Bollettino n.48!

Bollettino ITALIANO N°48

Omaggio a Charles de Foucauld: “Fraternità Universale”.

1°Dicembre memoria della sua morte (avvenuta nel 1916), dopo la canonizzazione (15 Maggio 2022), la liturgia ne celebra la festa.

 

 

Fratelli tutti

Ringraziamo Papa Francesco che ci offre un bellissimo scritto pieno di luce. É per tutti e tutte, ovunque sulla terra. Per coloro che soffrono nella difficile situazione attuale di pandemia, guerre, impoverimento … è un apertura verso la speranza data da Gesù, il nostro fratello e Signore.

Ecco un link per leggere: http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html 

Noi, della Fraternità dei Piccoli Fratelli di Gesù, ci sentiamo profondamente uniti al Papa che – alla fine dell’enciclica – dice quanto Charles de Foucauld lo ha motivato per concepire la lettera “Tutti fratelli”.  In fatti, al seguito di Fratel Charles, il carisma che anima la nostra Fraternità ci porta ad identificarci con gli ultimi.

Ecco i due ultimi paragrafi di questa enciclica: 286. In questo spazio di riflessione sulla fraternità universale, mi sono sentito motivato specialmente da San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e molti altri. Ma voglio concludere ricordando un’altra persona di profonda fede, la quale, a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti. Mi riferisco al Beato Charles de Foucauld. 

287. Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello,[286]e chiedeva a un amico: «Pregate Iddio affinché io sia davvero il fratello di tutte le anime di questo paese».[287]Voleva essere, in definitiva, «il fratello universale».[288] Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi. Amen.

Charles de Foucauld con i Tuaregh – D. Casajus

Dominique Casajus è un antropologo francese, direttore di ricerca al CNRS, e direttore del “Centre d’histoire sociale de l’Islam méditerranéen”.

I due articoli qui sotto (uno in francese) aiutano a vedere Charles de Foucauld con gli occhi dei Tuareg.
Casajus mette in evidenza l’opera linguistica di Foucauld; fa capire la sua strada, che parte dal separarsi dal mondo per giungere al relazionarsi intimamente con un popolo e la sua gente, la sua lingua, la sua storia …

https://journals.openedition.org/terrain/3167#bodyftn19

https://www.academia.edu/415808/Charles_de_Foucauld_e_i_Tuareg

Charles de Foucauld, santo.

Ieri 26 maggio 2020 papa Francesco ha firmato il decreto che porterà alla Chiesa tre nuovi santi fra i quali Charles de Foucauld. È con intima gioia che ve ne rendiamo partecipi. Non appena ci sarà noto vi comunicheremo la data. Vivremo questa festa in collaborazione con tutta la famiglia foucauldiana. Vi chiediamo di unirvi alla nostra preghiera perché la preparazione di questo evento sia occasione per crescere nella comunione e imparare a condividere la profezia nascosta nella vita del “piccolo fratello universale”. [dal sito delle piccole sorelle di Gesù in Italia]

NAZARET E CHARLES DE FOUCAULD – J. RATZINGER

NAZARETH
Card. Joseph RATZINGER, Arcivescovo di Monaco (1976) *

Ciò che significa Nazaret ci è nascosto dai pittori della “Scuola Nazarena”. Il nome evoca la maniera troppo sentimentale con cui la vita di Gesù viene trasformata in un idillio piccolo-borghese che inganna perché sminuisce il mistero. L’origine della venerazione della Sacra Famiglia, che anch’essa, il più delle volte, si merita lo stesso verdetto, va cercata altrove.
È il cardinal Laval che, nel Canada del XVIII secolo, ha sviluppato questa devozione fondandosi sulla responsabilità del laicato. Il cardinale “vide allora la necessità di dare alla popolazione coloniale una solida struttura sociale che le impedisse di perdere vitalità per mancanza di una tradizione e di radici. Non aveva abbastanza preti per fondare delle comunità ecclesiali strutturate … Mise dunque tutta la sua attenzione sulla famiglia: la vita di preghiera venne affidata al padre di famiglia” (10). È partendo da Nazaret che scopriamo che la casa e la famiglia sono una chiesa e che vaporizziamo la responsabilità sacerdotale del capo-famiglia.
Nella “Galilea dei pagani”, Gesù ricevette una educazione ebraica. Senza andare a scuola, impara a conoscere la Scrittura in famiglia che è “casa della Parola di Dio” (11). Le magre allusioni di Luca sono comunque sufficienti per farci un’idea dello spirito di responsabilità e di apertura come anche del fervore e dell’onestà di questa comunità che ne fecero una realizzazione dell’Israele vero. Ma è innanzitutto dall’agire di Gesù che legge le Scritture et le conosce con la sicurezza del maestro, allo stesso modo che conosce e domina le tradizioni rabbiniche, che vediamo quanto la vita comune vissuta a Nazaret ha contribuito alla sua formazione. Tutto questo non dovrebbe concernere anche noi che viviamo in un’epoca in cui la maggioranza dei cristiani sono obbligati di vivere in una “Galilea di pagani”? La Grande Chiesa non potrà né crescere né prosperare se la lasciamo ignorare che le sue radici si trovano nascoste nell’atmosfera di Nazaret.
Un nuovo punto di vista dunque si impone. Proprio nel momento in cui su Naza¬ret era fiorente il sentimentalismo, in un modo nuovo e senza che i contemporanei se ne accorgessero, il vero mistero di Nazaret nel suo contenuto più profondo è stato scoperto. Fu Carlo de Foucauld che, alla ricerca dell’“ultimo posto”, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa scoprì Nazaret, il luogo che più l’ha colpito: “Non si sentiva chiamato a camminare al seguito di Gesù nella sua vita pubblica. È Nazaret che lo colpisce nel più profondo del cuore” (12). Voleva seguire Gesù silenzioso, povero e operaio. Voleva adempiere alla lettera la parola di Gesù: “Quando sei invitato, va a metterti all’ultimo posto” (Luca 14, 10). Sapeva che Gesù aveva dato lui stesso la spiegazione di questa parola vivendola per primo; sapeva che, ancor prima della morte sulla croce, nudo e senza niente, Gesù aveva scelto l’ultimo posto a Nazaret.
Carlo de Foucauld ha trovato il suo Nazaret prima alla trappa di “Nostra Signora delle Nevi” (1890), poi, solo sei mesi più tardi, in Siria, in una trappa ancor più povera, a “Nostra Signora del Sacro Cuore”. È da lì che scrive alla sorella: “Facciamo un lavoro di contadini, lavoro infinitamente salutare per l’anima durante il quale si può pregare e meditare … Si capisce così bene cos’è un pezzo di pane quando si sa per esperienza la fatica che è necessaria per produrlo! …” (13).
Carlo de Foucauld, camminando sulle tracce dei “misteri della vita di Gesù”, ha trovato l’operaio Gesù. Ha incontrato il vero “Gesù storico”. Nel 1882, nel momento in cui Carlo de Foucauld lavorava a Nostra Signora del Sacro Cuore, in Europa fu pubblicato il libro di Martin Kâhler che fece data “Der sogenannte historische Jesus und der geschichtliche, biblische Christus / “Il Gesù detto della storia e il Cristo storico-biblico”. Fu un primo apice nel dibattito sul “Gesù della storia”.
Fratel Carlo, nella sua trappa in Siria non sapeva niente di questo dibattito. Ma, entrando nell’esperienza di Nazaret, sulla questione imparò di più di tutta quella discussione scientifica. Laggiù, nella meditazione vissuta su Gesù, si è aperta una nuova via per la Chiesa. Lavorare con l’operaio Gesù e immergersi in “Nazaret” è servito di punto di partenza all’idea e alla realtà dei “preti operai”. Per la Chiesa fu una riscoperta della povertà. Nazaret ha un messaggio permanente per la Chiesa. La Nuova Alleanza non comincia al Tempio, né sulla Santa Montagna, ma nella piccola casa della Vergine, nella casa dell’operaio, in uno dei luoghi dimenticati della “Galilea dei pagani” da cui nessuno s’aspettava potesse venire qualcosa di buono. Sarà solo partendo da lì che la Chiesa potrà ripartire e guarire. Essa non potrà mai dare la risposta vera alla rivolta del nostro secolo contro la potenza della ricchezza se, nel suo seno, Nazaret non diventerà una realtà vissuta.

NOTE
(10) Th. Maertens, J. Frisque: Guide de l’assemblée chrétienne I (Casterman 1965).
(11) Cf., sulla giovinezza di Gesù, gli sviluppi impressionanti che si fondano sull’archeologia di B. Schwank “Das Theater Von Sepphoris und die Jugendjahre Jesu” in Erbe und Auftrag 52 (1976), pp. 199-206. L’articolo fornisce preziose correzioni all’immagine abituale del Giudaismo del tempo di Gesù, contraddicendo perfino la recente ricerca ebraica su Gesù. Vale la pena di leggere anche Robert Aron: Les Années obscures de Jésus (Grasset 1960).
(12) M. Carrouges: Charles de Foucauld, explorateur mystique (Cerf 1958), p. 93.
(13) ibid., p. 106.
* Papa Benedetto XVI (24/4/2005 – 28/2/2013) in “Le Dieu de Jésus-Christ“, opera dedicata “Ai miei compagni nel 25° anniversario della nostra ordinazione sacerdotale, 1951 -1976” p. 77-80 COMMUNIO-FAYARD 1977 – (Tradotto dal tedesco da Yves et Marie-Noëlle de Torcy).

«Siamo tutti dei viaggiatori»

Lasciare una fraternità che è piaciuta non è indolore;

il cuore però resta riconoscente per tutto quello che vicini e amici ci hanno apportato.

Biên ce ne parla, in seguito ad una visita fatta al villaggio dove aveva vissuto da giovane fratello.

Biên

Alla fine del 2018 ho avuto l’occasione di ritornare a Co Đo, dove più di 40 anni fa, Antoine Nghi ed io, siamo venuti a vivere per circa 20 anni, dopo gli eventi del 1975, quando i comunisti si sono impossessati del Sud-Viêt Nam. A quel tempo avevo 26 anni. Co Đo era un villaggio piccolo e povero situato in una regione deserta del delta del Mekong. Non c’erano né acqua, né elettricità. Le case erano disseminate qua e là e costruite in modo rudimentale, erano soprattutto capanne. La popolazione era composta da contadini che vivevano soprattutto di agricoltura e di pesca. Il territorio era attraversato da un groviglio di corsi d’acqua e di canali. Gli spostamenti e i trasporti di merce si facevano unicamente con barche. Co Đo pertanto era ancor più isolato in rapporto ai centri urbani più vicini come Can Thu… Per questo era chiamata «la regione profonda, la regione lontana».
Ritornandoci adesso, ho difficoltà a riconoscere il Co Đo di una volta. Ci sono troppi cambiamenti, che vanno al di là della mia immaginazione.

Oggi Co Đo è diventato una città, con molte strade e molta circolazione, con quartieri commerciali pieni di vita, con palazzi spuntati ovunque, con attività di ogni sorta, con servizi tecnologici e di telecomunicazione, con servizi sociali; in breve, Co Đo è diventato dinamico come le grandi città del Viêt Nam. Davanti a questo spettacolo sono rimasto meravigliato.
Inevitabilmente il mio cuore è stato colto dalla nostalgia di Co Đo di una volta. Anche se la vita in quel tempo era povera – si mancava di tutto – e penosa nei campi, noi eravamo molto felici. Felici, perché tutti erano poveri, ma l’amore tra le persone era profondo, l’affetto tra vicini era reale: si era pronti a condividere ogni manciata di riso, ogni patata… cosa che spiegava bene il detto vietnamita:« Un boccone di riso quando si ha fame, equivale ad un mucchio di riso quando si è sazi » o questi altri detti: « I cugini lontani non valgono i vicini accanto », « Nel buio, senza fuoco né luce, si rimane uniti ». Ero felice perché non avevo mai sentito le «Beatitudini» in modo così profondo come allora. Ero felice perché per la prima volta, alle soglie della mia vita, avevo vissuto totalmente la vocazione di un piccolo fratello di Gesù. Felice perché avevo potuto imparare e ricevere molto da persone povere. Esse erano i nostri maestri: grazie a loro avevo potuto riconoscere e amare maggiormente il Cristo. Posso affermare che «quelle persone povere mi avevano donato il Cristo». La vita a Co Đo, a quell’epoca, mi aveva segnato profondamente e penso che mi accompagnerà per il resto della vita.
Mi ricordo che per esigenze di accoglienza e di formazione dei giovani fratelli e per il futuro della fraternità in Viêt Nam, abbiamo dovuto abbandonare Co Đo dopo avervi vissuto quasi 20 anni, per andare ad installarci a My Tho, nel 1993.

My Tho

Per noi è stata una decisione molto difficile. Le persone nel villaggio erano molto tristi per la nostra partenza e molte piangevano. Non avevano capito il perché della nostra partenza. Pensavano che forse non avessimo abbastanza terra per vivere e qualche famiglia aveva perfino proposto di condividere con noi il loro piccolo pezzo di terreno affinché noi potessimo rimanere con loro.
La crudele verità è che non si può far tornare nel presente qualcosa del passato. Tutto questo rappresenta il passato. Il Co Đo di oggi non è più il Co Đo di una volta. Si è voltato pagina. Dovevamo partire.

Dietro a Biên, in fondo, a destra il tavolo detto altare del defunto con la foto di Yves.

E’ come ultimamente: quando ho dovuto abbandonare My-Tho, dopo avervi vissuto per circa 20 anni, per venire a vivere con i nostri due fratelli anziani a Saigon…

Anche la fraternità di Saigon, con la presenza di Yves (Yeng e di Pierre (Thach) da più di 50 anni, ha conosciuto tanti cambiamenti dal 1966. Questa fraternità farà parte del passato quando i due Fratelli non ci saranno più. [ndr: Yves è deceduto il 24 aprile 2019] Forse allora lascerò questa fraternità per cominciare un nuovo viaggio… Siamo tutti dei viaggiatori, e sempre dei viaggiatori di questa vita.

 

 

Per finire vi trasmetto un breve passaggio del libro di Eric Emmanuel Schmitt La notte di fuoco. Penso che rifletta molto bene quello che ho voluto condividere con voi:

Qualcosa di candido, di sereno, di gioioso, di libero, uno spirito di infanzia. Beh! Un vero viaggiatore senza bagaglio e senza scopo.

Il mio concetto di viaggio era cambiato: la destinazione vale meno dell’abbandono. Partire, non vuol dire cercare, ma lasciare tutto, parenti, vicini, abitudini, desideri, opinioni, se stessi.
Partire non ha altro scopo che affidarsi all’incognito, all’imprevisto, all’infinità delle possibilità e persino all’impossibile. Partire consiste nel perdere i punti di riferimento, la padronanza di sé, l’illusione di sapere, per scavare dentro sé stessi una zona ospitale che permetta all’eccezionale di sbocciare. Il vero viaggiatore resta senza bagaglio e senza meta”.

Biên.

«In stretta comunione con la gente.»


Lorenzo, da 35 anni vive in un piccolo villaggio della Tanzania.
Ha condiviso e vissuto di persona,
in stretta vicinanza con la gente che l’ha accolto,
un bel pezzo della storia di quel paese.

Sopra il titolo: “Mwalimu” Giulio Nyerere, padre della Tanzania, fondatore di un originale sistema di sviluppo equo e giusto.

Hervé mi chiede ancora una volta di scrivere un “diario”. Voglio incominciare esprimendo tutta la mia stima per i nostri fratelli anziani: il diario di André del Giappone e anche quello di Yohanan d’Israele. Come dice spesso un fratello, il nostro è il tempo delle lacrime (quant’è vero!), tuttavia anche al limite della disperazione l’uomo di fede deve rendere il suo volto duro come pietra (Isaia 50,7).
1) Vorrei elevare un inno di lode al paese che mi ha accolto da così tanto tempo: la Tanzania! I mezzi di comunicazione più potenti (BBC, Tv americane) continuano a molestarci: vorrebbero vederci alla mercé della logica del mercato e dei “liberi” scambi (in realtà dipendenti!) mentre noi invece difendiamo fermamente le nostre radici di un sistema originale di “socialismo” democratico, dove forte è il ruolo normativo dello Stato, per guidare il popolo secondo equità e giustizia nei settori chiave come le infrastrutture, l’istruzione, la salute, le risorse minerarie ed energetiche, ecc… Lo dico apertamente e con convinzione: tutto questo è merito innanzitutto del Partito della rivoluzione C.C.M. del nostro padre fondatore Nyerere che ha saputo rinnovarsi e combattere, anche al suo interno, contro la corruzione (che è una pandemia mondiale!), difendendo, nello stesso tempo, i nostri valori culturali contro la pressione di ideologie corruttrici. La coesistenza pacifica unita alla collaborazione attiva tra numerose etnie e tra le due religioni più diffuse, Islam e Cristianesimo, insieme alla sana laicità del Partito e dello Stato non è affatto un merito piccolo del nostro paese!
Ma allarghiamo il nostro sguardo: la Tanzania si è posta in prima linea nel sostenere l’emancipazione dall’apartheid e dalla colonizzazione di molti paesi del sud dell’Africa e adesso si sta preparando ad accogliere il summit della SADC (Comunità di sviluppo dell’Africa Australe) che riunisce 16 paesi, ben più estesa dell’ E.A.C. (Comunità dell’Africa dell’Est): recentemente si è anche allargata al Sud-Sudan (6 paesi): prova evidente di una visione niente affatto “isolana” o autarchica della dirigenza del paese.
Inoltre, si impegna sempre più intensamente per rinforzare e propagandare la lingua Swahili: l’unica in grado di unificare l’Africa sub-sahariana (cominciando dall’ Est e dal Sud, ma anche il Centro) per diventare indipendenti anche linguisticamente (ed è una battaglia politica e culturale molto importante!).

Una volta al mese, un settore del mercato serve da clinica pediatrica. Vengono pesati tutti i bambini inferiori ai 5 anni; ciascuno riparte con la propria cartella clinica.

Debolezze? Ne abbiamo: al primo posto coloro che ricevono dei grossi contratti e incassano tanti soldi senza terminare i lavori, ma anche molte autorità locali (bisogna però dire che, a livello locale, non hanno nessun salario…!).
2) Veniamo al mio villaggio, Murugaragara. Come ha scritto giustamente fratel Édouard, che ha vissuto

Priorità all’educazione. Tre aule funzionano, due sono in costruzione.

L’Ufficio del villaggio, unico in tutta la regione.

La nostra chiesetta, nel centro del villaggio. A destra, finiti i lavori, si potrà accogliere i più piccoli, sempre più numerosi.

qui per molto tempo: il villaggio è molto cambiato! Chi pensa che qui non facciamo progressi, si sbaglia: noi andiamo avanti con i nostri ritmi e con i nostri passi. Nel 1983, quando sono arrivato qui, dov’era la nostra strada? Era un sentiero! Dove i due solidi ponti che ci collegano con la cittadina di Rulenge? Dove l’ambulatorio e la clinica per bambini a mezz’ora a piedi da qui? Dove la scuola elementare con quasi 700 alunni proprio qui a Murugaragara? Dove il nostro piccolo mercato le cui bancarelle forniscono le cose indispensabili alla vita ordinaria di famiglie contadine? Dove il nostro “Ufficio” del villaggio che è un po’ la nostra piccola gloria? Dove il progetto dell’acqua potabile per caduta che, nonostante le difficoltà di realizzazione, assicura l’acqua alla scuola e al centro del villaggio? E ancora: attualmente quasi tutte le case hanno dei tetti in ‘ondulina’: basta con i tetti di paglia; inoltre con un piccolo pannello solare, nelle case c’è la luce ed è possibile ricaricare i cellulari. La sola schiavitù che rimane è la zappa. Speriamo di passare presto ad un’agricoltura meccanizzata: Alleluia! La Tanzania avanza pacificamente ma con fermezza e determinazione!
3) Vengo alla fraternità, che è stata fortemente voluta verso la fine degli anni ’70 dal vescovo Mwoleka di illustre memoria: desiderava ardentemente dei religiosi e delle religiose che vivessero in mezzo alla gente, in una stretta convivenza con i laici. Non sono le separazioni che ci tutelano, bensì una salutare vita comune con le sue sfide ma anche con le sue grandi opportunità. Non avrei mai immaginato di arrivare, un giorno, a vivere in una così stretta comunione con questa gente: come spazio “privato” non mi resta che la piccola cappella per la preghiera silenziosa e, naturalmente, la mia camera!
Ultima riflessione: se guardo il nostro inno nazionale, noto che comincia e termina con la parola DIO! (stessa cosa per l’inno del Sud-Sudan), senza offesa per i laicisti europei (i Francesi per primi, naturalmente non tutti i Francesi!!!).
Viva la TANZANIA, viva l’Africa nera, viva tutti coloro che temono DIO e lo rispettano: il nostro unico Creatore, grazie.
La prossima volta vi parlerò della nostra piccola comunità cattolica del villaggio.
Ciao!
Lorenzo o come dicono qui: Laurenti!

QUASI NIENTE

Questa video evoca la vita condivisa da tre fratelli con dei malati della lebbra.

Il sogno di Charles de Foucauld

 

La Basilica di San Bartolomeo a Roma, Santuario dei Nuovi Martiri, ha ricevuto un oggetto di lavoro appartenuto al beato Fratel Carlo di Gesù: la cazzuola con la quale ha costruito la sua ultima dimora a Tamanrasset nel Sahara, con l’emblema del cuore e la croce, Gesù Carità, simbolo delle comunità nate dopo la sua morte.

Per saperne di più:

https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/33120/Il-sogno-di-Charles-de-Foucauld-tra-i-poveri-del-deserto-algerino-una-casa-che-si-chiama-Fraternità-A-San-Bartolomeo-uno-dei-suoi-strumenti-di-lavoro.html