviente e di garzone…

Ho ricevuto ieri questa notizia del mio buono ed eccellente Padre Generale, le cui attenzioni per me mi commuovono tanto. Ma dove ho avuto bisogno di obbedienza è stato in questo: che, prima della sua decisione, avevo promesso al Buon Dio di fare tutto quello che mi avrebbe detto …e tutto ciò che mi avrebbe detto il mio confessore. Cosicché, se mi fosse stato detto: “Entro dieci giorni farà i voti solenni” e poi ancora: “Riceverà i Sacri Ordini”, avrei obbedito con gioia, certo di fare la volontà di Dio. Perché, non cercando assolutamente altro che la volontà di Dio, avendo dei superiori che a loro volta non cercano altro, era impossibile che Dio non facesse conoscere la sua volontà.

… Non c’è vocazione al mondo grande come quella del prete22. …Che vocazione, caro fratello, e come benedico Dio di avergliela data! Una volta ho rimpianto di non averla ricevuta, rimpianto di non essere rivestito di questo santo carattere: era nel momento cruciale della persecuzione armena. Avrei voluto essere prete, sapere la lingua dei poveri cristiani perseguitati, e poter andare, di villaggio in villaggio, a dar loro coraggio nel morire per il loro Dio. Non ne ero degno23. Ma tu, chissà cosa ti riserva Dio? L’avvenire è ignoto. Dio ci conduce per strade così inattese! Come sono stato condotto, sballottato da sei mesi: Staueli, Roma ed ora l’ignoto. Siamo la foglia secca, il granello di polvere, il fiocco di schiuma. Siamo soltanto fedeli e lasciamoci portare con un grande amore e una grande obbedienza là dove ci spinge la volontà di Dio, così daremo al suo Cuore la più grande consolazione possibile finché un ultimo soffio di questo vento benedetto ci porti in cielo. …Là dove si può fare più bene agli altri, là stiamo meglio: dimenticare interamente se stessi, dedicarsi interamente ai figli del nostro Padre celeste, ecco la vita di Nostro Signore, ecco la vita di ogni cristiano, ecco soprattutto la vita del prete24

[1] Cf. lettera a Duveyrier del 21.02.1892.

[2] JFS, 78.

[3] Questa è una delle prime lettere scritte alla cugina che siano conosciute. Delle 738 lettere realmente scritte, ne conosciamo meno di un terzo e solo parzialmente. I brani pubblicati finora mostrano la grande confidenza, affettiva e spirituale, tra queste due persone. Ne riproduciamo solo alcune. La presente è citata nel Bollettino Amitiés Charles de Foucauld, n. 96, ottobre 1989, p. 6-7.

[4] Si riferisce a Rom 6, 4.

[5] Charles legge la Vulgata che traduce la Bibbia greca dei LXX, e questa frase si trova al versetto 11 del Salmo 84 (83): «… elegi abiectus esse in domo Dei magis quam habitare in tabernaculis peccatorum» (“Ho preferito essere un rifiuto nella casa di Dio / piuttosto di trovare dimora nelle tende dei peccatori”). Userà spesso quest’espressione, proprio riferendosi a Gesù, o meglio allo scendere, alla kènosis del Figlio di Fil 2, 7 e al “morire” con Lui (cf. Rm 6, 4-11; Col 2, 12, ecc.).

[6] LMB, p. 29.

[7] Henri Huvelin (1838-1910), uomo colto, laureato in storia, professore di storia del cristianesimo, che alla carriera aveva preferito il lavoro oscuro del confessore, del direttore di coscienze, del predicatore (tra i suoi figli spirituali c’erano due noti modernisti, Bremond e Von Hügel), frequentava la casa della zia paterna di Charles, Ines de Foucauld Moitessier ed era padre spirituale della cugina Maria de Bondy. La corrispondenza con don Huvelin è particolarmente interessante, oltre che nota e variamente citata, essendo stata pubblicata per intero. Questa prima lettera si trova in LAH, p. 15-18.

[8] Nelle lettere e negli altri scritti, di solito Charles non dà i riferimenti, citando a memoria la Vulgata o traducendola. Qui si riferisce a 1Gv 4, 8.3.20.

[9] L’amico, diventato magistrato a Saint-Dié, rimarrà non credente, nonostante le sollecitazioni.

[10] Charles Forbes de Montalembert (1810-1870) cattolico liberale, difese la causa della “Chiesa libera in libero Stato”, e come capo del partito cattolico liberale, si oppose all’Impero autoritario e all’ultramontanismo intransigente. L’opera di cui si parla, pubblicata tra il 1860 e il 1868 in cinque volumi, venne completata con altri due volumi postumi.

[11] LAL, p. 86-88.

[12] LMB, p. 34.

[13] Il compagno di corso allievi ufficiali, col quale aveva condiviso stanza e vicissitudini, al quale aveva prestato una somma enorme e col quale avrebbe voluto condividere i viaggi d’avventura. De Morès verrà ucciso nel deserto, dalle sue stesse guide, il 5 giugno 1896, durante una spedizione verso i Tuareg. Si veda, alla fine, cosa ne scriverà Charles.

[14] In George Gorrée, Les Amitiés Sahariennes du Père de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, p. 376, in nota.

[15] Lettera citata sempre per brani, molto importante, fatta conoscere integralmente in varie conferenze ai membri della famiglia spirituale di Charles de Foucauld da parte di Antoine Chatelard, piccolo fratello di Gesù di Tamanrasset, ricercatore attento degli scritti di Charles de Foucauld.

[16] Henri Duveyrier (1840-1892), in quanto membro autorevole della Società Francese di Geografia, venne consultato da Charles prima dell’esplorazione in Marocco (20.06.1883-23.05.1884) e durante la redazione della sua Reconnaissance au Maroc (pubblicato nel febbraio 1888) e fu poi relatore della ricerca, il 24 aprile 1885, presso la Società di Geografia. A Duveyrier Charles offrì i tre taccuini del successivo viaggio attraverso il Sahara algerino-tunisino del 1885, Esquisses sahariennes. Dopo uno scambio di lettere (la più famosa e citata, quella del 24 aprile 1890 in cui fr. Marie-Albéric spiega il perché della sua entrata alla Trappa), è a Duveyrier che racconterà, per la prima volta, le tappe della sua conversione in questa lettera del 21 febbraio 1892.

[17] Ripeterà spesso questo concetto di amore-imitazione.

[18] Quest’ultima, Amélie de Latouche, era la seconda moglie del nonno materno, ed era morta il 2 settembre 1888 (segnalerà questo giorno nelle “date anniversarie intime”, scritte su un taccuino risalente a Tamanrasset (cf. VN, p. 186).

[19] Si tratta, come si è visto, di letture d’interesse personale, mentre lo studio scolastico era trascurato.

[20] Élévations sur les Mystères, che sua cugina Marie gli aveva regalato il giorno della prima comunione.

[21]“Tardi Ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi Ti ho amato”, nelle Confessioni, 10, 27, 38.

[22] In LAL, p. 92, la lettera non è datata, ma la data è stata in seguito accertata da Antoine Chatelard e altri studiosi.

[23] Cahiers Charles de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, p. 54-55.

[24] Nel febbraio dello stesso anno aveva ricevuto l’incarico di progettare la costruzione della strada che conduceva alla vigna e poi sorvegliare gli operai, essendo la Trappa di Notre-Dame du S. Cœur di Akbès ancora in cantiere.

[25] Si ricordi che si celebrava in latino sia la liturgia eucaristica sia l’ufficio delle ore, così come si leggeva la Bibbia nella traduzione Vulgata latina.

[26] Era il “rifugio” che aveva sperimentato nelle confraternite, le zauia musulmane che l’avevano via via ospitato durante il viaggio in Marocco, in particolare la zauia di Boujad e poi quella di Tissint, di cui tesse l’elogio in RAM, p. 122). Le zauia erano luoghi di religiosità fervente, di studio del Corano, di preghiera, dotate di biblioteche, di ricordi, e soprattutto aperte all’ospitalità gratuita per studenti coranici, per viandanti e pellegrini, come gli antichi monasteri e ospizi-ospedali lungo le vie di pellegrinaggio medievali. In fondo Charles conosce l’Islam secondo il modello delle zauia, ed è questo modello che gli rimarrà in mente tutta la vita.

[27] In moltissime occasioni Charles rievoca, a memoria, la frase di Lc 7, 47 sulla donna peccatrice che gli lava i piedi con le lacrime. Per la lettera, cf. LAH, p. 36-39. Il 4 ottobre successivo scriverà sullo stesso progetto alla cugina (cf. LMB, p. 43-44).

[28] Si veda, più avanti, la lettera a p. Jérôme, dell’8 novembre 1896 (in CCDP, p. 139). Cf. anche Considérations sur les fêtes de l’année, p. 34; vedi anche “elezione” del 14 novembre 1897, quasi alla fine del ritiro di Nazareth, in UP, p. 220.

La devozione alla Madonna del Perpetuo Soccorso affondava le sue radici nell’infanzia di Charles, che aveva visto la sua immagine sul petto della nonna paterna morta d’infarto davanti a lui, come confessava in una lettera all’amico medico Balthasar in una lettera del 23 gennaio 1891 (fatta conoscere dall’articolo di Antoine Chatelard “Charles de Foucauld et Notre-Dame du Perpétuel Secours”, in Jesus Caritas n. 259, 3e trimestre 1995, p. 61-68).

[29] LMB, p. 45-46.

[30] Lettera inedita, citata in documenti ciclostilati delle Fraternità. Louis de Foucauld, colonnello, che Charles considera “fratello” (testamento del 1905, in VN, p. 160) morirà “molto cristianamente dopo essersi confessato in piena conoscenza” il 24 novembre 1914 (dopo breve malattia, non in guerra), come Charles scriverà a Henry de Castries, compagno di corso del cugino e amico di entrambi (cf. LHC, 17.01.1915, p. 209). Qui Charles usa gli stessi argomenti e riferimenti usati precedentemente per l’amico Gabriel.

[31] Cf. rivista Jesus-Caritas ed. francese, n. 279, 3e   Trimestre 2000, p. 8.

[32] Cf. LMB p. 52 e LAH, p. 41-42.  Nel 1917 p. Raphaël, che era stato suo confessore ad Akbès, testimonierà come, in questo periodo, fr. Marie-Albéric, col suo permesso passava le notti in adorazione, pregando di ottenere la grazia del martirio (CCDP, p. 410). Mostrerà la stessa sensibilità e lo stesso impegno a Beni-Abbès nei confronti della schiavitù.

[33] La lettera è citata nel Bollettino Amitiés Charles de Foucauld, n° 123, luglio 1996, p. 5-6.

[34] CCDP, p. 128-129.

[35] RD, p. 36. Cf. LAH, p. 45 e ss.

[36] Cf. LAH, p. 45-46.

[37]  SG, p. 106.

[38] SG, p. 79. Non sappiamo con precisione quando Charles cominciò a leggere il libro di p. Jean-Pierre de Caussade s.i. “L’abbandono alla Provvidenza” (in un’edizione abbreviata del 1861 introdotta da p. Henri Ramière s.i., il gesuita che lo stesso anno aveva fondato l’apostolato della preghiera e diffuso la devozione al S. Cuore), ma sappiamo che gli fu regalato da una Clarissa all’inizio del suo soggiorno a Nazareth, perciò poco dopo questo scritto (secondo la datazione proposta da Antoine Chatelard). In seguito, lo lesse e lo rilesse, consigliandolo non solo ad amici (cf. lett. a p. Jérôme dell’8 maggio 1899, CCDP, p. 197), ma ai futuri membri dell’Unione del 1909-1913 (cf. Directoire, art. XV). Da questa meditazione, che risale alla fine del periodo trappista, p.s. Magdeleine di Gesù con le sue prime novizie, tra l’11 e il 17 dicembre 1940, togliendo alcune ripetizioni per semplificarne la recita a memoria, trasse quella che diventerà nota come” Preghiera d’abbandono”.

[39] Cf. LAH, p. 57.

[40] Allora in Via San Giovanni in Laterano 95.

[41] VN, p. 185; cf. CPRD, p. 312, nota 14, dove si osserva che in realtà era un sabato.

[42] Cf. CPRD, p. 97-104.

22 Risponde al giovane amico trappista conosciuto a Staueli, che gli ha confidato il suo desiderio di sacerdozio.

23 È la sola volta che ammette di aver desiderato essere prete, prima della “elezione” del 1900.

24 CCDP, p. 151-53.

Generalità

I testi presentati negli undici file seguenti [Scritti da Charles de Foucauld] sono stati scelti per dare la possibilità di seguire il percorso umano e spirituale di Charles de Foucauld. Per percepire il senso di ogni frase, è necessario di collocarla nel suo contesto. Non sarebbe rispettoso nei confronti di Frère Charles di estrapolare un pensiero o l’altro senza “situarlo”. Buona lettura!

  1. Si ringraziano le Piccole Sorelle di Gesù che hanno fatto un gran bel lavoro nello scegliere queste lettere.

SIGLE

Scritti di Charles de Foucauld:

BDD            La Bonté de Dieu, Nouvelle Cité, Montrouge, 1996

CBA           Carnet de Beni Abbès, Nouvelle Cité, Paris 1993

CCDP        Cette chère dernière place, Cerf, Paris 1991

CFA           Considérations sur les fêtes de l’année, Nouvelle Cité, Paris 1987  

CPRD        Chi può resistere a Dio? Città Nuova, Roma 1983.

CS              Correspondances Sahariennes, Cerf, Paris 1998

CT              Carnet de Tamanrasset, Nouvelle Cité, Paris 1989

DS              Dio solo. Fede-Speranza-Carità (1897.98), Città Nuova, Roma 1973.

IBA            L’imitation du Bien-Aimé. Méditations sur les Saints Évangiles, Nouvelle Cité, Montrouge 1997.

JFS            Vie de Charles de Foucauld, Seuil, Paris 1962.

LAH           Charles de Foucauld- Don Huvelin. Corrispondenza inedita, Borla, Torino 1965

LAL            Lettere a un amico di Liceo, Città Nuova, Roma 1985

LHC           Lettres a Henry de Castries, Grasset, Paris 1938

LMB           Lettere a Mme de Bondy, AVE, Roma 1966.

LV              La vita nascosta. Ritiri in Terra Santa (1897-1900), Città Nuova, Roma 1974.

OS             Opere Spirituali, Antologia, S. Paolo, Milano (numerose edizioni)

RAM           Reconnaissance au Maroc, Challamel, Paris 1888/1985

RD             Règlements et Directoire, Nouvelle Cité, Montrouge 1995.

SD             Solitudine con Dio. Ritiri per le ordinazioni e nel Sahara (1900-1909), Città Nuova, Roma 1975.

SG              Lo Spirito di Gesù, Città Nuova, Roma 1978.

UP             All’ultimo posto, Città Nuova, Roma 1974.

VN             Viaggiatore nella notte, Città Nuova, Roma 1979.

 

Altri autori:

AAD       J.F. Six, L’Aventure de l’Amour de Dieu – 80 Lettres inédites de Charles de Foucauld à Louis Massignon, Seuil,              Paris 1993.

B            René Bazin, Charles de Foucauld explorateur du Maroc, ermite au Sahara, Plon, Paris 1921/1959.

FD         Maurice Serpette, Foucauld nel deserto, Queriniana, Brescia 1998

LMCF   Antoine Chatelard, La mort de Charles de Foucauld, Karthala, Paris 2000.

 

Si sono potuti consultare gli Archivi delle Clarisse di Nazareth per alcune lettere loro indirizzate.

Omelia Messa Beatificazione Charles de Foucauld

 

Santa messa e Beatificazione dei Servi di Dio

Charles de Foucauld, Maria Pia Mastena, Maria Crocefissa Curcio

Omelia dell’Em.mo Card. José Saraiva Martins

Altare della Confessione, Basilica Vaticana, Domenica, 13 novembre 2005

  1. L’odierna domenica, trentatreesima del tempo ordinario, la penultima dell’anno liturgico, propone alcuni brani della Parola di Dio particolarmente illuminanti anche sulla realtà della santità cristiana, intesa come il migliore impiego dei doni ricevuti dal Signore. Per aver portato a frutto i propri talenti, nella logica divina dell’amore e del dono totale di sé la Chiesa oggi ha iscritto nell’albo dei Beati: Carlo de Foucauld, Maria Pia Mastena e Maria Crocifissa Curcio.
  2. Charles de Foucauld, méditant en présence de l’Enfant-Jésus pendant la période de Noël 1897-1898 sur le passage de l’Évangile de saint Matthieu qui a été proclamé en ce dimanche, retient l’obligation faite à celui qui a reçu des talents de les faire fructifier : “Il nous sera demandé compte de tout ce que nous avons reçu… Et puisque j’ai tant reçu, il me sera beaucoup demandé ! Si j’ai beaucoup plus reçu que la plupart des hommes… la conversion, la vocation religieuse, la Trappe, la vie d’ermite, Nazareth, la communion quotidienne, et tant d’autres grâces, il me sera beaucoup demandé…”.1

La béatification de Charles de Foucauld nous en est la confirmation : conduit véritablement par l’Esprit de Dieu, il a su utiliser et faire fructifier les nombreux “talents” qu’il avait reçus et, correspondant heureusement aux inspirations divines, il a suivi un chemin vraiment évangélique sur lequel il a attiré des milliers de disciples.

Le Saint-Père Benoît XVI rappelait récemment que “nous pouvons résumer notre foi en ces mots: Iesus Caritas, Jésus Amour”2, qui sont les mots mêmes que Charles de Foucauld avait choisi comme devise qui exprimât sa spiritualité.

La vie aventureuse et fascinante de Charles de Foucauld offre une preuve convaincante de la vérité de ces paroles du Souverain Pontife. On peut, en effet, découvrir sans peine comme un fil rouge qui, à travers tous les changements et toutes les évolutions, pénètre de part en part l’existence du Frère Charles ; comme l’écrit, en 1889, l’abbé Huvelin au Père Abbé de Solesmes : ” il fait de la religion un amour”.

Charles lui- même révélait ainsi, à un ami de lycée resté agnostique, ce qu’il appelait “le secret de ma vie”: “L’imitation est inséparable de l’amour… J’ai perdu mon cœur pour ce Jésus de Nazareth crucifié il y a mille neuf cents ans et je passe ma vie à chercher à l’imiter autant que le peut ma faiblesse”3.

Dans la correspondance avec Louis Massignon, on peut analyser la liberté que Charles a acquise dans sa manière d’apprendre à aimer: “L’amour de Dieu, l’amour du prochain… Là est toute la religion… Comment y arriver ? pas en un jour puisque c’est la perfection même : c’est le but auquel nous devons tendre toujours, dont nous devons nous rapprocher sans cesse et que nous n’atteindrons qu’au ciel” 4.

En 1882 déjà, nous trouvons la fameuse phrase de Mt 25 qu’il cite si souvent et qui l’accompagne jusqu’à la méditation finale de 1916, quand il met en parallèle présence eucharistique et présence dans les plus petits:

“Il n’y a pas, je crois, de parole de l’Évangile qui ait fait sur moi une plus profonde impression et transformé davantage ma vie que celle-ci : ‘Tout ce que vous faites à un de ces petits, c’est à moi que vous le faites’. Si on songe que ces paroles sont celles de la Vérité incréée, celles de la bouche qui a dit ‘ceci est mon corps… ceci est mon sang’, avec quelle force on est porté à chercher et à aimer Jésus dans ” ces petits “, ces pécheurs, ces Pauvres”5.

Charles de Foucauld a eu une influence notable sur la spiritualité du XXe siècle et il reste, en ce début du troisième millénaire, une référence féconde, une invitation à un style de vie radicalement évangélique, et cela au-delà même de ceux qui appartiennent aux différents groupements dont sa famille spirituelle, nombreuse et diversifiée, est formée.

Accueillir l’Évangile dans toute sa simplicité, évangéliser sans vouloir imposer, témoigner de Jésus dans le respect des autres expériences religieuses, réaffirmer le primat de la charité vécue dans la fraternité, voilà quelques-uns seulement des aspects les plus importants d’un précieux héritage qui nous incite à faire que notre vie consiste, comme celle du bienheureux Charles, à “crier l’Évangile sur les toits… [à] crier que nous sommes à Jésus” 6.

  1. S. Paolo, nella seconda lettura tratta dalla Lettera ai Tessalonicesi, richiama la necessità di vegliare, perché non sappiamo quando il Figlio di Dio verrà a giudicare il nostro operato, in base ai doni ricevuti. La vita del cristiano è davvero una lunga vigilia, un tempo di attesa del Signore. Ma noi, come ricorda l’Apostolo siamo: “tutti figli della luce” (Tes.5, 5) perché mediante il Battesimo siamo inseriti in Cristo, Luce del mondo. Luce ben visibile e illuminante è stata quella che ha fatto brillare la beata Maria Pia Mastena, la quale visse la sua condizione di religiosa, nella continua ricerca di riportare sul volto dei fratelli, lo splendore del Santo Volto, da lei tanto amato. Il volto dell’uomo, specie quando è deturpato dal peccato e dalle miserie di questo mondo, potrà risplendere soltanto quando sarà conforme a quello di Cristo, martoriato sulla Croce e trasfigurato dalla gloria del Padre. Madre Mastena sentì la forte tensione missionaria di: “portare il Volto di Gesù tra gli uomini di tutto il mondo, nei luoghi più poveri e abbandonati”. Guardando alla santità della Beata Madre Mastena è legittimo riconoscere in lei una grande artista che ha saputo imprimere in se stessa l’Immagine di Cristo, assumendo, mediante l’esercizio di tante virtù, il “Volto dei volti”, il più bel Volto che ci sia tra i figli degli uomini. Essa è riuscita a far trasparire, dai suoi lineamenti personali, il Volto del Signore nelle espressioni della misericordia, della carità, del perdono, del servizio a tempo pieno alle persone più bisognose. Con grandi sacrifici, difficoltà, fede e tenacia, nel 1936 la Mastena fondò la Congregazione delle Religiose del Santo Volto, trasmettendo alle sue consorelle il suo progetto di vita, che in sintesi definiva: “propagare, riparare, ristabilire il Volto di Cristo nei fratelli”. Così spiegava, con poche ma intense parole, alle giovani Suore, il carisma delle religiose del Santo Volto: ” Quando un fratello è triste e sofferente è nostro compito far ritornare il sorriso sul suo viso…Questa è la nostra missione: far sorridere il volto del dolce Gesù sul volto del fratello! “.
  2. Al servo pigro e arrogante della parabola dei talenti fa da riscontro positivo la figura femminile che ci è presentata dal libro dei Proverbi. In tale contesto si inserisce convenientemente con il suo carisma materno e genio femminile la beata Maria Crocifissa Curcio, donna abile e operosa, attenta a prendersi cura dei bisogni del suo prossimo, fino a farlo diventare “la sua famiglia”. Anche Madre Maria Crocifissa ha saputo “procurarsi lana e lino” e lavorarli volentieri “con le proprie mani” per far crescere la famiglia affidatale da Dio. Trovò nello spirito del Carmelo, e molto concretamente nel carisma contemplativo – missionario di Santa Teresa del Bambino Gesù, lo stimolo per fondare la congregazione carmelitana delle Missionarie di S. Teresa di Gesù Bambino.

L’amore di Gesù l’ha condotta in un cammino che spesso è stato arduo e amaro, facendole sperimentare cosa significa essere “crocifissa”, come Gesù, per amore dei fratelli, sempre presenti nelle sue attenzioni, anche nei momenti di maggiore intimità con Dio. Scriveva nel suo Diario spirituale: ” Il solo pensiero di patire per i miei fratelli mi riempiva l’animo di gioia…La mia tenerezza cresce sempre… e di questa tenerezza amo le figliole che la Provvidenza mi ha affidato, amo il mondo intero, amo la natura con tutte le bellezze” ( 4 aprile 1928).

Madre Maria Crocifissa fu una donna semplice e forte, afferrata dall’amore di Dio, tutta protesa al cielo, ma attenta a curvarsi sulla terra, in particolare sull’umanità sofferente e bisognosa. Essa seppe trarre dalla sua fede profonda e dall’amore appassionato all’Eucaristia ispirazione e nutrimento continuo per la sua ricerca di santità. La beata Madre Curcio ha saputo coniugare, nei fatti ordinari della sua vita quotidiana, la preghiera e l’azione, intesa quest’ultima come recupero degli ultimi, e più precisamente, come accoglienza e formazione della gioventù più abbandonata. Proprio per questa sua normalità e concretezza è un modello a cui ci si può ispirare oggi come oggi, essendo il suo messaggio di grande attualità.

  1. Carissimi fratelli e sorelle,

Impariamo dai nuovi beati a vivere una fede contagiosa, comunicativa, perché una fede “innocua”, che non dice niente a nessuno, che non si traduce in testimonianza, rimane un dono “inutilizzato”.

Sull’esempio di questi testimoni del Cristo Risorto, anche noi non dobbiamo mai smettere di trafficare i talenti che abbiamo ricevuto finché sentiremo ripetere quelle stupende parole che si possono considerare una sorta di formula evangelica di beatificazione: “Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt.25,21).

1.Méditation écrite à Nazareth en février 1898 sur Matthieu 25,14.

2.Angelus, 25 settembre 2005, Osserv. Rom. 26-27.9.2005, p.1.

3.Mars 1902, lettre à un ami de lycée (Gabriel Tourdes).

4.1er novembre 1915 à Louis Massignon.

5.1er août 1916 à Louis Massignon.

6.Nazareth 1898, Méditations sur les saints Évangiles (1), La bonté de Dieu, p. 285.