Orientamenti

“Orientamenti”

Testi occasionali di René Voillaume.

È diventato un luogo comune affermare che nel nostro mondo attuale la fede è più difficile per gli uomini di quanto non lo sia mai stata. Alcuni arrivano a tirare la conclusione che non può più significare per noi quello che ha significato per quei cristiani che, nel corso della storia della Chiesa, sono stati i testimoni irrecusabili del dinamismo della fede — “forza divina” come dice San Paolo a proposito del Vangelo — e della trasfigurazione che una fede vivente può operare in una esistenza umana. Una tale trasformazione dell’uomo non è possibile senza che la fede lo raggiunga al cuore stesso del suo essere e che tutte le sue capacità di conoscere, di amare e di agire non ne siano rigenerate. Quale potrebbe essere il valore di una fede della quale dubitassimo che per sua natura possa introdurci in un supplemento di essere e di vita perché si tratta di una reale percezione del Dio Vivente e Vero e delle creazioni del quale Egli è l’autore. Se la fede non fosse che un certo linguaggio “da interpretare”, come si dice adesso, non saprebbe trasfigurare la vita degli uomini. La realtà del mondo affermata dalla sola fede non può fare l’oggetto di una dimostrazione razionale o di una sperimentazione scientifica. Ma nei nostri tempi, il suo semplice approccio umano si scontra con una difficoltà nuova che prende a volte i contorni di un ostacolo quasi insormontabile; difficoltà dovute a una certa mentalità che rifiuta ogni consistenza agli esseri puramente spirituali e alle realtà sulle quali i nostri sensi non hanno una presa immediata. Resta la forza, la grandezza e la bellezza irrecusabile dell’esistenza di testimoni che hanno pienamente vissuto la loro vita di uomini “come se ve-dessero l’invisibile”. Charles de Foucauld è, tra quelli che ci sono più vicini nel tempo, uno dei più grandi.

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Vi sono giorni in cui percepiamo con acutezza sconcertante di condurre una doppia vita: quella che ci è imposta da tutto il nostro essere di carne, “la vita”, senza più. La sola che abbia un senso per la massa degli uomini. Questa vita quotidiana è fatta di tutte le sensazioni, i rapporti sociali, i sentimenti, i godimenti di ogni specie, che costituiscono la trama psicologica della nostra esistenza personale e colorano ogni nostra giornata con molte gioie o pene. E poi c’è l’altra, quella che ci imponiamo in nome della nostra fede nelle realtà invisibili, ed in nome della nostra coscienza morale.

Questa seconda vita, in certi momenti, ci pare quasi irreale, arbitraria, poiché in definitiva è sospesa ad una libera decisione della nostra volontà, così spesso ricoperta e soffocata dalla invadente foresta vergine delle impressioni e dei sentimenti spontanei!…Le rare ore di verità e di unità sembra siano quelle in cui la pace e la calma purificata dei sensi si armonizzano, in certo modo, con le esigenze vitali dello spirito e della fede…. Questo sentimento abituale di condurre una doppia vita non deve meravigliarci. Non è in nostro potere far sparire tale sentimento che pure ci mette a disagio e talvolta lascia in noi l’inquieta impressione di non aver saputo scegliere… La vera scelta è in ogni istante interiore e spirituale. Per il nostro equilibrio non solo religioso ma psicologico è essenziale mantenere in noi un giudizio di valore su questa duplice corrente di vita. Abbiamo scelto di vivere secondo lo spirito e la fede, ma tale scelta non è mai definitiva; essa dev’essere rinnovata, mantenuta mediante una certezza acquisita della superiorità della vita secondo Dio.

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Il vero cristiano, colui che crede a tutto il mistero del Cristo, deve guardare la sua vita terrena ben in faccia, per scoprirne il carattere precario, passeggero, per viverla da pellegrino che non si installa e aspira al termine del suo pellegrinaggio; ma deve anche scoprire in sé l’aspetto eterno della vita, l’aspetto già iniziato che la morte non interromperà e che è la carità divina. Quando amiamo il nostro fratello, siamo già su un piano di eternità se il nostro amore per lui è un riflesso di quello di Dio, è se l’amiamo come un essere destinato, come noi, all’eternità….Il modo miserabile doloroso e mortale della vita umana sulla terra è qualcosa di relativo, ma l’uomo in se stesso è già un assoluto, ed è più grande della condizione che gli è riservata; attraverso l’amore che dobbiamo avere per il più piccolo dei nostri fratelli umani, dobbiamo già vivere nell’assoluto del Regno eterno, iniziato così sulla terra e che non avrà fine. Si, quando si tratta di amare non possiamo vivere nell’attesa, perché la sola realtà che non cambierà, la sola realtà che è già eterna, è quella dell’amore datoci dal Cristo Gesù.

II nostro amore non deve essere umile e rispettoso degli uomini? Forse abbiamo donato il nostro tempo, la nostra vita, ma senza pensare abbastanza a donarci noi stessi in una autentica e umile amicizia? L’amore di amicizia fa tacere ogni facile critica, ispira un pregiudizio di simpatia, evita in primo luogo l’ironia sull’argomento “razza”. Non siamo stati spesso vittime, inconsciamente di un pregiudizio di razza o di classe? Mi sembra che a volte ci sia una vera illusione che snatura lo sguardo che portiamo sugli uomini e ci impedisce di percepire le esigenze della vera carità. Allora ci sono della mancanze gravi alla carità e anche alla giustizia, e ci sono degli atteggiamenti che scoraggiano. Mettetevi al posto di un povero che è colmato di benefici, ma che sente in colui che glieli offre la coscienza della sua superiorità: non credete che in questo povero ci sarà una ferita che nulla potrà guarire? Credo che questa sia un questione estremamente grave, perché, se ci si può correggere di un difetto del quale si ha coscienza, al contrario non c’è nessun rimedio, per raddrizzare una deviazione della quale non si ha coscienza. Perché, appunto questo male è incosciente. L’orgoglio di razza è incosciente, e così l’orgoglio di cultura, il pregiudizio di classe è incosciente perché vi si respira la propria natura. Siamo noi stessi la nostra famiglia. Siamo la nostra nazione e la nostra razza, e non possiamo giudicarci in verità come dal di fuori: ed è per questo, forse, che Dio sarà misericordioso per questo tipo di colpe, nella misura nella quale non siamo coscienti del nostro orgoglio, e conserviamo una buona volontà. (Per terminare) vorrei ricordare quella frase che è stata prestata a San Vincenzo di Paoli nel film che voi conoscete, al momento nel quale dà le ultime istruzioni a una piccola sorella che doveva andare per la prima volta dai poveri: “Non dimenticare che dovrai farti perdonare il pane che stai regalando”. Abbiamo di sicuro di che donare, ma anche in noi dovrebbe esserci una umiltà vera e profonda. Per possedere questa umiltà, è indispensabile essere arrivati a un grado di povertà interiore che ci permette di essere coscientemente distaccati dai nostri propri valori di cultura e di ogni superiorità umana: e ciò è difficile, molto difficile. Comunque, non possiamo amare come il Cristo senza arrivare a questo grado di umiltà e di povertà interiore. Lui, più di qualsiasi altro, avrebbe, forse, avuto il diritto di giudicarsi superiore, anche umanamente nella sua perfezione umana. Malgrado ciò non troverete in lui un solo gesto di condiscendenza. II giorno nel quale noi oseremo intrattenerci con un criminale, qualcuno sul quale si ironizza, il giorno nel quale saremo capaci di rispettarlo come qualsiasi altro uomo e di considerarlo un nostro possibile amico, quel giorno avremo compreso qualcosa del precetto del Signore.

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Ecco la gioia di Pasqua. La gioia di Dio ci è data nel Cristo, ma, per il momento, noi possiamo solo gioirne imperfettamente e saltuariamente. Ma siamo certi che questa gioia c’è ed è a misura dell’umanità, poiché è stata trasformata e posta a portata dell’uomo nel cuore del Cristo risuscitato, senza per questo cessare di essere pienamente divina. Questa gioia attende noi, l’umanità intera, ognuno dei nostri fratelli. Tutti sono in cammino verso questa gioia, assai spesso come altrettanti ciechi; e più spesso ancora, non avendo la pazienza di sperare, si attaccano per via a piaceri incapaci di trattenerli per sempre, pur logorando il loro desiderio di felicita. La nostra storia intima non è forse anche quella della nostra lotta quotidiana;….nelle ore di noia e di stanchezza, quando ci sembra più semplice contentarci di facili gioie non incluse nell’ambito doloroso della Croce, ci sia possibile ricordare che ogni sofferenza e ogni attesa di quaggiù sono un accostarsi certo della felicità che ci verrà nell’ora ineluttabile in cui, senza testimoni né intermediari, il nostro spirito si unirà con quello del nostro diletto Salvatore…. La nostra felicità sarà aumentata da quella dei nostri fratelli. La moltitudine non sarà più un mostro anonimo che schiaccia, ma una fraternità di amici. E la mirabile varietà che fa di ognuna di queste miriadi di esseri umani una persona unica, illuminerà la nostra gioia e dilaterà la nostra apertura fraterna, poiché potremo amare ormai senza che il numero degli amici ostacoli un amore impaziente di comunicarsi interamente a ognuno. La nostra felicità sarà fatta della piena apertura del nostro cuore agli altri e della totale limpidezza dei nostri sguardi. Avremo l’immensa gioia di essere perfettamente conosciuti, conosciuti dagli altri, poiché non avremo più né male, né sotterfugi, né brutture da nascondere; e questa piena trasparenza abolirà ogni egoismo, ogni tensione, ogni gelosia, ogni sofferenza d’essere dimenticati o incompresi. Ognuno sarà il centro dell’ammirazione, della lode e della tenerezza fraterna di quest’immensa moltitudine di cuori e di spiriti trasfigurati.

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