Il primo richiamo dei Tuareg

Charles de Foucauld

Dalle lettere e meditazioni

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

7. Il primo richiamo dei Tuareg

Dal mese di marzo 1903 il comandante Laperrine, che sta compiendo il primo viaggio verso il profondo Sud del Sahara, nell’Hoggar (Ahaggar nella lingua dei Tuareg), vedendo in Charles de Foucauld un eccellente collaboratore, gli invia lettere invitanti per persuaderlo ad andare con lui. L’amico prima resiste, poi si lascia conquistare e a sua volta fa di tutto per convincere padre Guérin della bontà della scelta… visto che il Marocco non si apre.

 

A padre Charles Guérin – Beni Abbès, 30 giugno 1903

Mio amatissimo e veneratissimo Padre… …Giorno di risoluzione[1], oggi… Questo mese di giugno è per me una sorta di ritiro, un tempo particolarmente santo.

Nella mia ultima lettera, le dicevo, credo, che le scrivevo dopo molta esitazione: sì, ogni cambiamento, ogni movimento mi spaventa, mi dà come una vertigine, uno sgomento; temo di sbagliare strada; temo di non potere; m’ispirano questo sgomento, ad ogni azione importante, il timore dell’illusione e insieme la viltà…

Di solito il terrore cessa non appena mi sono messo tra le mani del mio direttore e abbandonato a lui…Da quel momento regna una pace profonda e cessa ogni esitazione.

È quel che mi succede. Prima di scriverle e di scrivere a don Huvelin, temevo ed esitavo. Ora, da quando queste due lettere sono partite, lo stesso giorno, è la pace, la gioia, una fiducia calma e un desiderio vivo ma tranquillissimo.

Desidero semplicemente e nettamente di andare[2] – aspettando che il Marocco si apra, se si apre – dai Tuareg, in un luogo dove potrei avere una sicurezza sufficiente… Qui sono abbastanza le persone, i musulmani, che hanno ricevuto l’esposizione della dottrina cristiana; le persone di buona volontà hanno potuto venire tutte, tutte hanno potuto apprendere; tutti quelli che vogliono vedere vedono che la nostra religione è tutta di pace e d’amore, che è profondamente diversa dalla loro: la loro ordina di uccidere, la nostra d’amare… Non ho compagni. Il Marocco non si apre. Non posso far meglio per questa salvezza delle anime che è la nostra vita quaggiù, come fu la vita di GESÙ    “Salvatore”, che andare a portare altrove, a quanti è possibile, la semenza della divina dottrina – senza predicare ma conversando – e soprattutto d’andare a preparare, cominciare l’evangelizzazione dei Tuareg, stabilendomi tra loro, apprendendo la loro lingua, traducendo il santo Vangelo, mettendomi in relazioni il più possibile amichevoli con loro…

Se GESÙ vuole che abbia dei piccoli fratelli, me ne può inviare laggiù. Per il tempo che durerà, potrei, una volta all’anno, risalire verso nord, andare a confessarmi[3] e lungo la strada passare in tutti i presidi militari e parlare lungo tutto il cammino con gli indigeni.

Temendo i ritardi, temendo che il mio amico delle Oasi si sia spostato, gli scrivo con questo corriere, per chiedergli autorizzazione di stabilirmi “per imparare la lingua tuareg e tradurre alcune opere in questa lingua, nel cuore del paese tuareg dove sia possibile farlo con sicurezza sufficiente, sicurezza dovuta alla sua raccomandazione, alla sua protezione morale” … Non ho il diritto di suicidarmi, non è del resto il mezzo di far conoscere GESÙ alle anime. Bisogna alleare coraggio a prudenza: né essere imprudenti né essere paurosi…

Se dice di no al mio desiderio, che credo sempre più voluto da Dio, niente sarà più facile di dire al mio amico: non verrò per il momento.

Se dice di , non avrò che da partire, e potrei approfittare della sua presenza e della sua amicizia… Parecchi indizi mi fanno credere che gli resta poco tempo da passare là: è per questo che mi affretto… È Dio che dà quest’occasione, com’è lui, credo, che mi mette in cuore questo desiderio.

Non ho detto assolutamente a nessuno se non a lei, a don Huvelin e al mio amico delle Oasi, il mio desiderio di andare dai Tuareg… La prego di mantenere anche lei il silenzio[4]

[Il 4 agosto 1903, dopo il lungo pontificato di Leone XIII, che aveva cercato il “ralliement” con la repubblica laica francese, viene eletto papa Pio X, e la sua maggior intransigenza rispetto al predecessore, porterà al radicalizzarsi della crisi col governo francese, che diventa sempre più anticlericale. Non sarà senza conseguenze anche per i progetti di fondazione di Charles de Foucauld.]

A padre Charles Guérin – Beni-Abbès, 5 agosto 1903

…Quello che le chiedo, è semplicemente il permesso di cercar di penetrare nel paese tuareg. Le mie lettere le hanno detto che il mio pensiero non era a di abbandonare il Marocco, ma di fare del mio meglio al Sud – se le vie mi vengono aperte – in attesa che lei invii altri operai, o che si apra una porta verso l’Ovest, verso quest’Ovest che attualmente mi è chiuso.

…Il capitano Regnault è partito da Beni-Abbès il 15 luglio e vi è rientrato il 30 luglio, dopo aver marciato giorno e notte, aver combattuto una sanguinosa battaglia, avuto la cinghia della sua carabina nelle mani forata da un proiettile, e visto cadere i cinque uomini più vicini a lui, feriti o uccisi. Lei vede che i soldati della terra, degli uomini, non temono la stagione. Prendiamo esempio da loro, noi soldati di Dio, e non facciamo ridire al nostro Maestro: “I figli di questo mondo sono più astuti dei figli della luce”[5]… Ho sempre supplicato GESÙ di non fare al suo servizio meno di quello che ho fatto una volta per le creature[6]

[In attesa del viaggio, previsto a partire dal 6 settembre, evidentemente pericoloso, il 14 agosto Charles redige il testamento[7] indirizzando il plico al cognato Raymond de Blic (vi apporrà delle aggiunte significative in seguito, nel 1911 e 1914).] 

A padre Guérin – Beni-Abbès, 26 agosto 1903

… Se ricevo più tardi da lei l’ordine di non restare nel Sud, non ci resterò.

Non parto così rapidamente per mancanza d’obbedienza a lei, amatissimo e venerato Padre, ma perché la più perfetta obbedienza, e questo fa parte della sua perfezione, comporta in certi casi dell’iniziativa.

Se parto senza esitare, è che sono pronto a tornare senza esitare; come parto facilmente, così tornerò[8]

[Il 28 agosto 1903, padre Guérin invia al Prefetto della congregazione Romana di Propaganda Fide la domanda perché fratel Charles possa celebrare la messa senza assistente cristiano e si fa garante del confratello, facendone gli elogi e raccontando a brevi tratti la sua vita. Ma il permesso non verrà accordato[9].

Charles si lascia sempre “guidare dagli avvenimenti”[10] e avvenimenti imprevisti, ossia un altro combattimento tra militari e Beraber marocchini con 50 morti e più di 40 feriti, nei pressi di Taghit a centodieci chilometri a nord, fanno accorrere Charles al galoppo (e senza scorta!) in soccorso dei feriti. Perde perciò la prima occasione di partire (da solo sarebbe stato impossibile, per mancanza di piste, necessità di guide, equipaggiamento e autorizzazione militare). Si convince che è bene rinunciare al progetto e restare a Beni-Abbès.]

A Henry de Castries – Beni-Abbès, 23 dicembre 1903

Buon Natale, buon anno! Alla messa di mezzanotte, nell’eremo di Beni-Abbès, penserò a lei, pregherò per lei, con tutto il cuore. Anche il primo dell’anno.

Il nostro sud è stato davvero sconvolto quest’estate e quest’autunno. Sembra che le cose tornino alla calma; ma ci sarà bisogno di qualche mese perché si veda se queste speranze di pace con i nostri vicini così guerrieri, per i quali la guerra ha una tale parte di piacere, sono fondate.

Allah Akbar[11]! La pace, la guerra passano! Dio è più grande, Lui che solo non passa. Non si è indifferenti, alla fraternità del Sacro CUORE, alle cose dell’esterno, poiché esse portano del bene o del male a questi uomini tanto amati da Dio; ma dopo che si è fatto quel che si è potuto, con quale pace ci si ritrova soli davanti al Tabernacolo, a tu per tu con GESÙ! Che pace e che felicità!

L’eremita è sempre felice, lo vede, caro amico, e la sua vita scorre nel pensiero e nella gioia dell’infinita beatitudine, dell’immutabile pace della Beata e sempre tranquilla Trinità.

La consolazione interiore non m’impedisce di pensare a quelli che amo, carissimo amico, al contrario essa mi unisce più strettamente a loro. Deus caritas est. E più ci si sforza d’amare Dio, più si ha necessariamente amore per quelli che Dio ama tanto. Per dire che il mio pensiero e la mia preghiera le sono fedeli[12]

[Appena si presenta, pochi mesi dopo, un’altra opportunità, nonostante la “ripugnanza estrema”, sente la stessa spinta invincibile a lasciare Beni-Abbès[13]. Parte il 13 gennaio 1904 per raggiungere Laperrine e prendere accordi. Un militare gli regala una tenda per celebrare la messa lungo il cammino. Arrivato il 1° febbraio ad Adrar, viene ospitato da Laperrine, che lo informa sui Tuareg dell’Hoggar, il gruppo più importante e più guerriero, il più ostile verso i cristiani, quello che aveva massacrato la missione Flatters nel 1881. Da Adrar raggiunge il villaggio di Akabli, un crocevia di carovane, per prepararsi e cominciare a studiare la lingua dei Tuareg (con un Arabo che lo parla). S’impegna immediatamente a tradurre i Vangeli e poi a trascrivere nella lingua tuareg alcune frasi o risposte pronte all’uso, come “Questo cuore scritto sul mio vestito, c’è perché io mi ricordi di Dio e degli uomini”.

La spedizione, col comandante Laperrine, tre ufficiali, 72 soldati, un civile, parte il 14 marzo 1904 da Akabli. Al momento di partire, su consiglio di padre Guérin, Charles sceglie un nome col quale Arabi e Tuareg lo possano designare: si chiamerà Abd-Isa, diminutivo di Servo di Gesù[14].] 

Alla cugina Marie de Bondy – Akabli, tra febbraio e marzo 1904

Resto qui ancora per otto o nove giorni… Il 15 mi rimetterò probabilmente in cammino. Sono sempre contento … Fra altre dolcezze, ce n’è una che chiedevo a GESÙ da tanto tempo: è quella di trovarmi, per amor suo, in condizioni di benessere analoghe a quelle in cui mi trovavo in Marocco, per mio piacere… Come sistemazione, qui è la stessa cosa… Ma non c’è alcun pericolo: meno ancora che a Beni-Abbès…

…Le popolazioni di questa regione, come quelle del Marocco, parlano più il berbero che l’arabo, cioè la vecchia lingua dell’Africa del Nord e della Palestina, quella che parlavano i Cartaginesi, quella di Santa Monica, il cui nome, berbero e non greco, significa “regina”; lingua che Sant’Agostino “amava” perché era quella di sua madre, come dice nelle sue Confessioni; una volta l’avevo imparata e poi dimenticata; torno ad usarla, per poter conversare con tutti[15].

A padre Charles Guérin – Presso In Ziza, 29 marzo 1904

…Preghi tanto per me. Faccio tutto il possibile per mettermi in relazione, fiducia, amicizia con tutti questi Tuareg… Preghi perché sia fedele alla grazia…

È probabile che il mio amico mi lascerà in strada al ritorno, se gli spiriti sono abbastanza ben disposti per questo, in qualche punto dove mi trovi solo in mezzo ai suoi nuovi amministrati… Vi passerò da solo un po’ di tempo in modo da prendere bene contatto… Studio giorno e notte il tamasheq… Quanto tempo resterò in mezzo ai nostri fratelli? Quanto indicherà GESÙ e permetterà l’obbedienza… Non lo dica a nessuno: ci vuole un gran silenzio per non attirare noie al mio amico e non attirare ostacoli all’opera di Dio…

È per questa prudenza che le scrivo per una via indiretta… La prego di non parlare del mio giro, del mio viaggio; il silenzio è buono alle opere di Dio… “Aquae Siloe vadunt in silentio…”[16]

[In una sosta a Tinef, il 17 maggio, giorno della festa di San Pasquale Baylon, usando il solito metodo di discernimento, l’esametro di Quintiliano (quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando), scrive sul diario, alla voce “quid,” che non si tratta più di cercare di “preparare il nido”, come a Beni-Abbès, ma di vivere pregando e lavorando “come Gesù a Nazareth”. Alla voce “quomodo”, aggiunge: “Silenziosamente, di nascosto come Gesù a Nazareth, oscuramente, come Lui, ‘passare sconosciuto sulla terra come un viaggiatore nella notte’… poveramente, laboriosamente, umilmente, con mitezza, facendo come Lui, ‘transiens bene faciendo’, disarmato e muto dinanzi all’ingiustizia come Lui, lasciandomi, come l’Agnello divino, tosare e immolare senza far resistenza né parlare, imitando in tutto GESÙ a Nazareth e GESÙ sulla Croce…”[17].

Il 26 maggio, credendo venuto il momento di fissarsi in un posto, ne chiede il permesso a Laperrine, che, dopo qualche giorno di riflessione glielo negherà. Nel frattempo, sostando a Tit, Charles  fa progetti precisi…, tanto da far dire a Gesù: “Oggi e in avvenire, se lo puoi, va’ a stare…in queste rocce simili a quelle di Betlemme e di Nazareth, in cui hai la perfezione della mia imitazione e insieme quella della carità; per ciò che riguarda il raccoglimento, è l’amore che deve raccoglierti in me interiormente,  e non l’allontanamento dai miei figlioli: vedi me in loro come io a Nazareth e vivi accanto a loro, perduto in Dio”[18].

Non potendo, per ora, restare, per la diffidenza dei Tuareg, oltre che per la prudenza dei militari[19], il 15 giugno 1904 Charles lascia la spedizione Laperrine e continua col tenente Roussel per tornare verso Nord, fermandosi nei vari villaggi dell’Hoggar. In tutto percorrerà 5000 chilometri, quasi tutti a piedi!]

A Henry de Castries – Dal deserto, 17 giugno 1904

…Le ho scritto una lunga lettera nel dicembre scorso, sembra che non le sia giunta, la posta è così poco sicura nel sud algerino…

…Queste tre grandi frazioni [Taitok, Iforas, Hoggar], la metà dei Tuareg, sono sottomessi, ma resta da entrare in relazione[20], da far cadere la loro diffidenza, sparire i pregiudizi contro di noi; farci conoscere, stimare, amare da loro, provare loro che li amiamo, stabilire la fraternità tra loro e noi, ecco quel che resta da fare…

Ho chiesto a Laperrine, mio vecchio amico, mio vecchio compagno (siamo stati sottotenenti insieme), il permesso di lavorare a quest’opera di fraternizzazione, me l’ha permesso, e ci sono da quattro mesi…

…Ho appena lasciato Laperrine che parte per In Salah; io resto ancora due o tre mesi qui con un distaccamento dei suoi cammellieri che continuano in questa regione l’opera di pacificare, di mettere in amicizia… Chiacchierare, dare medicine, elemosine, l’ospitalità dell’accampamento, mostrarsi fratelli, ripetere che siamo tutti fratelli in Dio, e che speriamo tutti un giorno nello stesso cielo, pregare per i tuareg con tutto il cuore, ecco la mia vita…

È a lei solo, mio caro ed eccellente amico, che do questi dettagli; non li comunichi: sono dal mio cuore al suo cuore… Quando tornerò a Beni-Abbès? Forse in ottobre, forse non ancora… Sono schiavo, schiavo di GESÙ… la mia vocazione ordinaria è la solitudine, la stabilità, il silenzio… Ma se credo, per eccezione, di essere chiamato talvolta ad altre cose, non ho che da dire “Ecce ancilla Domini”, l’amore obbedisce sempre quando l’amore ha Dio per oggetto…

…Di geografia, d’esplorazione, non ne faccio l’ombra; mi lascio portare come una vettura, non è neppure un’evangelizzazione propriamente detta, non ne sono degno, né capace e l’ora non è venuta, è il lavoro preparatorio all’evangelizzazione, il mettere in fiducia, in amicizia, pacificare, fraternizzare, tra i Tuareg e i Taitok[21]

[Da tempo il governo francese proibiva proselitismi e nuove fondazioni, per di più il 4 luglio 1904 il Senato aveva votato, oltre alla confisca dei beni, la soppressione di migliaia di conventi, chiudendo oltre 2000 scuole gestite da religiosi. Il 30 luglio si giungeva alla rottura delle relazioni con la Santa Sede (durata diciassette anni).  In questa situazione, per Charles era impossibile ricevere ufficialmente compagni. Si accontenterebbe di uno solo, che venga a titolo di “giardiniere” o inserviente… Nell’ottobre dello stesso anno i Trappisti, temendo l’espulsione anche nell’Algeria metropolitana, chiuderanno Staueli: gran parte di loro troverà rifugio in Italia (e sarà la decadenza), mentre alcuni, come p. Jérôme, si secolarizzeranno, restando in Algeria come preti diocesani.]

A padre Charles Guérin – Amra (circa 400 chilometri a sud-sud-est d’In-Salah) – 4 luglio 1904

Amatissimo e venerato Padre. Il giretto prosegue senza incidenti; senza cambiamenti nei progetti… Non ho ricevuto altre sue lettere… Gliel’ho detto, la presente passeggiata è tutta di pacificazione. …Lo accompagno [il capitano Roussel], vedendo quel che vede lui, parlando loro con lui, dando dei medicinali e piccole elemosine, cercando di far conoscenza e di far comprendere loro che sono un servo di Dio, e che li amo… Posso celebrare la santa messa tutti i giorni, sotto la tenda… Il tempo che non è dato alla preghiera, al prossimo, al cammino, al corpo, è impiegato allo studio del tamahaq[22]e alla traduzione dei santi vangeli in questa lingua: quello di San Luca è quasi finito; comincerò poi gli altri.

Gli indigeni ci ricevono bene. Non è sincero: cedono alla necessità… Quanto tempo ci vorrà perché abbiano i sentimenti che simulano? Se un giorno li avranno, sarà il giorno che diventeranno cristiani… Sapranno separare i soldati dai preti, vedere in noi dei servi di Dio, ministri di pace e di carità, fratelli universali? Non so… Se faccio il mio dovere, GESÙ effonderà abbondanti grazie e comprenderanno.

Ho un infinito bisogno di tre cose, per le quali chiedo tanto le sue preghiere e quelle dei miei padri, fratelli e sorelle della Prefettura del Sahara: – 1° la conversione, la salvezza di questo popolo tuareg, – 2° dei santi operai evangelici per lavorare in questo campo, – 3° la mia personale conversione.

Se mi convertissi, otterrei le due prime cose, ma sono così miserabile!

Potrebbe cercare di rendermi due grossi servizi: il primo sarebbe di vedere se non trovasse un’anima di buona volontà chiamata da GESÙ a condividere la mia vita[23] – la vita dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù – senza nessun addolcimento, che sia pronto a soffrire tutto e disposto ad obbedirmi in ogni cosa buona… …Qualunque sia quest’anima di buona volontà, e in qualunque posto mi trovi, potrei farlo venire come inserviente, giardiniere…

Il secondo servizio è più facile: sarebbe di farmi copiare il regolamento dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore e d’inviarmelo per posta. Sono contento che lei conservi l’esemplare che ha, lo mette al riparo; la copia che ho a Beni-Abbès, Dio sa quando la ritroverò. Mi dispiace di non avere questo regolamento con me, perché è la mia guida e mi aiuta a camminare.

…Quest’anno, ogni giorno del mese del Sacro Cuore, nell’Hoggar è stata celebrata una messa… Preghi ancora e affretti con le sue preghiere l’ora che vi si stabiliranno un tabernacolo e un altare fisso… Preghi per la mia fedeltà: in mezzo a tante grazie di Dio, davanti a tanto bene da fare, ne ho tanto bisogno!

Prima di decidermi a lasciare il mio amico[24] e a restare con questo nuovo distaccamento, avevo esitato… Mi felicito tutti i giorni della decisione presa. Mai sono stato in così buone condizioni per fare l’opera di GESÙ. Ringrazio di cuore il buon Dio di avermi fatto restare[25]

Alla cugina Marie de Bondy – Uadi El Abiodh, 6 settembre 1904

Da quando ho cominciato questo secondo giro ho potuto celebrare la santa Messa tutti i giorni, senza eccezione… Il mio secondo viaggio sta per giungere al termine. Fra una dozzina di giorni – verso il 20 a settembre – arriverò probabilmente a In-Salah. Di là partirò immediatamente per il Nord, ma a piccole tappe, fermandomi un poco in ogni villaggio (ce ne sono circa 300) del Tidikelt, del Touat e del Gourara… Farò come mi sembrerà meglio, secondo le circostanze. È probabile che dovrò tornare qui sia quest’inverno sia la prossima primavera… Cercherò di fare come meglio potrò… Preghi per me, affinché faccia la volontà dell’unico amatissimo GESÙ… – Ho finito da poco la traduzione dei santi Vangeli in lingua tuareg: i Tuareg hanno una lingua ed una scrittura proprie, ma non hanno libri; la loro scrittura, per comodità, serve solo per brevi iscrizioni, o tutt’al più per brevi lettere; non esiste nessun libro in questa lingua: è per me una grande consolazione che il loro primo libro siano i santi Vangeli[26]

[Il 12 dicembre, finito ormai il viaggio verso Sud, Charles raggiunge i Padri Bianchi a Ghardaia (padre Guérin gli è venuto incontro a una giornata di cammino!). Vi rimane circa sei settimane per riposarsi, fare il ritiro anticipato del 1905, sistemare gli appunti presi in viaggio su possibili fondazioni di Padri Banchi[27]

Scrive intanto, per la prima volta, ad una giovane donna di Lione, Suzanne Perret[28], per avere un sostegno di preghiera e di offerta.] 

A Suzanne Perret – Ghardaia, 15 dicembre 1904

Mia sorella in Gesù, avendo gran bisogno di preghiere, vengo a cercarne, a chiederne nella mia famiglia – la famiglia intima del Cuore di Gesù[29]… Dopo l’ultima lettera che ho ricevuto da don A. Veyras, datata Venerdì Santo, gli ho scritto più volte senz’avere risposta; forse è malato, o ha cambiato indirizzo. Oltre a lui, lei è l’unica della nostra famiglia di cui io sappia l’indirizzo; perciò scrivo a lei, sentendo il bisogno ed avendo il dovere di raccogliere tutte le forze che posso trovare per l’opera di Gesù.

Nel rivolgermi a lei, le chiedo non soltanto il suo aiuto personale, ma di raccogliere anche lei tutte le forze che può per quest’opera di Gesù, che vedo così chiaramente dovere essere intrapresa, alla quale credo così fermamente di dover lavorare.

La prego quindi di mostrare questa lettera a don Crozier, la prego di chiedere, per l’opera di Gesù alla quale lavoro, aiuto, supplica, immolazione, a quei nostri fratelli e sorelle che Gesù le ispirerà.

L’opera a cui da molto tempo vedo di dover consacrare la mia vita è la formazione di due piccole famiglie che portino una il nome di “Piccoli Fratelli del Sacro Cuore di Gesù”, l’altra quello di “Piccole Sorelle del Sacro Cuore di Gesù”, aventi ambedue uno stesso fine, la glorificazione di Dio mediante l’imitazione della vita nascosta di Gesù, l’adorazione perpetua dell’ostia santa, la conversione dei popoli infedeli.

…Non conoscendo terre più sperdute, più desolate, più abbandonate, più prive di operai evangelici del Sahara e del Marocco, ho chiesto ed ottenuto l’autorizzazione di porre alla loro frontiera un Tabernacolo e di raggrupparvi alcuni fratelli nell’adorazione dell’ostia santa. Ci vivo da diversi anni – solo, fino ad oggi… Mea culpa, mea culpa, mea culpa: se il chicco di frumento che cade in terra non muore, resta solo; se muore, porta molto frutto… Io non sono morto, perciò sono solo… Preghi per la mia conversione, affinché morendo porti frutto.

Sono qui presso il buono e santo Prefetto apostolico del Sahara, che mi autorizza a lavorare a quest’opera nella sua Prefettura. Tra qualche giorno ritorno nella mia cella, vicino al Tabernacolo solitario, sentendo più vivamente del solito che Gesù vuole che io lavori per la fondazione di questa duplice famiglia… Lavorare per questa: ma come? Supplicando, immolandomi, morendo, santificandomi, in una parola amandoLo.

… “Nostro Signore ha fretta…”[30]. La sua vita nascosta, così povera, abietta e raccolta di Nazareth non è imitata… Adorare l’ostia santa, dovrebbe essere questa la cosa essenziale della vita di ogni essere umano… Il Sahara, grande otto o dieci volte più della Francia, e più popolato di quanto si creda, possiede tredici preti. Nell’interno del Marocco, grande come la Francia, e con una popolazione dagli otto ai dieci milioni di abitanti, non c’è un solo prete, non un tabernacolo, non un altare.

“Nostro Signore ha fretta…”. I giorni concessici per amarLo, per imitarLo, per salvare insieme a Lui le anime, passano: e non Lo si ama, non Lo si imita, non si salva.

Che lo Sposo, che il nostro Fratello Gesù la ispiri, la guidi, le insegni ad aiutarmi secondo la sua volontà.

In questo momento la Santissima Vergine, che portava dentro di sé il Bambino Gesù, andava con San Giuseppe da Nazareth a Betlemme attraverso le aspre strade di Israele e nella rigida stagione invernale. Qualche giorno dopo nostro Signore nasceva nella povera grotta. Quanta oscurità, quante sofferenze, quanta povertà al di fuori, all’apparenza! Ma quale abisso di felicità, di gloria, di luce al di dentro, nelle anime di Maria e di Giuseppe e soprattutto di Gesù! … Cercando, in questo sacro tempo, di unirmi al nostro Fratello Gesù ed ai nostri genitori Maria e Giuseppe, mi unisco anche con tutta l’anima, a tutti i nostri Fratelli e Sorelle della Famiglia del divin Cuore, ogni giorno porto al santo Altare il ricordo di nostro padre e di tutti i Fratelli e Sorelle; più che mai sarò con loro a Natale, unendomi a loro davanti al presepio. Farò ogni giorno per lei, mia sorella in Gesù, suppliche particolari: è la volontà dell’Amatissimo, dal momento che m’avvicina soprattutto a lei.

Se mi scrive, non risparmi i consigli. Mi dica tutto quello che vuole essere idoneo a dar gloria a Gesù… Mi parli come si parla nella grotta di Betlemme, e sotto il tetto di Nazareth.

Gesù sia con lei e viva in lei. Suo umile fratello in Gesù. – fr. C. di Gesù[31].

[Rientrato a Beni-Abbès dopo circa un anno di viaggio attraverso il Sahara, il 27 un telegramma gli annuncia la morte della madre di p. Guérin e gli scrive una lettera di grande tenerezza.]

A padre Charles Guérin – Beni-Abbès, 28 gennaio 1905

Amatissimo e veneratissimo Padre. Ricevo il suo doloroso dispaccio… È arrivato ieri sera. Stamattina, la messa è stata per quest’anima così cara – cara a lei – molto più cara al CUORE di GESÙ. …Non ha più bisogno di riposare… È entrata nel luogo dell’inondazione di pace, dove non c’è più né pianto, né piogge, né vento, né inverno, perché queste prime cose sono passate… Quando saremo lassù? Eccola per sempre – sempre, l’eternità – ai piedi del Maestro adorato… Oso appena pensarvi per me, a questo soggiorno di cui sono così indegno… Oseremmo averne la speranza, se Dio non ce ne facesse un dovere? … Le nostre miserie, le mie, sono tali! Ma il suo CUORE colma tutti gli abissi, annienta gli ostacoli… La speranza è la fede al suo CUORE… Prego, pregherò sempre, per questa cara madre, che conosco attraverso di lei, benché ella non ne abbia, spero, bisogno… Sant’Agostino pregò sempre per santa Monica: mi regolo su quest’esempio… La sua conversazione sarà sempre più in cielo… Vi troverà non soltanto l’Unico adorato, ma anche questa cara madre. Ormai, per lei, niente più distanza, niente più assenza; giorno e notte la sente, veglia su di lei, risponde con le preghiere alle sue questioni, alle sue domande. Per sua madre, la barriera è infranta, il muro crollato, la notte finita, “Il mio amore è mio ed io sono sua”[32]… Com’è felice! … E non spaventiamoci del vuoto che ha lasciato presso anime alle quali sarebbe utile: è il divino Maestro che ha fissato l’ora della sua partenza. Fa bene quello che fa; lui, che l’aveva donata, saprà donare altre cose e supplire con i mezzi che conosce… La separazione, per i pochi anni che le restano da vivere, è una croce, croce accettata con tutte le altre il giorno in cui ha detto a GESÙ che l’ama: croce apparente, perché la gioia della beatitudine di quest’anima tanto amata, la conversazione ogni giorno più intima e continua con lei, l’aspirazione crescente all’unione totale con GESÙ, la fatica crescente della vita terrestre, non le lasciano presto altro che la gioia di sentirla accanto a GESÙ e il desiderio di raggiungerla.

Sono arrivato qui il 24… Contavo di scriverle a lungo oggi e di completare la mia risposta a mons. Livinhac, non ancora partita… La visita a Beni-Abbès del generale Lyautey, arrivato oggi e che riparte dopodomani per Ain-Sefra, mi ha impedito di scriverle… Le scriverò, a lei e a monsignore, con il prossimo corriere.

GESÙ è nel suo piccolo tabernacolo di Beni -Abbès dal 25 mattina. Gioia profonda. “Venga il tuo Regno!”.

Se mi trova un compagno, è inteso che non lo voglio che a tre condizioni: essere pronto ad avere la testa tagliata, a morire di fame, a obbedirmi in tutto ciò che è bene; inoltre bisognerà che venga come giardiniere.

Baciamo la croce che GESÙ invia… Più ci siamo attaccati, più siamo uniti a GESÙ che vi è inchiodato. Non si può, in questa vita, stringere GESÙ se non stringendo la croce… E benediciamo per la beatitudine dell’anima amata[33]

[Il generale Hubert Lyautey (1854-1934), che rivolgeva i suoi interessi al Marocco (e vi entrerà nel 1912), comandava la divisione d’Ain-Sefra dall’ottobre 1903. Non aveva mai incontrato de Foucauld, ma era amico di suo cugino Louis e del cognato Raymond de Blic. Forse interessato dalle conoscenze di Charles, passa a Beni-Abbès 36 ore e la domenica 29 gennaio 1905 assiste alla messa nella “fraternità”. In seguito, racconterà:      

               “Abbiamo cenato insieme, con gli ufficiali, il sabato, nella ridotta. Dopo cena fu messo un fonografo che tirò fuori canzoni montmartresi. Guardavo Foucauld, dicendomi, ‘uscirà’. Non uscì, rideva perfino. L’indomani, domenica, alle 7, gli ufficiali ed io, assistemmo alla messa nell’eremo. Una catapecchia, quell’eremo! La sua cappella, un miserabile corridoio a colonne, coperto di cannicci! Per altare, un asse! Per decorazione, un pannello di cotone con un’immagine di Cristo, dei candelabri di latta[34]! Avevamo i piedi nella sabbia. Ebbene! non ho mai visto dire una messa come la diceva Padre de Foucauld. Mi credevo nella Tebaide. È una delle più grandi impressioni della mia vita”[35].

Ad un signore che lo mette in guardia sui pericoli del Sahara, ricordandogli la sorte dell’amico comune Antoine de Morès, che era stato collega di Charles a Saint-Cyr e soprattutto alla Scuola di Cavalleria di Saumur (1878-79), massacrato l’8 giugno 1896 nel deserto dalle guide Tuareg, Charles scrive una lettera premonitrice.]

Al marchese de la Rochethulon – Beni-Abbès, 18 marzo 1905

Caro amico, monsignor Livinhac mi trasmette il suo biglietto. Sì, sono in mezzo a questi popoli che hanno ucciso il mio amico, e lo vendico rendendo il bene per il male, cercando di dar loro la vita eterna.

Quel caro Morès[36], al quale penso, per il quale prego tutti i giorni, mi aiuta in questo. In cielo, in seno alla carità immensa in cui è annegato, non ha altro che preghiere e amore per questi musulmani che hanno versato il suo sangue e forse verseranno il mio. Ma lavoriamo insieme, lui lassù, glorioso, io quaggiù alla stessa opera di salvezza e d’amore. Ci aiuti con le sue preghiere! … – Charles de GESÙ (Foucauld)[37].

[In Francia si susseguono le chiusure dei conventi, e la libertà d’insegnamento per le scuole primarie è soppressa.]

A padre Guérin – Beni-Abbès, 21 marzo 1905

… Nello stato attuale della nostra povera Francia, anche se lei ottiene di fondare delle case di padri o di suore, non otterrà che di fondarne un piccolo numero. Se anche ottenesse di fondarne molte, mettendo tutto al meglio, la loro durata sarebbe dubbiosa, su un territorio così profondamente perturbato. Credo che ci sarebbe modo di formare “incognito” degli operai e operaie apostolici propri ad andare sotto l’abito laico, chi come commerciante, chi come colono coltivatore, a portare in segreto GESÙ lontano… Che questi commercianti, questi coltivatori, facciano venire, una volta stabiliti, le loro sorelle per aiutarli, niente di più semplice… Ci vorrà, è evidente, prudenza; ma è fattibile, poiché non è altra cosa che la vita dei primi cristiani, di Paolo fabbricante di tende, di Pietro che conduce una sorella con lui[38]

[Torna presto l’appello di Laperrine per una nuova spedizione nell’Hoggar guidata dal capitano Dineaux. Charles esita, ma questa volta è p. Guérin, dopo aver consultato in Francia don Huvelin il 19 aprile, che gli scrive, per telegramma militare: “Saremmo propensi ad accettare l’invito, lasciandola libero di considerare l’opportunità secondo le circostanze”. Charles scrive subito a Laperrine pregandolo di scrivergli se è bene partire e se fa ancora in tempo.  Quando arriva il telegramma del comandante, Charles (il 3 maggio 1905) si è già messo in cammino approfittando di un’occasione insieme a Paul Embarek[39]…]

Scriveva in una meditazione il 22 aprile 1905, Sabato Santo, l’indomani del telegramma di padre Guérin:

Tu sei un servo inutile. Devi fare con tutte le tue forze, con ogni cura e ardore possibile non soltanto tutto quello che Egli comanda, ma tutto ciò che ti consiglia, per leggero che sia; tutto ciò che Egli propende, sia pur di poco, a vederti fare: per amore, per obbedienza, per imitazione: così Egli obbediva alla minima indicazione del Padre suo ed è l’obbedienza che tu gli devi, è così che si obbedisce quando si ama: una tale obbedienza è inseparabile dall’amore. Ma è tanto certo che devi obbedire così e lavorare, con tutte le tue forze, in tutti gli istanti della tua vita, all’opera, alle opere, che Dio ti dà da fare, quanto è certo che sei un servo inutile, che ciò che fai, Dio potrebbe farlo fare da altri, o senza nessun altro, in tutti i casi senza di te: tu sei un servo inutile. Gesù ha vissuto soltanto trentatré anni e ha taciuto per trenta, e la tua vita, la tua salute, le tue parole sarebbero utili a Dio? Tu sei un servo inutile: lavora con tutte le tue forze: è un dovere d’imitazione, d’obbedienza, d’amore: così si lavora quando si ama, questo lavoro è inseparabile dall’amore, ma del tuo lavoro Dio non ha bisogno: sei un servo inutile[40]

[1] La decisione di seguire Laperrine, presa in questo “mese del Sacro Cuore”. Il 24 giugno aveva già scritto a p. Guérin dei suoi progetti, indicando, per un’eventuale insediamento tra i Tuareg, che vi avrebbe costruito una celletta con un oratorio “ma senza clausura”, per essere “in relazioni sempre più intime con i Tuareg” (CS, p. 195; cf. CBA, 22 luglio 1903, p. 77).

[2] Charles si sapeva lasciar condurre dalle circostanze (cf. CS, p. 203) come segno inequivocabile della volontà di Dio.

[3] In realtà passeranno anche più di due anni senza poter raggiungere un altro prete.

[4] CS, 197-199.

[5] Stagione è sottolineato tre volte e la citazione è di Lc 16, 8.

[6] CS, 212-213. Si noti l’importanza di quest’argomento: quello che aveva vissuto in Marocco rimaneva un punto di riferimento!

[7] Cf. VN, p. 156-160.

[8] CS, p. 222.

[9] La domanda è riprodotta integralmente in appendice a LAL, p. 120-125 e in CCDP, p. 318-322.

[10] CS, p. 227 e ss.

[11] “Dio è più grande” o “il più grande” è la proclamazione di fede dell’Islam, ripetuta cinque volte al giorno, lanciata a incitare alla “guerra santa”. Charles usa quest’espressione soltanto con de Castries, il solo che può comprendere, essendo studioso dell’Islam e appassionato del mondo nordafricano. Solo a de Castries aveva confessato la “seduzione” lo “sconvolgimento” provocato in lui dall’Islam (8 e 15 luglio 1901, LHC, p. 86-91), e gli aveva confidato la storia della sua conversione, così legata all’Islam nei suoi inizi (14 agosto 1901, LHC, p. 92-101). Ha sapore islamico anche la famosa confessione: “…la mia vocazione religiosa data della stessa ora della mia fede: Dio è così grande! C’è una tale differenza tra Dio e tutto quello che non è Lui!” (LHC, p. 96-97).

[12] LHC, p. 144-145.

[13] LAH, 13 dicembre 1903, p. 181.

[14] CS, p. 262. Charles tornerà a Beni Abbès nel gennaio dell’anno successivo. Si possono seguire tutte le tappe di questo primo viaggio in CBA, p. 87-168. Si noti che, dal 1904 alla morte nel 1916, Foucauld percorrerà 25.000 chilometri di deserto quasi tutti a piedi! Si possono seguire tutte le tappe di questo primo viaggio in CBA, p. 87-168.

[15] LMB, p. 109. Sembra ricongiungersi, con Agostino e Monica, il filo spezzato dall’Islam.

[16] Cita a memoria, inesattamente, Is 8, 6: le acque di Siloe che scorrono in silenzio. Cf. CS, p. 263-264.

[17] CBA, p. 101-105. Per il riferimento latino cf. Atti, 10, 34, che cita a memoria non esattamente.

[18] CBA, p. 110. Cf. anche Col 3,3.

[19] Cf. CS, p. 270.

[20] Apprivoiser: si traduce secondo il senso, non alla lettera. Non esiste un termine perfettamente corrispondente: più che “addomesticare” o “ammansire” si potrebbe tradurre, come spiega Antoine de Saint-Exupéry nel Piccolo Principe, con creare legami (cf. ed. Bompiani, Milano 1976, p. 95-96). Fr. Charles, del resto, assocerà sempre questo termine a “prendere contatto, mettersi in relazione, fiducia, amicizia, pacificare, fraternizzare” e simili (cf. CS, p. 260, 263, 268, ecc.).

[21] LHC, p. 152-155.

[22] O tamasheq, o trascrizioni simili: la lingua tuareg.

[23] Prima aspettava dei fratelli, ora si accontenta di uno. I tentativi fatti anche presso i Trappisti di Staueli non erano andati in porto. Ma non si stancherà di tornare alla carica.

[24] Il comandante Laperrine.

[25] C S, p. 272-74.

[26] LMB, p. 112-113. Si accorgerà presto, progredendo nella conoscenza della lingua, che i Vangeli sono molto mal tradotti: penserà di correggerli quando la lingua sia ulteriormente perfezionata, ma non ne avrà mai il tempo. Questa lettera è scritta di passaggio dal luogo dove sorgerà la prima fraternità dei Piccoli Fratelli di René Voillaume nel 1933, il centro da dove era divampata la sommossa antifrancese sedata dalla campagna del 1881-82 a cui aveva partecipato Foucauld.

[27] Cf. CS, p. 301.

[28] Suzanne Perret (1874-1911), segnata dalla povertà e dalla malattia, era discepola dell’abbé Antoine Crozier (1850-1916). Crozier, grande maestro spirituale, dopo aver passato alcuni anni nel “Prado”, aveva infatti riunito attorno a sé, in maniera informale, persone che volessero dedicarsi a una vita di fede profonda e di offerta. Per loro aveva scritto alcuni libri di consigli spirituali, tra i quali Excelsior, e uno di loro, l’abbé Veyras del Seminario Maggiore di Nîmes (in contatto con Notre-Dame des Neiges), lo inviò nel 1903 a Foucauld. Trovandovi espresse le sue convinzioni profonde, si mise in contatto con l’autore, che incontrò in seguito nei suoi viaggi in Francia nel 1911 e nel 1913, e iniziò a corrispondere con alcuni suoi discepoli, tra i quali appunto Suzanne Perret, che subito offrì le sue sofferenze a fr. Charles, come gli scrisse seguito. Per conoscere l’abbé Crozier, si legga AAD, p. 92-95. Charles ricorderà in seguito l’anniversario della sua morte, il 17 giugno, come risulta dalle” date anniversarie intime”, in VN, p. 185.

[29] Era la famiglia spirituale dell’abbé Crozier, della quale fr. Charles era diventato membro.

[30]  Riferisce, probabilmente, una frase dell’abbé Crozier.

[31] Citata per intero in OS, questa lettera è presentata qui in una diversa traduzione dall’originale.

[32] Ct 2, 16.

[33] CS, p. 310-312.

[34] In realtà erano di legno dipinto.

[35] B, p. 261.

[36] De Morès era uno dei pochi amici di cui segnala la data della morte in un quadernetto di note e date da ricordare, riprodotto in VN, p. 181 e ss.  (la data della morte di Morès è a p. 185).

[37] Lettera citata integralmente nel volume di George Gorrée Les Amitiés Sahariennes du Père de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, p. 376, in nota, dove è datata, però, 1903, come nel BACF n. 145, janvier 2002, p. 5, mentre altri, citandola in parte, la datano più realisticamente 1905, come J.F. Six, Vie de Charles de Foucauld, Seuil, Paris 1962, p. 126.

[38] Allusione ad Atti 18, 3 e 1Cor 9, 5. L’idea di un apostolato “laico” va maturando. Cf. CS, p. 325.

[39] CS, p. 335-336.

[40] SG, p. 252-253.

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