Lettere da Nazareth

Charles de Foucauld – Dalle “Lettere e meditazioni.”

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

3. Lettere da Nazareth.

 In questo periodo, in cui sovrabbondano gli appunti personali, la corrispondenza si fa rara: Charles vuole il silenzio e l’oscurità. Ai rari corrispondenti non dà indirizzo, ma si fa scrivere fermo posta, sopprimendo il de aristocratico del cognome o addirittura il cognome stesso, quando, dall’inizio del 1899, comincerà a farsi chiamare “fratel Charles di Gesù”. Oltre alla cugina Marie de Bondy, alla sorella Marie de Blic, al direttore spirituale don Huvelin, vengono inclusi tra i suoi corrispondenti: l’abate generale della Trappa (dom Sebastien Wyart), l’abate di Staueli (precedentemente di Akbès) dom Louis de Gonzague e p. Jérôme. Proprio perché quest’ultimo gli sta particolarmente a cuore, rivolgendosi a lui come a un figlio spirituale, le lettere riflettono lo stile e i contenuti delle sue meditazioni.

A padre Jérôme – Nazareth, 31 maggio 1897

GESÙ sia sempre con lei, tanto caro Padre[1]!

Carissimo padre, le voglio bene, prego per lei. Non le voglio scrivere a lungo: siamo così uniti tenendoci tutti e due ai piedi del Tabernacolo! È lì che ci dobbiamo trovare. Siamo uno in GESÙ. TeniamoGli sempre più compagnia nel Santo Sacramento. Esaliamo lì, davanti a Lui, come la piccola lampada. E chiediamoGli una sola cosa, che viva in noi, che ci faccia pensare i Suoi pensieri, parlare le Sue parole e fare le Sue azioni. Cessiamo di essere e viva Lui in noi.

Le voglio dire una cosa: se mai avesse una pena, una difficoltà, si ricordi che ha in me un fratello, il più amante, il più tenero, il più devoto, e mi scriva a lungo attraverso don Huvelin, 6, rue Laborde, Paris. Le risponderò, compatirò, pregherò per lei. Se non riceve risposte, è perché suo fratello non sarà più in questo mondo: preghi allora per il riposo della sua anima.

Dal più profondo del cuore, supplico il Signore di farle la grazia di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto lo spirito e con tutte le forze. Possa glorificare perfettamente il nostro Amatissimo GESÙ Amen. – fr. Marie Albéric[2]

A padre Jérôme – Nazareth, 30 settembre 1897, festa di San Girolamo

… Buona festa! Le mando per la sua festa una poesia che ho letto qualche tempo fa, che ho trovato bella e che, mi sembra, le andrà. Esprime una parte dei sentimenti che deve desiderare di avere. Una parte, perché se la nostra anima deve essere riempita di un dolore grande come il mare al pensiero delle sofferenze di Gesù e a quello dei peccati degli uomini, deve anche traboccare della gioia della beatitudine infinita di Dio e della gloria degli abitanti del cielo. Abisso di gioia e abisso di dolore, è quello che è stata sempre l’anima del Maestro, è quello che deve essere la nostra e più ameremo più la gioia e il dolore saranno intensi tutti e due. Cresceranno insieme, perché partono dalla stessa fonte: sono questi due fiumi d’acqua viva che zampillano dal seno di quelli che credono in Gesù. Uniamoci alle gioie e ai dolori di questo Sposo amatissimo, mio caro fratello, conformiamo le nostre anime alla Sua, chiediamoGli questa conformità, questa unità, Egli la vuole, Lui, che nell’ultima notte che passò in questo mondo ha istituito quel sacramento divino che ci unisce così strettamente a Lui, carne a carne e anima a anima, e che poi, in quell’ultima preghiera ha tanto chiesto al Padre suo che siamo uno insieme e uno con Lui, e “consumati nell’unità”[3].

…Cerchiamo dunque di fare uno con Gesù, di riprodurre la sua vita nella nostra, di gridare la sua dottrina sui tetti coi nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, di farLo regnare in noi, vivere in noi! Se ci dona delle gioie, accettiamole con riconoscenza, il buon Pastore ci dà queste erbe dolci per fortificarci e renderci capaci di seguirlo in seguito nei cammini aridi. Se ci dona delle croci, baciamole, “bona crux” è la grazia delle grazie, è camminare più che mai la mano nella mano di Gesù, è alleviarlo portando la sua croce come Simone di Cirene, è il nostro Amatissimo che ci invita a dichiararGli e a provarGli il nostro amore. Pene dell’anima, sofferenze del corpo, “rallegriamoci e esultiamo di gioia”[4], Gesù ci chiama, ci dice di dirgli che L’amiamo, e di ripeterGlielo per tutto il tempo che dura la nostra sofferenza. Tutte le croci grandi o piccole, anche tutte le contrarietà, sono un appello dell’amatissimo. Ci chiede una dichiarazione d’amore, e una dichiarazione che duri tanto tempo quanto la croce. Oh! come pensando questo, si vorrebbe che la croce durasse sempre! Durerà quanto vorrà Gesù. Per quanto dolce, per quanto sia amata, non la vogliamo se non quando Gesù la vuole per noi. La Tua volontà, fratello, e non la nostra. Non vogliamo pensare a noi più che se non esistessimo: noi non penseremo che a Te, nostro sposo Amatissimo! Non vogliamo il nostro bene, vogliamo il tuo. Non chiediamo niente per noi, ti chiediamo la tua gloria: il tuo Nome sia santificato, venga il tuo Regno, sia fatta la Tua Volontà in tutti i tuoi figli, in tutti gli uomini; sia fatta in noi; che ti glorifichiamo il più possibile durante tutta la nostra vita, facciamo la tua volontà, consoliamo il più possibili il tuo Cuore. È tutto quello che ci è necessario, è tutto quello che vogliamo. Eccoci ai tuoi piedi, fa’ di noi quello che ti piacerà, o questo o quello, a tuo gradimento, non abbiamo volontà, non desideri se non il compimento della Tua Volontà, del Tuo bene, della Tua Gloria, e la consolazione del Tuo divin Cuore.

Possiamo, mio amatissimo fratello, essere consumati nell’unità, essere uno nel Suo amore, essere uno insieme e uno in Lui, nel tempo e nell’eternità. Questo Amatissimo Sposo delle nostre anime stringa ogni giorno i legami che ci uniscono per sempre a Lui, e ci faccia la grazia di consolare il più possibile il Suo Sacro Cuore in tutti gli istanti della nostra vita.

Suo fratello che l’ama in Gesù. – fr. Marie Albéric[5].

[Dopo una prima tentazione a tornare in Francia e questuarvi per le Clarisse che vede troppo povere, Charles confessa a don Huvelin che, avvicinandosi l’anniversario dei suoi primi voti, subisce un’altra tentazione: quella di tornare alla Trappa di Akbès, dove l’avrebbero fatto superiore entro due anni… È una tentazione che dura diversi mesi e che lo porta a pensare anche al sacerdozio… Don Huvelin lo invita più volte a rimanere e a consolidarsi, finché non abbia indicazioni più precise[6]…] 

A padre Jérôme – Nazareth, 28 gennaio 1898, S. Cirillo d’Alessandria

Mio carissimo padre, mio buon fratello in Gesù, siamo ancora nel tempo di Natale; di corpo sono a Nazareth (che non ho lasciato dalla mia ultima lettera), ma di spirito è più di un mese che sono a Betlemme; è dunque accanto al presepio, tra Maria e Giuseppe che le scrivo. Ci si sta così bene! Fuori è il freddo e la neve, immagine del mondo. Ma nella piccola grotta, illuminata da Gesù, come si sta bene! Com’è dolce, calda, luminosa! Il nostro caro Padre Abbate vuole sapere quel che mormora il dolce bambino Gesù da un mese quando Lo guardo, quando veglio ai suoi piedi la notte tra i Suoi Santi Genitori, quando viene tra le mie braccia, sul mio cuore e nel mio cuore con la Santa Comunione. Ripete: “Volontà di Dio; Volontà di Dio”. “Ecco io vengo: è scritto di me in testa al libro dei miei destini che farò la Tua Volontà[7].Questa è stata la mia prima parola entrando nel mondo, più tardi quando mi domanderanno: “Come bisogna pregare?”, dirò: “Dite: Sia fatta la Tua Volontà”[8]. Morendo, la mia ultima parola sarà “Rimetto la mia anima nelle tue mani, alla tua volontà”[9] … Così, sempre, sempre, sempre, obbedienza [al direttore spirituale], in tutto quello che non è peccato. Obbedire ciecamente al tuo superiore, al tuo direttore, non in vista di loro, ma in vista di me, per fare la mia volontà, è il solo, l’unico mezzo di glorificarmi: glorificarmi è il fine, è il fine di ogni creatura, è il fine di ogni spirito in questa vita e nell’altra. “Omnis spiritus laudet Dominum[10], “Sanctificetur Nomen Tuum”. – “Padre glorifica il Tuo Nome”[11]. La Volontà di Dio, e la volontà di Dio mediante l’obbedienza”, ecco quel che mi ripete, mi mormora dolcemente la voce amatissima del divino bambino Gesù.

Ecco il mio Natale, mio buon fratello in Gesù, o almeno ecco il regalo di Natale, la dolce parola che ma ha dato il dolce bambino Gesù. Ancora qualche giorno da passare ai suoi piedi in questa carissima grotta, poi l’accompagneremo al tempio, lì offriremo tutta la nostra anima a suo Padre con Lui e per Lui, per i suoi Santi Genitori, così lo pregheremo di offrirci a Dio come dei fratelli minori[12] di Gesù, contemporaneamente a Lui, per fare anche noi la volontà di Dio, qualunque essa sia, come ce lo indicherà l’obbedienza, lo pregheremo di offrirci col nostro “fratello maggiore” per essere come lui “agnello di Dio”, agnelli “come immolati”[13] morti tra le Sue mani, ai Suoi piedi, perché faccia di noi tutto quello che vuole[14]

A padre Jérôme – Nazareth, 15 febbraio 1898

…Le mando oggi per raccomandata all’indirizzo del nostro Reverendo Padre le mie meditazioni sul Santo Vangelo. Lasciando Roma non volevo più scrivere niente. Ma mi sono trovato in tali aridità[15], in una tale impossibilità di pregare, che ho chiesto al mio direttore se bisognava continuare a non scrivere, o a riprendere le meditazioni scritte: mi ha risposto: “Scriva le sue meditazioni: è una buonissima maniera di meditare: ed è particolarmente utile per lei, perché serve a fissare i pensieri”. Scrivo perciò tutte le sere. Troverà un po’ di differenza tra queste meditazioni e le altre: queste sono spesso delle orazioni, delle conversazioni familiari col divino sposo delle nostre anime, io Gli dico tutto quello che ho da dirGli, è molto intimo, ma per lei non voglio avere segreti, caro fratello in Gesù. Vedrà il fonda della mia anima in cielo, perché non cominciare già da ora? Le chiedo soltanto di conservare questi quaderni, affinché nel caso che in seguito ne abbia bisogno, glieli possa chiedere: penso di non farlo, ma preferisco che abbiamo questa cura, perché parecchie volte ho distrutto delle serie di meditazioni di questo genere, e dopo me ne sono pentito, vedendo che mi sarebbero state utili. Glielo dico perché possa approfittare della mia esperienza. Conservi gli appunti di ogni genere: più tardi, al momento che meno si aspetta, questa o quella serie di appunti è utilissima: tenga tutto con ordine, e non distrugga: è quello che faccio in questo momento.

Indifferenza anche per restare a Staueli o andare dove Dio vorrà. …Ma posso aggiungere una cosa, è che sono entusiasta vedendo che è definitivamente stabilito che lei non farà questo servizio militare che è così poco appropriato ai discepoli di Gesù; e un’altra cosa, è che se non può restare a Staueli, sarei felicissimo di vederla dai Cappuccini che sono il fiore dell’ordine dei Francescani, ferventi, poveri, austeri, uomini di preghiera. E sarei anche contento di vederla in quel Libano, terra biblica, di cui parla ad ogni riga il Cantico.

…Faccia una cosa che faccio io, nelle feste della Santa Vergine[16], prendo sempre un’omelia di qualche Padre della Chiesa, in francese o in latino, su questa festa o su un’altra ma un’omelia sulla Santa Vergine, e andando in chiesa la leggo lì, il più vicino possibile al Santissimo Sacramento, ne leggo o diverse pagine oppure soltanto due righe, più o meno: quando il buon Dio mi spinge a passare dalla lettura all’orazione, seguo questo movimento. Se l’orazione langue, riprendo il libro; se non viene lo tengo; se scende su di me e se la Santa Vergine mi mantiene in questo stato di dolci orazioni ai suoi piedi, poso il libro e non lo riprendo. Le consiglio questo mezzo per festeggiare nostra madre, facendoci condurre a lei da uno di questi grandi che si chiamano Dottori della Chiesa, – e andando a cercarla presso suo Figlio, nel Santissimo Sacramento[17]. …

A p. Jérôme – Nazareth, 19 maggio 1898, lunedì dopo l’Ascensione

Grazie, mio caro Padre, della sua buona lettera del 15 aprile; grazie dei preziosi ricordi di Subiaco. Sì, sono i grandi esempi che ci dà San Benedetto, “lasciare le cose vane ai vani, chiudere la porta e chiamare Gesù”, è quello che deve fare in questo momento, giovane minore della Santa Vergine, aspirando quando piacerà a Dio agli ordini maggiori, desiderandoli, perché la uniranno a Dio sempre più e la renderanno atta a glorificarLo sempre più, desiderando che vengano quando Dio vorrà, “La Sua volontà e non la nostra”, ma se Egli lo lasciasse in qualche modo alla sua scelta, preferendo che sia tardi invece che presto, al fine di prolungare il tempo di preparazione e di riceverli più degnamente[18]. È in questo tempo di preparazione che si trova, mio caro Padre; è un periodo estremamente grave, estremamente importante della sua vita, il tempo in cui si deve preparare col raccoglimento, il silenzio interiore, la solitudine, l’allontanamento più grande che mai dalla creature a ricevere la grazia di Dio e a fare il vuoto in lei perché Egli possa possederla, riempirla tutto intero. “Aperi os tuum et implebo illud, [19], perché Dio possa riempire la nostra bocca, bisogna che sia vuota. La sua occupazione in questo momento, è di vivere solo con Dio solo, è di stare fino al suo Sacerdozio come se fosse solo con Dio nell’universo. Bisogna passare per il deserto[20] e soggiornarvi per ricevere la grazia di Dio: è là che ci si svuota, che si caccia via da sé tutto quello che non è Dio e si svuota completamente questa casetta della nostra anima per lasciare tutto il posto a Dio solo. Gli Ebrei sono passati per il deserto, Mosè ci ha vissuto prima di ricevere la sua missione, San Paolo all’uscita da Damasco è stato a passare tre anni in Arabia, il suo patrono San Girolamo, San Giovanni Crisostomo si sono anche loro preparati nel deserto. È indispensabile. È un tempo di grazia. È un periodo dal quale tutte le anime che vogliono portare frutto devono necessariamente passare; hanno bisogno di questo silenzio, di questo raccoglimento, di quest’oblio di tutto il creato in mezzo a cui Dio stabilisce in lei il suo regno, e forma in lei lo spirito interiore, la vita intima con Dio, la conversazione dell’anima con Dio nella fede, la speranza e la carità. Più tardi l’anima produrrà dei frutti esattamente nella misura in cui si sarà formato in lei l’uomo interiore. Se questa vita interiore è nulla, anche con tutto il suo zelo, le sue buone intenzioni, tanto lavoro, i frutti saranno nulli: è una fonte che vorrebbe dare la santità agli altri ma che non può non avendola. Non si dà se non quello che si ha: ed è nella solitudine, in questa vita soli con Dio solo, in questo raccoglimento profondo dell’anima che dimentica tutto il creato per vivere sola nell’unione con Dio, che Dio si dà tutto intero a colui che si dà così tutto intero a Lui. Si dia tutto intero a Lui solo, mia amatissimo Padre, durante questi anni di preparazione, di grazie, e Lui si donerà tutto intero a lei. In questo, non tema di essere infedele ai suoi doveri verso le creature, è al contrario, il solo mezzo per lei di servirle efficacemente: guardi San Paolo, San Benedetto, San Patrizio, San Gregorio Magno, tanti altri, che lungo tempo di raccoglimento e di silenzio! Salga più alto: guardi San Giovanni Battista, guardi Nostro Signore. Nostro Signore non ne aveva bisogno ma ha voluto darcene l’esempio. Rende a Dio ciò che è di Dio. Creda bene che in questo momento almeno fino al suo Sacerdozio, probabilmente, tutto il tempo che la santa obbedienza le permetterà. La Sua Volontà per lei è che si occupi di Lui solo, non dico non amando gli altri, amandoli in fondo ardentemente in vista di Lui, ma per il momento e per diversi anni dimenticandoli completamente, non vedendoli per così dire che in sogno, e vivendo, non posso ripeterlo a sufficienza, nell’universo come se fosse solo con Dio solo. Più tardi Dio le comanderà altro: ma quello lo domanda da lei in questo momento. Guardi per così dire tutti gli uomini, tutti, come non esistessero, salvo uno solo, il suo buono e caro Padre Abate[21] con il quale bisogna al contrario comunicare frequentemente e al quale bisogna aprire pienamente e continuamente la sua anima, come farebbe con Gesù stesso, poiché è insieme il suo direttore e il suo superiore e rappresenta perciò pienamente Dio per lei. È continuamente come il rappresentante di Dio per le che deve vederlo, cioè di quale rispetto, di quale amore, di quale obbedienza lo deve circondare! Oh! com’è bella questa vita di fede, mio amatissimo Padre. Possa condurla perfettamente, compiere esattamente in tutti gli istanti della sua vita quello che Gesù chiederà da lei e così glorificarLo perfettamente in questo mondo e nell’altro. Amen, Amen, Amen.

La grazia di Nostro Signore Gesù sia con lei. Il suo indegno fratello che l’ama nel Sacro Cuore di Gesù. – fr. Marie Albéric[22].

[Durante un primo soggiorno nel luglio 1898 presso le Clarisse di Gerusalemme, la badessa lo incoraggia a trovarsi un compagno… Charles, nonostante la perplessità di don Huvelin, va alla ricerca di un ex novizio di Akbès, orientale, che era tornato in famiglia. Ma il giovane non lo vuole seguire e il 4 ottobre Charles è di nuovo a Gerusalemme.

Il 15 ottobre 1898, festa di Santa Teresa d’Avila, Charles, che si trova ancora presso le Clarisse di Gerusalemme, scrive a don Huvelin per raccontargli l’incontro con la badessa che lo incoraggia ad essere prete ed eventualmente loro cappellano… E gli confessa: “Che cosa c’è in fondo alla mia anima? Sicuramente un desiderio segreto e istintivo di fondazione religiosa, di cui non ho mai parlato a nessuno eccetto che a lei”[23]. Lo precisa in una lettera successiva.]

A don Huvelin – Gerusalemme, 22 ottobre 1898

…Ciò che sogno in segreto, senza confessarmelo né permettermelo, anzi respingendo tale sogno che ritorna continuamente e che le confido affinché possa conoscere a fondo la mia anima, ciò che sogno istintivamente è qualcosa di elementare e poco comune, somigliante alle prime semplicissime comunità degli antichi tempi della Chiesa: alcune anime raccolte per condurre la vita di Nazareth e vivere del loro lavoro, praticando le virtù di Nazareth, nella contemplazione di Gesù… piccola famiglia, piccolo focolare monastico, piccolissimo, semplicissimo; per nulla benedettino[24]

[Il 22 gennaio 1899, festa della Sacra Famiglia, Charles invia da Gerusalemme a don Huvelin un quadernetto, scritto il 6 gennaio davanti all’Eucarestia, che contiene il Regolamento provvisorio degli “Eremiti del Sacro Cuore”, su cui, il 2 febbraio vuole pronunciare i voti[25]. Rientra a Nazareth, vincendo la “tentazione” di Gerusalemme, ma la ricerca continua.]

A dom Martin, abate di Notre Dame des Neiges – Nazareth, 29 dicembre 1899

Mio veneratissimo e amatissimo Padre, ci voleva proprio questo per farmi uscire dal silenzio? Ho ricevuto stamattina la triste notizia[26]. Quanto sono commosso, è quello che sente anche lei, mio Reverendo e caro Padre. Saranno il 16 gennaio dieci anni da quando sono arrivato a N.D. des Neiges, e in questo mese di dicembre sono nove anni che sono sotto l’ala di questo buono, di questo eccellente Padre Louis de Gonzague: i ricordi delle sue le virtù, di tutto quello che l’ho visto essere, di quello che è stato per me, per tutti, durante questi nove anni, così presente al mio spirito; non posso trattenere né l’emozione né le lacrime. Lei lo conosce meglio di tutti, che rimarcava in lui soprattutto quella rettitudine assoluta d’intenzione. Poiché “il suo occhio fu semplice” speriamo che ora “tutto il suo corpo sia nella luce”[27]; a momenti piango, lasciandomi prendere dall’emozione al ricordo del suo caldo affetto, del suo cuore paterno, delle sue virtù; a momenti sorrido, dicendomi che dopo una tale vita, e aiutato da tante preghiere e dai Santi Sacrifici, è già nella Patria! …Mi parlava molto di lei nell’ultima lettera: doveva venire a trovarmi: l’aspettavo tutti i giorni. Mi sento più vicino a lui di quando era sulla terra; non ho più bisogno di dire che gli voglio bene; lo vede; è la dolcezza della solitudine: separa in apparenza, non in realtà, perché non mi ha mai separato da lei, dai viventi, ma essa unisce ai morti.

Lei sa che ho lasciato a N.D. des Neiges buona parte del mio cuore: sa che non scrivere non è sinonimo di non amare: dia mie notizie, senza dire dove sono (per evitare le lettere e i discorsi, perché non mi si scriva e non si parli di me – silenzio e vita nascosta, seppellimento), ma dicendo loro che li amo con tutto il cuore e che prego ogni giorno per loro.

…  Lei sa, carissimo Padre, non ho niente di nascosto: mi trovo, dal mio arrivo in Terrasanta, domestico, o piuttosto operaio, giornaliero, dalle Clarisse di Nazareth: ho l’indipendenza di un operaio, lavorando alle mie ore e accettando solo i lavori che voglio, come l’operaio figlio di Maria; regolo il mio tempo in maniera tale da guadagnare onestamente il pane e il resto del tempo sto davanti al Santissimo Sacramento: le buone Clarisse (vere sorelle per me, che hanno tanta bontà che ne sono toccato in fondo al cuore, il buon Dio mi fa bere del latte)mi forniscono il lavoro, e in forma di pagamento mi danno non del denaro ma tutto quello di cui ho bisogno, alloggio[28] e assolutamente tutto: non esco mai dal convento: sono come in clausura e mantengo il silenzio; è il buon Dio stesso che mi ha condotto come per mano in questo nido che sembra aver preparato per me. Vi ho trovato un raccoglimento, un ritiro di cui non posso benedirlo abbastanza, con quella povertà, quell’abiezione d’operaio così a lungo desiderata. Eccola al corrente della mia semplicissima vita che si va seppellendo sempre più.

A Dio, a Gesù, mio venerato e amatissimo Padre! Che dolorosa causa mi ha fatto scriverle, ma essa sarà più tardi per noi tutti, ed è già per colui che amiamo, spero, motivo di gioia incomparabile: “Qui sement in lacrimis in exultatione metent[29] … – fr. Charles.

 

[1] Questa o simile intestazione verrà sostituita con il cuore e la croce e JESUS, e infine, a partire dal febbraio-marzo 1902, a Beni Abbès, JESUS diventerà JESUS CARITAS, sovrapposti, con in mezzo il cuore e la croce. Sarà questo il motto definitivo (di cui parla esplicitamente alla cugina Marie il 6 marzo 1902, cf. LMB, p. 85. Per p. Jérôme cf. sopra lett. del 24.01.1897.

[2] Con i Trappisti si firma così fino al 9 settembre1898, quando comincerà a firmarsi fr. Charles, finché, all’inizio del 1899, assumerà ufficialmente il nome di fratel Charles di Gesù. Cf. CCDP, p. 159-160.

[3] Cf. Gv 17, 23. La Vulgata dice: consummati in unum”.

[4] Cf. Sl 118, 24; Is 25, 9; Ap 19, 7; Lc 10, 21.

[5] CCDP, p. 160-162. Come vediamo, queste lettere spirituali al giovane trappista, spesso molto lunghe, sono impregnate delle sue meditazioni personali. In quei giorni dom Louis de Gonzague scriveva al fratello, lui pure trappista e abate di N.D. des Neiges che fr. Marie Albéric stava “seriamente diventando un vero Santo: Non ho mai conosciuto un’anima così bella nella mia vita” (Ivi, p. 165).

[6] Cf. LAH, p. 58-77.

[7] Cf. Eb 10, 7. Si tratta sempre di una traduzione dalla Vulgata.

[8] Mt 6, 10.

[9] Lc 23, 46.

[10] “Ogni essere che ha respiro dia lode al Signore”, Sl 150, 6.

[11] Gv 12, 28.

[12] Il testo è: “petits frères de Jésus”.

[13] Gv 1,36 e Ap 5,6.

[14] CCDP, p. 168-171

[15] Vivrà sino all’ultimo in questa condizione di aridità.

[16] P. Jérôme avrebbe ricevuto gli ordini minori il 25 marzo successivo, festa dell’Annunciazione.

[17] CCDP, p. 178-181. Nell’intestazione ha cominciato ad usare il cuore sormontato da una croce tra IESUS e FIAT VOLUNTAS TUA.

[18] Si ricordi che Charles rifiutava ancora di farsi prete per l’altissima considerazione che aveva del sacerdozio, che gli sembrava contrario alla sua scelta dell’ultimo posto.

[19] Cita a memoria il Sl 80, 11: Dilata os tuum et implebo illud”.

[20] Questo testo famoso sul deserto, estratto dal contesto, si fa spesso risalire al tempo vissuto da Foucauld nel Sahara, mentre risale al periodo di Nazareth, che, del resto, è una situazione di deserto spirituale, quasi un noviziato. Potrebbe anche essere eco dei viaggi nel Sahara prima della conversione, quando cominciò, provocato dalla fede musulmana, a sentire confusamente il richiamo di Dio. Quando si troverà nel deserto geografico, Charles farà solo brevissime allusioni alla sua bellezza e al suo significato (cf. LMB, p. 91, 94, 171…).

[21] Era p. Louis de Gonzague, ex priore di Akbès.

[22] CCDP, p. 182-184. Fr. Charles riceverà da p. Jérôme, all’inizio del 1899, la fotografia, in negativo, della Sindone, (cf. CCDP, p. 196), che conserverà preziosamente e metterà nella copertina di una quadernetto intitolato Il Modello Unico, in cui tracciava, attraverso semplici frasi del Vangelo, il “ritratto di Gesù”. Al momento in cui, sotto la minaccia di espulsione, fu presa la decisione di vendere Staueli, ciò che avvenne il 21 ottobre 1904, raggruppando i padri in un monastero provvisorio in Italia, P. Jérôme, diventato prete, lasciò la Trappa per incardinarsi come prete in Algeria.

[23] Per queste vicende cf. LAH, p. 79-80 e 84. Lo stesso giorno, meditando sulla festa di Santa Teresa, mostra ancora una volta la sua grande inquietudine e il bisogno di aiuto per discernere (cf. CFA, 587-588).

[24] LAH, p. 87-89. Don Huvelin gli scriverà ancora: “Rimanga a Nazareth!”, ma la “tentazione” di fondare una cosa nuova sarà più forte.

[25] LAH, p. 91.

[26] La morte improvvisa, a 45 anni, il 3 dicembre 1899, dell’abate di Staueli, dom Louis de Gonzague, durante una visita ad Akbès (diventata sua filiale), che era fratello di dom Martin.

[27] Cf. Mt 6, 22.

[28] Si trattava del capanno degli attrezzi dell’orto, fatto di assi si legno: il suo “eremo”.

[29] Sl 126, 5. Per la lettera cf. CCDP, p. 204-206.

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