Alla Trappa 1890-97

Charles de Foucauld – Dalle “Lettere e meditazioni.” 

[Si consiglia di vedere prima le “Generalità” di questa sezione]

1. Alla Trappa: “il sacrificio cercato lontano”[1] (1890-1897)

           Dal momento della sua conversione, avvenuta un giorno della fine di ottobre 1886, Charles de Foucauld ha desiderato vivere per Dio solo e per più di tre anni ha cercato in quale forma. Durante l’anno 1889 partecipa a quattro diversi ritiri: dai Benedettini di Solesmes, alla Grande Trappa di Soligny, alla Trappa di Notre Dame des Neiges e dai Gesuiti di Villa Manrèse di Clamart, con i quali opera un discernimento con metodo ignaziano. Scrivendo al priore di Solesmes, don Huvelin, il prete che ha accolto la sua conversione e che da quel momento lo dirige, lo presenta come “coraggioso esploratore del Marocco”, “fervente pellegrino in Terrasanta», perfetto gentiluomo, ottimo cristiano “che fa della religione un amore” [2](JFS, 78).

 

Alla cugina Marie de Bondy[3] – Parigi, 20 settembre 1889

Martedì, mercoledì, oggi, don Huvelin mi ha detto tante cose; abbiamo cercato ancora una volta perché volevo entrare nella vita religiosa: – per tenere compagnia a Nostro Signore, per quanto possibile, nelle sue pene; è essere seppellito in Nostro Signore con San Paolo[4]; – è dire elegi abjectus esse[5] perché Nostro Signore lo è stato [“abietto”]; – è seguire gli esempi dei solitari che si sono scavati delle grotte nella montagna dove Nostro Signore ha digiunato, per digiunare tutta la vita ai suoi piedi …

Cercando più austerità e semplicità dei Benedettini, Charles passa alcuni giorni alla Grande Trappa di Soligny, infine alla Trappa di Notre-Dame des Neiges. Prima di una decisione definitiva, segue un “ritiro d’elezione” dai Gesuiti di Villa Manrèse a Clamart. La scelta cade su Notre-Dame des Neiges, nell’Ardèche, con la prospettiva di partire per una filiale ancora più povera, tuttora in fondazione, la Trappa di Cheikhlé nei pressi di Akbès, tra le montagne della Siria ottomana, in zona prevalentemente curda, Trappa dove la “casa madre” avrebbe trovato rifugio se fosse stata colpita dai decreti di espulsione, già attuate per altri monasteri dal governo repubblicano anticlericale. Quello che attirava Charles in Siria era senz’altro la maggiore povertà, ma anche la volontà di allontanarsi dagli affetti e soprattutto la dispensa, essendo all’estero, dall’obbligo di un mese all’anno di esercitazioni militari in quanto ufficiale della riserva.

Il 15 gennaio 1890 compie quello che celebrerà negli anni avvenire come il giorno del “più grande sacrificio”: lasciare le persone amate. Il 26 gennaio (festa di S. Alberico), dieci giorni dopo il suo ingresso alla Trappa, diventa fratel Marie-Albéric. Lo stesso giorno riceve l’abito dei novizi e nel giugno successivo parte per la Siria.

Ancora a Notre-Dame des Neiges, fratel Marie-Albéric confessava la sua aridità e la difficoltà a praticare “l’obbedienza di spirito”[6], pochi mesi dopo, nella prima lettera a don Huvelin[7], esprime le prime inquietudini.

 A don Huvelin – 30 ottobre-5 novembre 1890

…Ho tanto pensato a lei il giorno della festa di Santa Teresa; un anno fa, nello stesso giorno, la sentii predicare nella cappellina delle carmelitane di St. Denis… Io sono miserabile, ma altri pregano per lei, anche laggiù…

La sua lettera mi è giunta dopo un mese; in qualche luogo imprecisato della provincia c’è il colera e le quarantene ritardano il servizio postale; voglia il cielo che, da quando mi ha scritto, la malattia le abbia concesso un po’ di respiro e che il suo povero corpo goda finalmente qualche riposo! …

5 novembre – Le chiedo scusa per questa lunga interruzione… qui non si usa scrivere, per quanto possibile, di domenica e nei giorni di festa… Ieri, festa di San Carlo, ho pensato a lei, sapendo che lei pure mi ha ricordato… Il Giorno dei Morti mi sono unito a lei e ho pregato per i suoi cari defunti… e il giorno di Ognissanti, contemplando lassù coloro che vennero alla tribolazione di questo mondo, ma che ora non piangono più perché Dio ha asciugato le loro lacrime, ho pensato a lei e a quelli che amo… Il primo novembre ci è stato annunciato nel capitolo che siamo in pieno colera; non solo serpeggia intorno a noi, ma la notte di Ognissanti abbiamo avuto un caso grave nello stesso monastero… Quando riceverà la mia lettera forse sarà tutto finito… del resto da alcuni mesi è convenuto che se mi capitasse qualcosa le verrebbe telegrafato.

…Lei spera che io sia abbastanza povero: no, siamo poveri per dei ricchi, ma non come Nostro Signore, non com’ero io in Marocco o come San Francesco… Lo deploro senza turbarmi e anche su questo punto rimango in silenzio e nell’obbedienza; a poco a poco, senza farmi notare, soprattutto quando sarò professo – se Dio mi fa vivere fino a quel momento – potrò ottenere dei permessi che mi faranno, a me stesso almeno, meglio praticare la povertà: per ora osservo il silenzio…. – Suo figlio in Nostro Signore fr. Marie- Albéric.

Al compagno di Liceo Gabriel Tourdes – Akbès (Siria), 11 maggio 1891

Mio carissimo Gabriel, nella Trappa non si scrive, lo sai, ma per amici come te si fa eccezione… dovrei dire per un amico come te… perché se ne hanno molti? Beati quando se ne ha uno! Con quale altro ho in comune e i miei ricordi d’infanzia a Strasburgo, e i miei ricordi di gioventù a Nancy? Con quale altro ho tanto passeggiato, ho tanto letto? E, anche tu, non hai un secondo amico come me; le nostre esistenze sono state dolcemente unite nella nostra giovinezza, e questi legami sono così solidi che non se ne sono formati di più forti… Ho domandato dunque al mio Superiore il permesso di scriverti, spiegando che sei non un amico ma l’amico, qualcosa di completamente speciale per me… siccome la vita di convento non restringe il cuore ma lo allarga, è stata accettata senza esitare la mia richiesta… Tutto quello che è questione d’affetto è meravigliosamente compreso dai monaci… Poveri monaci separati da tutto ciò che amano, non per disgusto, né per disperazione, né per amarezza, ma per il solo amore di Dio al quale vogliono darsi, anima e corpo, come pensano spesso a quelli che hanno lasciato! Come mano e come pregano per loro! E quale è tutto i loro cuore, quella parte di loro stessi di giorno in giorno più cara che hanno lasciato nel mondo! … Il chiostro non è il luogo della dimenticanza, è il luogo dell’amore… “Dio è amore” … “Chiunque ama è figlio di Dio e conosce Dio” … “Se non si amano gli uomini che si vedono, come si potrebbe amare Dio che non si vede?”[8]… ecco le parole dell’apostolo del quale ci nutriamo… vedi che il nostro alimento è buono… così non ho voglia di lamentarmi del regime della Trappa. Ti scrivo per chiederti tue notizie e per darti le mie: come va la salute? Sei sempre a Saint-Dié?

…Parlami molto di te, mio buon Gabriel, nulla mi sarà più dolce: sei triste, sei soddisfatto, trovi la vita pesante o leggera? Ecco il riassunto di tutto e la cosa più importante nel cuore di un amico che vuole rallegrarsi se ti trovi bene e affliggersi se sei triste… Penso spesso a quella casa di faubourg Stanislas dove venivo a prenderti ogni sera verso la fine della vostra cena nella quale ero così spesso presente, e dove mi sentivo come in famiglia. E ora ti darò mie notizie: mio buon Gabriel, abbiamo, ahimè!, disimparato insieme a pregare il buon Dio[9], cerca però nel fondo della tua memoria o piuttosto nel fondo del tuo cuore una preghiera e dilla a Lui per ringraziarlo, questo buon Dio, di tutte le grazie che Egli mi ha fatto… Dirti la pace, la calma, nelle quali vivo da quando sono in convento è una cosa impossibile… …penso spesso alla parola di Nostro Signore Gesù Cristo alla vigilia della Sua morte: “Vi lascio la pace, vi do la pace, non come la dà il mondo”, la sento qui questa pace, pace che niente può esprimere, pace sconosciuta nel mondo, che non ero venuto a cercare e di cui non avevo l’idea, ma che Dio mi dà nella Sua bontà infinita… La più grande felicità che possa avere un uomo è di ricevere da Dio la vocazione religiosa, ecco la cosa di cui non dubitavo e che constato con una riconoscenza che non potrebbe essere abbastanza grande, né abbastanza commossa… Te lo ripeto, cerca una preghierina per ringraziare il Padre Nostro dei benefici dei quali Egli ricolma il tuo amico… Se vuoi avvicinarti completamente a me e vivere un istante della mia vita, entra un minuto in una chiesa (io vi passo 8 ore al giorno con delizie) e pensa a me guardando l’altare… anch’io ti penso spesso guardando l’altare. Se vuoi avere un’idea della mia vita, leggi Les moines d’Occident di Montalembert[10], i lavori dei monaci nei Paesi barbari nel Medioevo ti daranno un’idea della nostra vita in Siria[11]

Alla cugina Marie de Bondy – Akbès, 16 luglio 1891

Sono stati ieri diciotto mesi che le ho detto addio; mi sembra che sia passato così poco tempo e insieme tantissimo tempo; a forza di susseguirsi l’uno all’altro, i mesi porteranno con sé l’ultimo, un giorno… Sia fatta la volontà del Signore; mi piacerebbe andare presto da Lui, ma niente me lo fa sperare… Sia fatta interamente la sua volontà benedetta, debba io restare qui ancora poco o molto, ma tragga Egli dalle nostre vite, lunghe o brevi, la più grande consolazione possibile per il suo cuore: è tutto quello di cui abbiamo bisogno entrambi; ci abbandoniamo e non vogliamo vivere che per LUI…

…Insieme alla presente spedisco le mie dimissioni da ufficiale della riserva, e chiedo di passare senza nessun grado nell’esercito territoriale. È un passo che mi fa piacere: il 15 gennaio ho lasciato tutto ciò che per me era un bene, ma rimaneva ancora un miserabile fardello, il grado, il piccolo patrimonio, e ora mi fa piacere gettarlo dalla finestra (come il reverendo Padre voleva fare con i suoi mobili); fra circa due mesi riceverò, per firmarli, i documenti per la donazione del mio piccolo avere, e allora sarà finita con i possedimenti materiali[12]

Al marchese Antoine de Morès[13] – Akbès, 23 dicembre 1891

Mio caro Antoine, da quasi due anni, sono Novizio alla Trappa, si avvicina il giorno in cui pronuncerò i voti. Tengo ad annunciarlo a te, mio vecchi amico, te a cui il mio cuore è rimasto così caldamente affezionato. È una grazia infinita che Dio mi fa. Ringrazialo per me. È la miglior parte che mi dona.

Tu mi conosci, tu sai il mio affetto per te. Né il tempo, né l’assenza l’hanno cambiato. Potrai sempre contare sul mio cuore che non ha cessato mai di esserti attaccato e che lo è ancora di più ora che è in NOSTRO SIGNORE.

Questo addio, che ti mando al momento di lasciare gli ultimi legami che mi attaccano al mondo, ti dica, ti ripeta tutto l’affetto, tutto l’attaccamento, la profonda devozione del tuo amico in N. S.J.C. – Charles de Foucauld[14].

All’amico esploratore Henri Duveyrier[15]– Akbès (Siria), 21 febbraio 1892  [L’amico Duveyrier, non credente, è turbato dalla conversione e soprattutto dalla scelta religiosa del giovane. Charles gli risponde con una lunga, importante confessione.]

Caro e ottimo amico, mi permetta[16], dato che mi scrive nel modo in cui lo farebbe un fratello, di sopprimere il “signore” fra noi, affinché l’intimità del cuore trabocchi fino a rendersi visibile… Come la ringrazio, come sono commosso per la sua bellissima lettera del 28 dicembre! Lei non approva, teme i voti religiosi e a questo proposito mi dice tutto ciò che suggerisce il più tenero degli affetti: l’affetto è per me dolcissimo e mi riempie di emozione e di riconoscenza, la disapprovazione non può stupirmi; sei anni fa ero lontano dalla religione cattolica altrettanto quanto può esserlo lei, non avevo nessun tipo di fede, non avrei potuto allora, se avessi avuto un amico che si voleva fare trappista, provargli meglio il mio attaccamento che scrivendogli quello che mi scrive lei… Lontano da me dunque di rimanere urtato per qualunque sua obiezione! Non ci vedo altro che il suo affetto e il mio solo sentimento è la riconoscenza e l’emozione nel vedere quant’è buono! …

Non posso dirle però che la sua lettera abbia modificato le mie risoluzioni: la vita alla quale sono attualmente legato, mi attira da quattro anni e mezzo, da tre anni sono deciso ad abbracciarla, da due la conduco: c’è stata mai, vede, una decisione ripensata più a lungo e messa alla prova più seriamente?

Perché ho fatto questa scelta così sofferta, così crudele per me e per coloro che mi vogliono bene? Lontano da me d’averla fatta per cercare egoisticamente di vivere in pace! Di questa pace le parlo perché, senza cercarla, l’ho trovata, ma era ben lontana da essere il mio scopo.

La causa che mi ha fatto lasciare tutto ciò che amo al mondo, cioè un ristrettissimo numero di parenti prossimi e di amici intimi dei quali la vista, la compagnia erano per me dolcezza e bene infiniti e che sono sempre e via via più presenti e teneramente cari al mio cuore – lei era tra questi, lo sa – questa causa dunque non mi pare possibile per lei da comprendere, lontano com’è appunto dalla fede cattolica; io non l’avrei compresa sei anni fa , eppure intendo dirgliela, il suo fraterno affetto esige quest’apertura fraterna e, lo sente, di un’apertura molto intima.

Noi cattolici crediamo in un Dio unico, immateriale, la cui unità racchiude tre Persone, mistero incomprensibile, crediamo che una di queste tre Persone, senza cessare di essere eternamente unita alle altre due, si è unita, nel tempo, ad un corpo e ad un’anima umana formata da Dio senza la cooperazione di un uomo e questa [Persona] è vissuta sulla terra, lavorando, insegnando la verità e i misteri di Dio, dando la prova delle Sue parole con dei miracoli, dando le regole e l’esempio delle virtù. Questo Dio perfettamente unito ad un uomo è Gesù Cristo. Che io debba amore e obbedienza a Dio è evidente. La sua volontà nei riguardi dell’uomo è che questi lavori al proprio perfezionamento ed al perfezionamento degli altri: le virtù sono interiori e si può, come dice lei, praticarle anche su un trono, ne è testimone San Luigi…

Ma l’amore di Nostro Signore Gesù Cristo chiama quelli per i quali ciò è possibile, coloro ai quali la famiglia, la società non impongono pressanti doveri, a condurre una vita che somigli il più possibile a quella che Dio condusse sulla terra: non c’è amore senza imitazione[17], e questa imitazione, lo sa, diventa bisogno quando chi ama è povero, infelice, sofferente, disprezzato… Chi oserebbe dire di amare se acconsentisse a vivere nelle gioie del cuore e negli agi mentre l’essere amato soffre nell’anima e nel corpo?

Ora, la vita di Gesù in questo mondo fu quella di un povero artigiano, una vita disprezzata, povera, faticosa. I suoi ultimi tre anni trascorsero in un apostolato che gli valse soprattutto rifiuti, ingratitudini e persecuzioni. Alla fine, venne messo a morte e lasciò questa vita fra tormenti inauditi…

Anch’io ho voluto, con molti altri, sebbene indegno, amare Dio con tutto il cuore e imitarlo nei limiti della mia debolezza, piaccia a Dio che sia sempre meglio!

Gesù è stato obbediente sulla terra, io sono entrato in un ordine religioso per essere obbediente come Lui. Ho scelto un Ordine povero, disprezzato, dove si lavora, per condividere la povertà, l’abiezione, la fatica di Gesù. E infine, dato che la vita di Gesù è stata tutta sacrificio e tutta dolore, ho voluto sacrificare con Lui e per Lui tutto ciò che costituiva la felicità della mia, la presenza di coloro che amo.

Vede, è il sacrificio che sono andato a cercare così lontano. Non per impulso personale, ma per una vocazione comune a migliaia di persone…

Questa è la storia della mia vocazione. Secondo il suo desiderio, non mi sono opposto ai suoi sentimenti e le ho aperto l’anima… Glielo ripeto, mi pare difficile che comprenda, ancora più difficile che ammetta quello che le ho appena detto; sei anni fa avrei trattato queste cose come immaginarie, come sogni, e avrei guardato chi avesse scritto la pagina precedente, mi permetta la parola, come un po’ se non molto pazzo… Come ho potuto cambiare tanto?

Mi rimprovera molto amichevolmente di conoscere poco la mia vita passata: è semplice, eccola in poche parole. A cinque anni e mezzo, nel 1864, ho perduto mio padre e mia madre, sono stato da allora allevato dal nonno materno e dalla nonna, dato che mia madre era figlia unica. Ho una sorella allevata con me da questi ottimi nonni. Mio nonno, il Signor de Morlet, ex ufficiale del genio, si era congedato in Alsazia dove rimanemmo fino alla guerra. Dopo il 1870 venimmo ad abitare a Nancy. In questa città completai gli studi e fui ammesso a St Cyr.

Là provai anche l’immenso dolore di perdere mio nonno, del quale ammiravo la bella intelligenza, la cui tenerezza infinita circondò la mia infanzia e la mia giovinezza di un’atmosfera d’amore di cui sento sempre con emozione il calore. Fu per me un grandissimo dolore e dopo 14 anni (3 febbraio 1878) permane vivissimo. La mia cara nonna[18], qualche anno prima, era stata così malata che aveva dovuto essere ricoverata in una casa di cura dove si è spenta dolcemente.

Alla morte del nonno, mia sorella venne accolta da mia zia Signora Moitessier, sorella di mio padre, che abita a Parigi. Questo focolare domestico fu da allora il nostro e i gesti di bontà che ricevemmo sono infiniti. Vede, nel mio passato non trovo che bontà verso di me e riconoscenza da provare. Approfittai poco allora del positivo della vita familiare presso mia zia. Da St Cyr andai a Saumur, poi in un reggimento di Ussari, poi nei Cacciatori d’Africa. In un anno passai le guarnigioni di Bona, Sétif, Mascara e feci delle spedizioni nel Sud Oranese. Nel 1881-82 vissi setto-otto mesi sotto la tenda nel Sahara oranese e questo mi dette un gusto assai intenso dei viaggi, per i quali avevo sempre provato attrazione. Detti le dimissioni nel 1882 per soddisfare liberamente questo desiderio di avventure. Mi preparai per un anno e mezzo ad Algeri al viaggio in Marocco. Lo feci e passai ancora un anno e mezzo ad Algeri a stenderne il resoconto. All’inizio del 1886 venni a stabilirmi a Parigi per pubblicare la relazione del viaggio e con l’idea di prepararne un altro.

Ero stato educato cristianamente, ma all’età di 15 o 16 anni in me era scomparsa ogni fede. Avevano prodotto questo risultato le letture di cui ero avido. Non mi riconoscevo in nessuna dottrina filosofica, non trovandone nessuna solidamente fondata. Rimasi nel dubbio totale, lontano soprattutto dalla fede cattolica, di cui parecchi dogmi, a mio avviso, urtavano profondamente la ragione… Alla stessa età la mia vita divenne disordinata, lo rimase a lungo senza che questo impedisse un’inclinazione fortissima per lo studio[19].  Al reggimento fui molto sregolato, ero lontano dai miei, vidi pochissimo la mia famiglia dal 1878 al 1886 e il minimo che seppero della mia vita, soprattutto nella prima parte di questo periodo, non poté che dar loro dispiacere.

Ero a quel punto quando tornai a Parigi nel 1886, mia sorella non c’era più, si era sposata e abitava in Borgogna. Ma io trovai da mia zia la stessa accoglienza come se non avessi mai lasciato la casa e dato pensiero a chi mi voleva bene. In quest’ambiente domestico che divenne subito il mio sebbene abitassi in un’altra casa, trovai l’esempio di tutte le virtù congiunto alla vista di elevate intelligenze e di convinzioni religiose profonde.

Mi appassionai prima di tutto alla virtù e orientai le mie letture in questa direzione, studiando volentieri i moralisti dell’antichità, ero lontanissimo da ogni religione e mi attirava soltanto la virtù antica… Trovai meno ardenti e meno solidi di quanto sperassi questi antichi filosofi… Per caso lessi alcune pagine di un libro di Bossuet[20] in cui trovai molti più di quanto mi era accaduto presso i moralisti antichi… continuai la lettura del volume e, a poco a poco, arrivai a dirmi che la fede di uno spirito così grande, quella che vedevo ogni giorno così vicina a me in intelligenze così belle, nella mia stessa famiglia, non era forse così incompatibile col buonsenso quanto mi fosse sembrato fino ad allora.

Eravamo alla fine del 1886. Sentii allora un bisogno profondo di raccogliermi. Mi chiesi nel più profondo dell’animo se davvero la verità poteva essere conosciuta dagli uomini… Feci allora questa strana preghiera, domandai a Dio, nel quale ancora non credevo, di farsi conoscere da me, se mai esistesse… Mi sembrò che la cosa più saggia fosse, nel dubbio che era nato in me, di studiare questa fede cattolica. La conoscevo molto poco, mi indirizzai per conoscerla a un prete ben istruito che conoscevo un po’ per averlo visto da mia zia, questo prete è don Huvelin. Ebbe la bontà di rispondere alle mie domande, la pazienza di ricevermi tutte le volte che volli. Mi convinsi della verità della religione cattolica. Da allora don Huvelin è diventato per me come un padre ed ho vissuto cristianamente.

Pochi mesi dopo questo grande cambiamento pensai di entrare in convento, ma don Huvelin come la mia famiglia mi spingeva al matrimonio… Lasciai passare il tempo… Il tempo mi ha condotto qui e ringrazio Dio. Ci sono venuto come tanti altri, per il desiderio del sacrificio ed ho, insieme al sacrificio assai concreto, trovato una pace dell’anima (non solo di coscienza) che non cercavo affatto. Ora tutti i miei si sono adattati all’idea di sapermi qui perché credono che sia la vocazione di Dio ad avermi chiamato. Cerchi di rassegnarsi con loro, caro amico al quale scrivo una lettera così fraterna.

Quanto a me, ciò che mi ha aiutato in un sacrificio tanto crudele, è la convinzione alla quale sono arrivato che l’azione buona contenuta in questo sacrificio varrà un sovrappiù di grazie divine per tutti quelli che amo e che essi guadagneranno dalla mia assenza per questo motivo più bene di quanto ne avrebbero avuto in una presenza cara al loro affetto.

Eccomi senza segreti davanti a lei, veda in questa lettera in cui non ho, ahimè, avuto il tempo di parlare di lei, del mio dispiacere di saperla affaticata dai reumatismi, vi veda, sebbene la lettera non parli che di me, il miglior segno del mio attaccamento a lei, della mia riconoscenza per il suo affetto, della mia volontà di ricambiarla come un fratello.

Ringrazio vivamente la signorina Rose del suo ricordo, ne sono molto commosso, il povero monaco che sono, suo fratello in Dio, pregherà per lei; che lei preghi un po’ per me.

Sono suo con tutto il cuore, lo sa e lo vede, e non esito mentre la lascio, sicuro che me lo permette, ad abbracciarla fraternamente – fratel Marie-Albéric.

[Pochi mesi dopo Duveyrier si suicidava, sentendosi disonorato dall’accusa lanciata da qualche giornalista di essere responsabile morale del massacro, da parte dei Tuareg, della missione Flatters, incaricata di studiare il tracciato di un’antica pista su cui costruire una ferrovia transahariana, missione da lui istruita e appoggiata (massacro avvenuto agli inizi del 1881 tra l’Hoggar e la Tripolitania).]

Al compagno di Liceo Gabriel Tourdes – Akbès, mercoledì 10 agosto 1892

…È bello amarsi, mio buon Gabriel, è bello sapere attraverso una lunga esperienza che si può assolutamente contare su di un’anima… è così che tu conti su di me e io conto su di te… Ci siamo visti appena negli ultimi sedici anni e ci amiamo sempre come nei giorni della gioventù, come al tempo in cui ogni mattina, ogni sera ci ritrovavamo insieme quando condividevamo tutto, letture, passeggiate, studi, pensieri… mettevamo in comune anche le nostre famiglie, tanto ci trovavamo a nostro agio e bene in casa dell’altro… È infinitamente dolce vedere dopo questa lunga separazione la tenerezza, la fiducia, l’abbandono rimasti assolutamente gli stessi… è bello amare, Gabriel… …quanto sarei felice se mi facessi una visita!

… Possa il buon Dio condurti qui un giorno… io Lo prego per te, sta’ certo… quello che gli domando, tu lo sai, Gli domando per te tutto il bene di questo mondo e nell’altro e prima di tutto il primo bene che è quello di conoscerLo affinché possa dire presto con me l’espressione di Sant’Agostino: “Perché ti ho conosciuto così tardi e così tardi amato Bellezza sempre antica e sempre nuova?”[21]. E questa Bellezza è la mia vita, avverto troppo il valore di una tale felicità per non desiderarla con tutta l’anima per te, mio carissimo Gabriel, non posso amarti senza avere questo desiderio ardente come il mio amore… è il più grande dei beni, non mi consolerò mai di non condividerlo con te[22]

Al Signor Maunoir – Akbès, 30 gennaio 1893   [Fratel Marie-Albéric, che ha avuto la notizia della “triste fine del nostro povero amico” Duveyrier, risponde al Segretario Generale della Società Francese di Geografia.]

… Mi consola dicendomi quanto avesse poco coscienza delle sue azioni negli ultimi tempi della sua vita; spero che Dio, nella sua infinita bontà, gli abbia fatto misericordia: era, come dice lei, un carattere così retto, un’anima così elevata, un cuore così delicato! … Lontano da me di giudicare severamente colui che ho così teneramente amato! Non ne ho il diritto! “Non giudicate per non essere giudicati”, ha detto Nostro Signore Gesù Cristo, e tante volte ci raccomanda di occuparci della trave che è nel nostro occhio e non della pagliuzza che è nell’occhio degli altri! Amare e pregare, ecco quel che tocca a noi, e non di giudicare[23] 

[Più il tempo passa, più Charles prende le distanze dalla Trappa. Nel Capitolo Generale del 1892, svoltosi a Roma sotto gli occhi di papa Leone XIII, era iniziato un processo di riunificazione delle tre branche di Cistercensi e in seguito a ciò nel giugno 1893, i Trappisti di Akbès ricevevano i nuovi Usi e Costituzioni, che a fr. Marie-Albéric appare mitigare troppo la povertà. È ciò che esprime in diverse lettere a don Huvelin, finché gli espone un primo abbozzo dei suoi progetti di fondazione di una nuova congregazione.]

 A don Huvelin – Akbès, 22 ottobre 1893

È molto tempo che non le ho scritto, caro padre, e, poiché ho ottenuto il permesso, vengo a bussare alla sua porta per conversare con lei…

“E l’anima?”, mi chiedeva per prima cosa… Mi sembra che non sia cambiata molto: continua a vivere di ciò che lei vi ha deposto, ama le persone che amava e le ama più di prima… È sempre piena di miserie, priva di umiltà e di semplicità, forse troppo testarda nelle sue idee, certo molto indolente nelle sue azioni.

…In conformità alle disposizioni del Santo Padre sono state compiute delle felicissime modifiche nell’Ordine: ma tali modifiche e miglioramenti non impediranno al male di svilupparsi… Conferiranno all’Ordine maggior unità, impediranno in una certa misura agli abati di fare ciò che loro piace, innalzeranno il livello degli studi dei preti. Ma allontaneranno sempre più dall’umiltà e dalla povertà di quella modesta vita di Nazareth che sono venuto a cercare, alla quale sono infinitamente lontano dall’aver rinunciato e che vedo con grande dolore praticare solo da Nostro Signore; nessun’anima, nessun gruppo d’anime nella Chiesa pensa oggi a praticarla con Lui, e a condividere per Suo amore e nel Suo amore la felicità della Santa Vergine e di San Giuseppe. Non sarebbe possibile formare una piccola congregazione per condurre tale vita, per vivere unicamente del lavoro delle nostre mani, come faceva Nostro Signore che non viveva né di questue né di offerte e neppure del lavoro di operai estranei accontentandosi di dirigerli?[24]Non si potrebbe trovare delle anime per seguire in questo Nostro Signore, per seguirLo praticando tutti i Suoi consigli, rinunciando assolutamente ad ogni proprietà sia collettiva che individuale e vietandosi di conseguenza in modo totale ciò che Nostro Signore vieta, ogni contesa, ogni contrasto, ogni lamentela, facendosi un dovere assoluto dell’elemosina, offrendo un abito quando se ne hanno due, dando da mangiare, quando si può, a chi non ne ha, senza serbare nulla per il domani?… tutti gli esempi di vita nassc0osta e tutti i consigli usciti dalla Sua bocca… una vita di lavoro e di preghiera… non due specie di religiosi, come a Citeaux, ma una sola, come voleva San Benedetto… non però la sua liturgia complicata, ma orazione prolungata, rosario, santa messa; la nostra liturgia chiude la porta dei nostri conventi agli arabi, ai turchi, agli armeni, ecc.… che sono buoni cattolici ma non capiscono una parola delle nostre lingue[25]; come vedrei volentieri questi nidi di vita fervente e laboriosa, riproducente quella di Nostro Signore, sorgere sotto la Sua protezione e sotto lo sguardo di mari e di Giuseppe intorno a tutte quelle missioni d’Oriente così isolate per offrire un rifugio[26] agli abitanti di quelle regioni che Dio chiama al Suo esclusivo amore e servizio!

È questo un sogno, caro padre, un’illusione del demonio, oppure un’ispirazione, in invito del Buon Dio? Se sapessi che è un richiamo di Dio, oggi stesso e non domani farei i passi necessari per entrare in questo cammino… Quando penso a questo progetto lo trovo perfetto: seguire gli esempi ed i consigli di Nostro Signore non può non essere un proposito eccellente… Per di più è quello che ho sempre cercato: sono venuto alla trappa solo per trovarlo; non è una vocazione nuova; se tale gruppo di anime fosse esistito qualche anno fa, sarei corso là direttamente, lei lo sa…

Poiché non esiste e non esiste neppure qualcosa che gli assomigli o lo sostituisca, non bisogna tentare di formarlo? … E formarlo col desiderio di vederlo estendersi soprattutto nei paesi infedeli di specie musulmana e negli altri? …

…Un altro pensiero m’incoraggia ad intraprendere un’opera così inadeguata alla mia miseria di peccatore: Nostro Signore ha detto che chi ha molto peccato deve molto amare[27]

[Verso Natale 1893 Charles attraversa un momento particolarmente difficile, di ansia, di timore, d’oscurità, come ricorderà più volte in seguito. Per superarlo, ricorderà ancora, si affida a Maria, che ama sotto il nome di Madonna del Perpetuo Soccorso, chiedendole di portarlo fra le braccia come portava Gesù bambino[28].]

Alla cugina Marie de Bondy – Akbès, 3 gennaio 1894

…Tutto mi dice di dar seguito ai miei desideri; moti del cuore, ragionamento, fedeltà alle prime risoluzioni: tutto mi dice che si tratta della cosa più perfetta e più sicura… ma dato che Padre Policarpo mi ha anche detto di attendere e di affidare tutto alla Vergine Santa, lo faccio, perché si accorda col senso della mia impotenza e della mia debolezza… trovandomi in barca, tremo al pensiero di dovermi gettare in mare… mi trattiene la paura più che l’umiltà; ma ciò che mi trattiene in maniera assoluta è l’obbedienza[29]

Al cugino Louis de Foucauld – Akbès, 28 novembre 1894   [Come fa con gli amici intimi, Charles cerca di proporre al cugino Louis, non credente, il suo stesso cammino di conversione.]

…Ti stavo dicendo di pregare ancor prima di credere in Dio… così ho fatto quando ho cominciato a rendermi conto, a intravedere che la religione cattolica non era forse un’assurdità, ho fatto spesso questa preghiera: “Mio Dio, se esisti, fatti conoscere a me” Anche tu lo puoi fare: Non mi conosco altro merito nella mia vita, è dopo aver fatto un po’ di tempo questa preghiera, trovandomi in una disposizione molto sincera d’abbracciare con tutta l’anima la verità se la trovavo, d’aver usato il mezzo appropriato a scoprirla: volendo conoscere una scienza, una lingua, si prende un professore: volendo conoscere la religione ed essere illuminato sulle difficoltà che mi sembravano insolubili, ho cercato un professore, come per un’altra conoscenza: mi sono rivolto a don Huvelin, ex allievo della scuola normale, che sapevo molto dotto: abita a Rue de Laborde, 6… Soltanto, ti dirò per esperienza che per trovare Dio, la purezza di cuore, la castità aiutano molto… te lo dico per esperienza… quando la volontà incatena il corpo, l’anima prende le ali per salire verso la verità[30]

Al cugino Louis de Foucauld – Akbès, 23 juin 1895

… In mezzo ai tuoi affari, leggi qualche volta dei libri che parlino di Dio. È lì il nostro più grave affare e il nostro primo dovere. Cerca di dire al più presto possibile con Sant’Agostino: “Bellezza sempre antica e sempre nuova, perché ti ho conosciuta così tardi e così tardi amata?”. Tu che sei un cuore appassionato, dovresti leggere un po’ di Sant’Agostino, è così ardente e così spirituale… È con ragione che piangeva d’aver così tardi conosciuto Dio. Se questo essere è ogni perfezione, ogni bellezza, ogni sapienza, tutto quello che i nostri sogni possono immaginare di più tenero, di più ammirevole, di più seducente, non fare attenzione a lui è una strana follia[31]

Al cognato Raymond de Blic3 maggio 1896  [Mentre continua a pensare a Nazareth, avvenimenti terribili lo sconvolgono: le persecuzioni contro gli Armeni. Ne scrive in varie occasioni, tra il 1895 e il 1896, alla cugina, a don Huvelin[32]e al cognato.]

… Ti scrivo per chiederti un’offerta, non per noi, Dio ce ne guardi, perché non sarò mai abbastanza povero, ma per le vittime delle persecuzioni. Per ordine del sultano, hanno massacrato circa 140.000 cristiani da qualche mese… Nella città più vicina, a Marache, la guarnigione ha ucciso 4.500 cristiani in due giorni…

Gli Europei sono protetti dal governo turco, per cui noi siamo sicuri: hanno messo un picchetto di soldati alla nostra porta, per impedire che ci facciano il minimo male. È doloroso stare così bene con quelli che sgozzano i nostri fratelli, sarebbe meglio soffrire con loro che essere protetti dai persecutori. È vergognoso per l’Europa: con una parola avrebbe potuto impedire questi orrori, e non l’ha fatto. È vero che il mondo ha conosciuto assai poco quel che succedeva qui, dal momento che il governo turco ha comprato la stampa, ha dato somme enormi a certi giornali, per non pubblicare altro che i dispacci da lui emananti. Ma i governi sanno tutta la verità dalle ambasciate e dai consolati. Che castighi di Dio si preparano per simile ignominia! Vengo a chiamarti in nostro soccorso, per aiutarci ad alleviare, ad impedire di morire di fame parecchie migliaia di cristiani sfuggiti ai massacri e rifugiati nelle montagne: non osano uscire dai loro nascondigli per paura di essere massacrati, non hanno nessuna risorsa. È nostro dovere imperioso privarci di tutto per loro, ma qualunque cosa facciamo non potremmo bastare a tali bisogni[33]

Il 12 luglio 1896, il fratello scrive al generale dei Cistercensi riformati (senza conoscerlo di persona), per chiedergli la dispensa dai voti, sentendosi “attirato con una forza invincibile verso un altro ideale”[34]. Nel frattempo, ha già redatto il primo progetto di comunità religiosa, “Congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù”, che porta la data del 14 giugno 1896, festa di San Basilio. Le ultime parole di questa Regola dicono: “Tutti i nostri sforzi tenderanno ad avere in noi e a mostrare a tutti la carità, la compassione, la tenerezza, la bontà infinita del nostro divin Maestro”[35].

Don Huvelin, spaventato dal regolamento “assolutamente impraticabile”, lo esorta a non fondare nulla, a non stendere nessuna regola, a difendersi “contro questo movimento all’infinito che genera inquietudine”, a mettersi a disposizione dei superiori[36]

Una volta inviata la domanda di dispensa dai voti, fratel Marie Albéric tace e aspetta. Per tutta risposta viene mandato alla Trappa di Staueli, in Algeria, Trappa prospera da cui dipende dal 1894 quella di Akbès. Lascia la Siria il 17 settembre 1896. Di Staueli è diventato abate dom Louis de Gonzague, proveniente da Akbès e fratello dell’abate di Notre-Dame des Neiges, dom Martin, che lo aveva accolto. La sua decisione è d’inviarlo a Roma a studiare teologia per prepararsi al sacerdozio, non solo ai voti solenni. Il fratello parte per Roma e si ferma alla casa Generalizia dei Trappisti (allora in Via San Giovanni in Laterano) dal 30 ottobre 1896 al 16 febbraio 1897, frequentando i corsi del Collegio Romano (corrispondente all’attuale Gregoriana).

L’ultimo periodo passato alla Trappa è un periodo di assoluto abbandono: fratel Marie-Albéric attende l’ammissione ai voti solenni oppure la dispensa e l’uscita dalla Trappa. Le meditazioni che scrive mentre segue i corsi di teologia a Roma (dal 30 ottobre 1896 al 23 gennaio 1897), non le brucia come in precedenza: in seguito potranno servire a lui o agli eventuali compagni… In testa a questo primo taccuino, ossia in testa a quelli che ci resteranno come i suoi “scritti spirituali”, pone la frase del Cantico 1, 4: “Attirami dietro di te, corriamo all’odore dei tuoi profumi”. Inizia col meditare sulla Genesi e, nello stesso periodo, medita sui Vangeli.

Mt 14, 31     “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” … Quanto è grande la fede che Nostro Signore ci domanda! E con giustizia: quale fede gli dobbiamo… Dopo la parola di Nostro Signore: “Vieni”, Pietro non doveva più temere niente e camminare con fiducia sulle acque…, così quando Gesù ci ha certamente chiamati a uno stato, dato una vocazione, non dobbiamo temere, ma affrontare senza esitare gli ostacoli più insormontabili. Gesù ha detto: “Vieni”, noi abbiamo la grazia di camminare sui flutti. Ci sembra impossibile, ma Gesù è il Padrone dell’impossibile[37]

Lc 23, 46   “Padre mio, rimetto il mio spirito nelle tue mani” … È l’ultima preghiera del nostro Maestro, del nostro Benamato… Possa essere la nostra…  E sia non soltanto quella di tutti i nostri istanti: “Padre mio, mi rimetto nelle tue mani; Padre mio, fa’ di me quel che ti piacerà; qualunque cosa tu faccia di me, ti ringrazio; grazie di tutto; sono pronto a tutto; accetto tutto; ti ringrazio di tutto. Purché la tua volontà si faccia in me, mio Dio, purché la tua volontà si faccia in tutte le tue creature, in tutti i tuoi figli, in tutti coloro che il tuo Cuore ama, io non desidero niente altro, mio Dio; rimetto la mia anima nelle tue mani; te la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo, ed è per me un bisogno d’amore il donarmi, il rimettermi nelle tue mani senza misura; mi rimetto nelle tue mani con una infinita fiducia, perché tu sei mio Padre[38].

A padre Jérôme – Roma, 8 novembre 1896  [Il giorno dell’arrivo a Roma, scriveva per la prima volta a un giovane trappista di Staueli, che si sta preparando a pronunciare i primi voti, padre Jérôme, che gli è stato affidato per una “piccola direzione”, in modo da confermarlo nella vocazione, come scriverà a don Huvelin[39].]

GESÙ sia sempre con lei, mio carissimo Padre.

Approfitto della domenica per scriverle.

…Volevo parlarle del mio arrivo a Roma, ed ecco che sono ancora alla partenza d’Algeri. È che mi è stata dolorosa. Ma Dio sia benedetto, e benedetto sia ogni dolore.

Siamo arrivati a Roma venerdì a 1h 1/2 del pomeriggio: non siamo scesi alla stazione di San Paolo, che è vicino a San Pietro, era poco fattibile, e ne abbiamo benedetto il buon Dio: se eravamo scesi là, avremmo dovuto prendere carrozzella su carrozzella e mi avrebbe fatto star male d’entrare così poco poveramente in questa città dove San Pietro e San Paolo entrarono tutti e due così poveri, così miserabili, e San Paolo incatenato. Siamo andati perciò a piedi dalla stazione alla Procura[40] e sul nostro passaggio ci siamo fermati in due chiese dove abbiamo adorato il Santissimo Sacramento dal primo passo a Roma, per chiedergli di vivervi conformemente alla Sua volontà, e pregarlo di benedire tutti i Suoi figli e soprattutto quelli che ci ha dato da amare più particolarmente: lei sente che non è stato dimenticato in queste prime due visite al buon Dio: siamo entrati prima in Santa Maria Maggiore, dove si conserva la mangiatoia di Nostro Signore (e dove sono anche, credo, le reliquie di San Girolamo); poi siamo stati alla chiesa di Sant’Alfonso dove si conserva l’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso. Questo nome sta così bene alla Santa Vergine! Abbiamo tanto bisogno del suo perpetuo soccorso, noi, così deboli, così zoppicanti! Da tempo, da tre anni soprattutto, mi sono messo sotto la sua protezione, sotto questo nome. Tre anni fa, avevo molte difficoltà interiori, molta ansia, timore, oscurità. Desideravo servire il buon Dio, temevo di offenderlo, non vedevo chiaro, stavo molto male. Mi sono messo allora con tutto il cuore sotto la protezione della Madonna del Perpetuo Soccorso, supplicandola di guidare i miei passi, come guidava quelli di Gesù bambino, e di condurmi in tutto in modo che non offendessi Dio, ma che fossi un soggetto di consolazione per Nostro Signore Gesù, che consolassi il più possibile il Cuore di Gesù che ci vede e ci ama. Così mi è stato dolce di mettermi fin dal primo giorno, fin dalla prima ora, ai piedi dell’immagine di questa tanto cara, tanto buona Madre. Ho bisogno di dirle che l’ho raccomandato a lei dal fondo del cuore e le ho detto e ripetuto per lei nello stesso tempo che per me: “Madonna del Perpetuo Soccorso, accordami il tuo soccorso onnipotente, e la grazia di chiederlo incessantemente!”.

L’indomani del mio arrivo, sabato, siamo partiti dalla Procura di buon mattino e siamo andati a piedi a San Pietro: ci vuole 1h ¼. Andando si passa davanti al Colosseo dove tanti e tanti martiri hanno donato la vita con una tale gioia e hanno dato con un tale amore il loro sangue per Nostro Signore GESÙ. Com’è stato amato GESÙ in questo posto! … 

[Scriverà più tardi tra le annotazioni sulle date di anniversari: “Ricevuta la decisione del mio rev.mo generale che la volontà di Dio è che io esca dall’ordine per seguire Nostro Signore nella sua abiezione e nella sua povertà: mercoledì 23 gennaio 1897 (festa delle nozze della Santissima Vergine Maria con San Giuseppe e vigilia della festa della Santa Famiglia)”[41]Quella stessa sera fratel Marie-Albéric scrive, pieno di gioia, una lunga meditazione sul Padre Nostro[42].]

A padre Jérôme – Roma, 24 gennaio 1897  [Il giorno dopo scrive un’importante lettera al giovane trappista di Staueli, che ha appena pronunciato i voti.]

…Chiedo da tre anni e mezzo di passare dal rango di religioso di coro a quello d’inserviente, sia nell’ordine, sia in un altro ordine religioso stabilito in Oriente; credo che sia questa la mia vocazione: di scendere. Col permesso del mio confessore avevo fatto questa domanda: i miei superiori m’hanno dato ordine, prima di accordarmelo, d’andare a passare qualche tempo a Staueli. Arrivato là, con mia grande sorpresa, ho ricevuto l’ordine di andare a Roma, e qui, dove contavo che mi facessero aspettare ancora a lungo il permesso che sospiravo da tempo, quando credevo di starvi ancora per due anni e mezzo, senza che chiedessi niente, senza parlarne per niente, il nostro buono ed eccellente Reverendissimo Padre Generale  mi cerca, esamina i miei sentimenti, riflette sulla mia vocazione, prega, riunisce il consiglio, e tutti, all’unanimità, dichiarano che la volontà di Dio è che segua questa via d’abiezione, di povertà, d’umile lavoro manuale; questa via d’operaio di Nazareth che Lui stesso mi mostra da tanto tempo e che perciò mi sono aperte tutte le porte per cessare d’essere religioso di coro e di scendere al rango d’inserviente e di garzone…

Ho ricevuto ieri questa notizia del mio buono ed eccellente Padre Generale, le cui attenzioni per me mi commuovono tanto. Ma dove ho avuto bisogno di obbedienza è stato in questo: che, prima della sua decisione, avevo promesso al Buon Dio di fare tutto quello che mi avrebbe detto …e tutto ciò che mi avrebbe detto il mio confessore. Cosicché, se mi fosse stato detto: “Entro dieci giorni farà i voti solenni” e poi ancora: “Riceverà i Sacri Ordini”, avrei obbedito con gioia, certo di fare la volontà di Dio. Perché, non cercando assolutamente altro che la volontà di Dio, avendo dei superiori che a loro volta non cercano altro, era impossibile che Dio non facesse conoscere la sua volontà.

… Non c’è vocazione al mondo grande come quella del prete22. …Che vocazione, caro fratello, e come benedico Dio di avergliela data! Una volta ho rimpianto di non averla ricevuta, rimpianto di non essere rivestito di questo santo carattere: era nel momento cruciale della persecuzione armena. Avrei voluto essere prete, sapere la lingua dei poveri cristiani perseguitati, e poter andare, di villaggio in villaggio, a dar loro coraggio nel morire per il loro Dio. Non ne ero degno23. Ma tu, chissà cosa ti riserva Dio? L’avvenire è ignoto. Dio ci conduce per strade così inattese! Come sono stato condotto, sballottato da sei mesi: Staueli, Roma ed ora l’ignoto. Siamo la foglia secca, il granello di polvere, il fiocco di schiuma. Siamo soltanto fedeli e lasciamoci portare con un grande amore e una grande obbedienza là dove ci spinge la volontà di Dio, così daremo al suo Cuore la più grande consolazione possibile finché un ultimo soffio di questo vento benedetto ci porti in cielo. …Là dove si può fare più bene agli altri, là stiamo meglio: dimenticare interamente se stessi, dedicarsi interamente ai figli del nostro Padre celeste, ecco la vita di Nostro Signore, ecco la vita di ogni cristiano, ecco soprattutto la vita del prete24

[1] Cf. lettera a Duveyrier del 21.02.1892.

[2] JFS, 78.

[3] Questa è una delle prime lettere scritte alla cugina che siano conosciute. Delle 738 lettere realmente scritte, ne conosciamo meno di un terzo e solo parzialmente. I brani pubblicati finora mostrano la grande confidenza, affettiva e spirituale, tra queste due persone. Ne riproduciamo solo alcune. La presente è citata nel Bollettino Amitiés Charles de Foucauld, n. 96, ottobre 1989, p. 6-7.

[4] Si riferisce a Rom 6, 4.

[5] Charles legge la Vulgata che traduce la Bibbia greca dei LXX, e questa frase si trova al versetto 11 del Salmo 84 (83): «… elegi abiectus esse in domo Dei magis quam habitare in tabernaculis peccatorum» (“Ho preferito essere un rifiuto nella casa di Dio / piuttosto di trovare dimora nelle tende dei peccatori”). Userà spesso quest’espressione, proprio riferendosi a Gesù, o meglio allo scendere, alla kènosis del Figlio di Fil 2, 7 e al “morire” con Lui (cf. Rm 6, 4-11; Col 2, 12, ecc.).

[6] LMB, p. 29.

[7] Henri Huvelin (1838-1910), uomo colto, laureato in storia, professore di storia del cristianesimo, che alla carriera aveva preferito il lavoro oscuro del confessore, del direttore di coscienze, del predicatore (tra i suoi figli spirituali c’erano due noti modernisti, Bremond e Von Hügel), frequentava la casa della zia paterna di Charles, Ines de Foucauld Moitessier ed era padre spirituale della cugina Maria de Bondy. La corrispondenza con don Huvelin è particolarmente interessante, oltre che nota e variamente citata, essendo stata pubblicata per intero. Questa prima lettera si trova in LAH, p. 15-18.

[8] Nelle lettere e negli altri scritti, di solito Charles non dà i riferimenti, citando a memoria la Vulgata o traducendola. Qui si riferisce a 1Gv 4, 8.3.20.

[9] L’amico, diventato magistrato a Saint-Dié, rimarrà non credente, nonostante le sollecitazioni.

[10] Charles Forbes de Montalembert (1810-1870) cattolico liberale, difese la causa della “Chiesa libera in libero Stato”, e come capo del partito cattolico liberale, si oppose all’Impero autoritario e all’ultramontanismo intransigente. L’opera di cui si parla, pubblicata tra il 1860 e il 1868 in cinque volumi, venne completata con altri due volumi postumi.

[11] LAL, p. 86-88.

[12] LMB, p. 34.

[13] Il compagno di corso allievi ufficiali, col quale aveva condiviso stanza e vicissitudini, al quale aveva prestato una somma enorme e col quale avrebbe voluto condividere i viaggi d’avventura. De Morès verrà ucciso nel deserto, dalle sue stesse guide, il 5 giugno 1896, durante una spedizione verso i Tuareg. Si veda, alla fine, cosa ne scriverà Charles.

[14] In George Gorrée, Les Amitiés Sahariennes du Père de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, p. 376, in nota.

[15] Lettera citata sempre per brani, molto importante, fatta conoscere integralmente in varie conferenze ai membri della famiglia spirituale di Charles de Foucauld da parte di Antoine Chatelard, piccolo fratello di Gesù di Tamanrasset, ricercatore attento degli scritti di Charles de Foucauld.

[16] Henri Duveyrier (1840-1892), in quanto membro autorevole della Società Francese di Geografia, venne consultato da Charles prima dell’esplorazione in Marocco (20.06.1883-23.05.1884) e durante la redazione della sua Reconnaissance au Maroc (pubblicato nel febbraio 1888) e fu poi relatore della ricerca, il 24 aprile 1885, presso la Società di Geografia. A Duveyrier Charles offrì i tre taccuini del successivo viaggio attraverso il Sahara algerino-tunisino del 1885, Esquisses sahariennes. Dopo uno scambio di lettere (la più famosa e citata, quella del 24 aprile 1890 in cui fr. Marie-Albéric spiega il perché della sua entrata alla Trappa), è a Duveyrier che racconterà, per la prima volta, le tappe della sua conversione in questa lettera del 21 febbraio 1892.

[17] Ripeterà spesso questo concetto di amore-imitazione.

[18] Quest’ultima, Amélie de Latouche, era la seconda moglie del nonno materno, ed era morta il 2 settembre 1888 (segnalerà questo giorno nelle “date anniversarie intime”, scritte su un taccuino risalente a Tamanrasset (cf. VN, p. 186).

[19] Si tratta, come si è visto, di letture d’interesse personale, mentre lo studio scolastico era trascurato.

[20] Élévations sur les Mystères, che sua cugina Marie gli aveva regalato il giorno della prima comunione.

[21]“Tardi Ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi Ti ho amato”, nelle Confessioni, 10, 27, 38.

[22] In LAL, p. 92, la lettera non è datata, ma la data è stata in seguito accertata da Antoine Chatelard e altri studiosi.

[23] Cahiers Charles de Foucauld, Arthaud, Paris 1946, p. 54-55.

[24] Nel febbraio dello stesso anno aveva ricevuto l’incarico di progettare la costruzione della strada che conduceva alla vigna e poi sorvegliare gli operai, essendo la Trappa di Notre-Dame du S. Cœur di Akbès ancora in cantiere.

[25] Si ricordi che si celebrava in latino sia la liturgia eucaristica sia l’ufficio delle ore, così come si leggeva la Bibbia nella traduzione Vulgata latina.

[26] Era il “rifugio” che aveva sperimentato nelle confraternite, le zauia musulmane che l’avevano via via ospitato durante il viaggio in Marocco, in particolare la zauia di Boujad e poi quella di Tissint, di cui tesse l’elogio in RAM, p. 122). Le zauia erano luoghi di religiosità fervente, di studio del Corano, di preghiera, dotate di biblioteche, di ricordi, e soprattutto aperte all’ospitalità gratuita per studenti coranici, per viandanti e pellegrini, come gli antichi monasteri e ospizi-ospedali lungo le vie di pellegrinaggio medievali. In fondo Charles conosce l’Islam secondo il modello delle zauia, ed è questo modello che gli rimarrà in mente tutta la vita.

[27] In moltissime occasioni Charles rievoca, a memoria, la frase di Lc 7, 47 sulla donna peccatrice che gli lava i piedi con le lacrime. Per la lettera, cf. LAH, p. 36-39. Il 4 ottobre successivo scriverà sullo stesso progetto alla cugina (cf. LMB, p. 43-44).

[28] Si veda, più avanti, la lettera a p. Jérôme, dell’8 novembre 1896 (in CCDP, p. 139). Cf. anche Considérations sur les fêtes de l’année, p. 34; vedi anche “elezione” del 14 novembre 1897, quasi alla fine del ritiro di Nazareth, in UP, p. 220.

La devozione alla Madonna del Perpetuo Soccorso affondava le sue radici nell’infanzia di Charles, che aveva visto la sua immagine sul petto della nonna paterna morta d’infarto davanti a lui, come confessava in una lettera all’amico medico Balthasar in una lettera del 23 gennaio 1891 (fatta conoscere dall’articolo di Antoine Chatelard “Charles de Foucauld et Notre-Dame du Perpétuel Secours”, in Jesus Caritas n. 259, 3e trimestre 1995, p. 61-68).

[29] LMB, p. 45-46.

[30] Lettera inedita, citata in documenti ciclostilati delle Fraternità. Louis de Foucauld, colonnello, che Charles considera “fratello” (testamento del 1905, in VN, p. 160) morirà “molto cristianamente dopo essersi confessato in piena conoscenza” il 24 novembre 1914 (dopo breve malattia, non in guerra), come Charles scriverà a Henry de Castries, compagno di corso del cugino e amico di entrambi (cf. LHC, 17.01.1915, p. 209). Qui Charles usa gli stessi argomenti e riferimenti usati precedentemente per l’amico Gabriel.

[31] Cf. rivista Jesus-Caritas ed. francese, n. 279, 3e   Trimestre 2000, p. 8.

[32] Cf. LMB p. 52 e LAH, p. 41-42.  Nel 1917 p. Raphaël, che era stato suo confessore ad Akbès, testimonierà come, in questo periodo, fr. Marie-Albéric, col suo permesso passava le notti in adorazione, pregando di ottenere la grazia del martirio (CCDP, p. 410). Mostrerà la stessa sensibilità e lo stesso impegno a Beni-Abbès nei confronti della schiavitù.

[33] La lettera è citata nel Bollettino Amitiés Charles de Foucauld, n° 123, luglio 1996, p. 5-6.

[34] CCDP, p. 128-129.

[35] RD, p. 36. Cf. LAH, p. 45 e ss.

[36] Cf. LAH, p. 45-46.

[37]  SG, p. 106.

[38] SG, p. 79. Non sappiamo con precisione quando Charles cominciò a leggere il libro di p. Jean-Pierre de Caussade s.i. “L’abbandono alla Provvidenza” (in un’edizione abbreviata del 1861 introdotta da p. Henri Ramière s.i., il gesuita che lo stesso anno aveva fondato l’apostolato della preghiera e diffuso la devozione al S. Cuore), ma sappiamo che gli fu regalato da una Clarissa all’inizio del suo soggiorno a Nazareth, perciò poco dopo questo scritto (secondo la datazione proposta da Antoine Chatelard). In seguito, lo lesse e lo rilesse, consigliandolo non solo ad amici (cf. lett. a p. Jérôme dell’8 maggio 1899, CCDP, p. 197), ma ai futuri membri dell’Unione del 1909-1913 (cf. Directoire, art. XV). Da questa meditazione, che risale alla fine del periodo trappista, p.s. Magdeleine di Gesù con le sue prime novizie, tra l’11 e il 17 dicembre 1940, togliendo alcune ripetizioni per semplificarne la recita a memoria, trasse quella che diventerà nota come” Preghiera d’abbandono”.

[39] Cf. LAH, p. 57.

[40] Allora in Via San Giovanni in Laterano 95.

[41] VN, p. 185; cf. CPRD, p. 312, nota 14, dove si osserva che in realtà era un sabato.

[42] Cf. CPRD, p. 97-104.

22 Risponde al giovane amico trappista conosciuto a Staueli, che gli ha confidato il suo desiderio di sacerdozio.

23 È la sola volta che ammette di aver desiderato essere prete, prima della “elezione” del 1900.

24 CCDP, p. 151-53.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *